Svolgimento del processo
Con atto dell’8 marzo 1980 Giuseppina, Salvatore, Giovanna e Anna De Lise; Marco e Giuseppina De Lise; Angela, Vincenzo, Giuseppe e Salvatore D’Avolio; Gaetano De Lise e Raffaele Cuomo (questi ultimi quali procuratori della madre Carmela De Lise) citarono davanti al Tribunale di Napoli il Comune di tale città, esponendo:
1) con decreto del 28 dicembre 1973 il Presidente della Regione Campania aveva autorizzato l’occupazione, da parte del Comune di Napoli, di un immobile di proprietà degli attori sito nel territorio di Piscinola;
2) il Comune aveva preso possesso del suolo il 23 gennaio 1974, ma non erano seguite né la determinazione dell’indennità di occupazione né l’emanazione del decreto di occupazione.
Su tali premesse gli istituti domandarono che il Comune fosse condannato al rilascio dell’immobile o, in mancanza, al risarcimento dei danni e al pagamento della indennità per l’occupazione legittima con i relativi interessi.
Costituitosi in giudizio, il Comune eccepì preliminarmente la prescrizione del diritto al risarcimento del danno e in subordine dedusse che nella valutazione del danno stesso si tenesse conto della natura agricola del terreno.
Con sentenza del 6 aprile 1981 il tribunale condannò il Comune al pagamento della somma di L. 150.742.000 con interessi legali, su L. 19.662.000 dal 23 gennaio 1977, nonché di L. 13.746.000, ragguagliata agli interessi legali sul capitale, a titolo d’indennità per occupazione legittima, con interessi dal 23 gennaio 1977.
Su appello principale dei proprietari del bene e incidentale del Comune, la Corte di Napoli, in parziale accoglimento del gravame principale, condannò il Comune al pagamento di L. 176.368.140 con interessi legali decorrenti dal 23 gennaio 1977, e rigettò l’appello incidentale.
Per quanto qui interessa la Corte rilevò che sull’intera somma liquidata in favore dei proprietari (e non soltanto sulla parte di essa costituente indennità per occupazione legittima) gli interessi dovevano essere liquidati con decorrenza dal 23 gennaio 1977, quando cessò il periodo di occupazione legittima e iniziò la occupazione abusiva.
Inoltre, doveva essere accolta la richiesta di rivalutazione delle somme a causa dell’ulteriore perdita del potere di acquisto della moneta.
Contro la sentenza di appello il Comune di Napoli ha proposto ricorso per cassazione, mentre i proprietari dell’immobile resistono con controricorso e memoria.
Motivi della decisione
Con unico motivo il ricorrente deduce: a) – ai fini della determinazione del danno la Corte non ha tenuto conto della destinazione del suolo secondo il piano regolatore, che lo assoggettava alla realizzazione del piano della casa, e conseguentemente il bene non poteva essere considerato di valore edificatorio; b) – difetto di motivazione perché la Corte non ha tenuto conto che l’immobile è situato in zona che all’epoca non presentava alcuna opera di vera urbanizzazione, né ha tenuto conto della consulenza esibita dal Comune; c) – anche ai fini della prescrizione, la sentenza impugnata è carente di motivazione, limitandosi essa a far decorrere il periodo prescrizionale dall’inizio dell’occupazione abusiva.
Le censure non sono fondate.
Questa Corte (da ultimo, n. 1923 del 1984, n. 15 del 1985 ed altre conformi) ha ritenuto che nell’ipotesi di occupazione abusiva irreversibile di fondo gravato da vincolo stabilito da piano regolatore generale (in funzione o meno della successiva espropriazione), ai fini del risarcimento sostitutivo del valore economico del bene occupato, non si deve tener conto dell’influenza negativa di tale vincolo sul valore di mercato dell’immobile, tanto nel caso in cui l’occupazione sia avvenuta in vista dell’attuazione della finalità pubblica cui l’imposizione del vincolo era preordinata, quanto nel caso in cui abbia realizzato finalità pubbliche diverse, per non introdurre una non consentita ipotesi di non indennizzabilità in relazione a una limitazione del diritto dominicale su beni determinati, originariamente temporanea.
Circa la ritenuta natura edificatoria del suolo, la Corte del merito ha rilevato che la doglianza del Comune in fase di appello riguardava soltanto l’incidenza che sarebbe potuta derivare, sulla detta natura, dall’imposizione del vincolo di piano regolatore, e che
– una volta affermata la irrilevanza del vincolo medesimo – non sussistevano altri motivi per escludere la qualità edificatoria dell’area, come accertata e valutata nel giudizio di primo grado.
Queste considerazioni della Corte del merito, giuridicamente corrette e congruamente motivate, dimostrano la infondatezza delle censure di cui alla lett. a) e b) avanti indicate.
Anche la censura sub “c” è infondata.
Con la citata sentenza (n. 1923 del 1984) questa Corte ha stabilito anche il principio secondo cui la prescrizione quinquennale
– art. 2947 c.c. – del diritto a risarcimento del danno per l’illegittimo protrarsi dell’occupazione oltre il termine fissato nel relativo decreto decorre, alla stregua del precedente art. 2935 (per il quale il dies a quo della prescrizione coincide con il “giorno in cui il diritto può essere fatto valere”), soltanto dal giorno in cui l’occupazione sia divenuta sine titulo per la scadenza del detto termine, atteso che anteriormente la legittimità della occupazione comporta la impossibilità, per i titolari del bene, di avanzare pretese risarcitorie.
Uniformandosi a tale principio, esattamente la Corte del merito ha calcolato il periodo prescrizionale a decorrere dal momento in cui, scaduto il termine di occupazione legittima del bene, questo cominciò ad essere occupato abusivamente.
Il ricorso deve pertanto essere respinto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dei resistenti, liquidandone in L. 1.580.000, di cui L. 1.500.000 per onorario.
Così deciso, il 1° luglio 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 24 GENNAIO 1986