Svolgimento del processo

Con ricorso 9 gennaio Storace Antonio si rivolgeva al Pretore di Sampierdarena, e premesso di essere proprietario di un complesso di vari capannoni adibiti ad uso industriale ed uffici, locato alla società U.N.I. al canone mensile di lire 1.750.000, pattiziamente assoggettato ad aggiornamento annuo secondo gli indici ISTAT, misura questa lungamente contestata dalla conduttrice, chiedeva la determinazione giudiziale del canone.

Nel ricorso veniva altresì chiarito che tra esso Storace e la società SAFA-SARDA era stato stipulato in data 1. settembre 1975 un primo contratto di locazione per la durata di un anno al canone mensile di lire 400.000, il giorno 15 dello stesso mese un nuovo contratto per la durata di nove anni, salvo proroga, con un corrispettivo mensile di lire 1.500.000.

Essendo stata poi la SAFA-SARDA dichiarata fallita, la curatela del fallimento aveva ceduto il contratto e l’azienda alla società SOGEA, la quale era subentrata nella locazioni con contratto 14 dicembre 1976.

Insorta quindi controversia giudiziale sulla misura del canone, le parti avevano transatto la lite e il successivo 31 maggio 1978 la SOGEA aveva a sua volta ceduto il contratto alla società U.N.I., con il consenso dello Storace.

Il 4 luglio 1978 infine lo Storace aveva stipulato un ulteriore contratto con la U.N.I. la quale a sua volta, premesso che i canoni, aumentati dapprima a lire 1.500.000, poi a lire 1.750.000, erano entrambi illegittimi, in quanto concordati in violazione delle norme vincolistiche, chiedeva in via riconvenzionale la condanna dello Storace alla restituzione della somma di lire 47.250.000, quale differenza tra il maggior canone corrisposto e le 400.000 lire mensili dovute. Il Pretore con sentenza 1. dicembre 1981, ritenuta legittima la misura del canone concordata con il contratto 4.7.1978, trattandosi di accordo del tutto indipendente dai precedenti ed essendo efficace la clausola di aggiornamento nella misura corrispondente all’aumento annuo del costo della vita, sino al momento dell’entrata in vigore della normativa sull’equo canone, nei limiti del 75 per cento dopo tale data, condannava la U.N.I. a corrispondere al locatore la differenza tra le somme pagate e quelle dovute posteriormente al 4 luglio 1978.

Il successivo 26 maggio 1982 il Tribunale di Genova, adito in grado di impugnazione principale dallo Storace ed in via incidentale dalla società U.N.I., dichiarava con sentenza che il canone inizialmente dovuto in lire 21.000.000 annue dalla società U.N.I. nel momento del suo subentro nel rapporto, doveva essere aggiornato sino alla scadenza convenzionale in ragione del 100 per cento dell’indice ISTAT, nella misura del 75 per cento di tale indice per il periodo successivo, sino alla scadenza legale, da determinarsi ai sensi dell’art. 71 della normativa sull’equo canone.

Rilevava tra l’altro la sentenza che il verbale redatto in sede di conciliazione giudiziale intervenuta con la società SOGEA, dava atto esplicitamente – che il rapporto di locazione continuava ad esser regolato dal contratto stipulato nel 1975 con la SAFA-SARDA, nel quale era previsto un canone mensile di lire 1.500.000 – che la cessione della locazione alla U.N.I era avvenuta in virtù di accordo intercorso con la società SOGEA, senza l’intervento dello Storace.

Come conseguenza doveva ritenersi corretto il giudizio del Pretore, allorché aveva ritenuto legittimo il canone di lire 1.750.000 pattuito tra lo Storace e la U.N.I. nel luglio del 1978, in quanto nessuno dei due contratti stipulati nel 1975, il secondo dei quali con scadenza novennale, erano soggetti a proroga, non essendo stata emanata nel periodo intercorso tra i due atti alcuna norma vincolistica. In particolare, non era applicabile la disciplina dettata dalla legge 31.7.1975 n.363 che prorogava sino al 30.6.1976 i contratti in corso al 30.6.1975 né la successiva legge 22.5.1976 n. 349, che aveva dettato norme per il periodo successivo al 30.6.1976.

La durata poliennale del contratto, inoltre, di per sé non sottraeva il rapporto alla proroga. in quanto la data di scadenza convenzionale era successiva alla data di cessazione della proroga legale disposta dalla legislazione vigente all’epoca.

La non soggezione alla proroga legale, infine, rendeva legittimo l’aumento operato nel luglio del 1978, costituendo la proroga presupposto indispensabile del blocco dei canoni.

Contro la sentenza la società U.N.I ha proposto ricorso deducendo quattro motivi, il cui fondamento viene contestato nel controricorso dello Storace, il quale a sua volta ha proposto ricorso incidentale, proponendo due censure.

Motivi della decisione

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti contro la stessa sentenza.

Con il primo motivo, assumendosi l’erronea valutazione dei fatti emersi e l’omesso esame di un punto decisivo della controversia, si deduce che il contratto 15.9.1979 avrebbe dovuto esser ritenuto, quindi, inefficace, tra le parti e nei riguardi dei terzi. Se si accetta infatti quale reale data di stipula il 15 settembre, l’atto stipulato il primo dl mese, in quanto aveva acquistato data certa soltanto il giorno 17 in virtù della registrazione, avrebbe dovuto esser considerato successivo, quindi, l’unico in grado di produrre effetti giuridici.

Se invece si intende accettare che il contratto sia stato stipulato successivamente, poiché lo stesso era stato registrato il 17.9.1977, devesi ammettere che la stipula era avvenuta quando la società SAFA era divenuta incapace di contrarre, perché già dichiarata fallita.

Se infine si vuol sostenere che dei due contratti, in realtà contestuali, uno soltanto è reale e l’altro simulato, appare evidente che rispetto ai terzi avrebbe efficacia il solo contratto registrato, cioé quello stipulato il 1..9.1975.

Nonostante che tali circostanze avessero una indubbia rilevanza, la sentenza non aveva dedicato alcuna motivazione al riguardo.

Alle argomentazioni così sintetizzate, appare sufficiente replicare che la registrazione di un atto, oltre ad assolvere ad una funzione di diritto tributario, conferisce certezza sulla data della creazione del documento (funzione di prova), senza peraltro impedire al Giudice di ritenere provata l’avvenuta redazione del documento alla data in esso apposta, anche se diversa da quella in cui è stata effettuata la registrazione, nelle ipotesi in cui nessuna parte sollevi contestazioni.

E nella specie, non avendo le parti nulla osservato, il giudice del merito ha legittimamente ritenuto l’esistenza di due manifestazioni di volontà susseguitesi a breve distanza di tempo, la seconda modificativa della prima, ricollegando a ciascuna di esse le conseguenze della volontà ivi espressa dai contraenti.

Né possono sorgere problemi di prova o di efficacia rispetto ai terzi, in quanto il giudice del merito, per le ragioni che saranno esposte nel corso della motivazione, ha basato la condanna al pagamento dei canoni corrisposti in meno, sul presupposto che il contratto non era stato affatto influenzato dai precedenti rapporti, non essendo la locazione dei capannoni soggetta, né a proroga né a blocco dei canoni.

I precedenti contratti sono venuti in considerazione soltanto perché la società U.N.I. ha sostenuto la sottoposizione a vincolo legale dei vari rapporti succedutisi dopo il 1975, con la conseguente necessità di un loro esame complessivo.

Nessun collegamento quindi tra le condizioni di volta in volta poste ai conduttori dal complesso di capannoni, ma la valutazione autonoma del contratto stipulato il 4.7.1978; nessun problema di efficacia e di prova rispetto a terze persone può pertanto sorgere.

In relazione alla pretesa simulazione, infine, la cui sussistenza e ‘ stata prospettata con semplici accenni, va aggiunto che la deduzione non viene accompagnata da alcuna indicazione di elementi emersi e non esaminati, o erroneamente valutati, presupposto questo imprescindibile per legittimare la proposizione di un utile ricorso ed un conseguente esame del vizio dedotto.

Né è risultato che la questione sia stata sollevata nel corso del giudizio di merito.

Le argomentazioni sollevate nella censura vanno quindi tutte disattese.

La seconda doglianza lamenta la violazione dell’art. 1 4. comma della legge 4.8.1973 n. 495 e delle successive leggi di proroga delle locazioni urbane, precedenti alla normativa sull’equo canone, per aver la Corte di Genova erroneamente escluso che il contratto stipulato il 1. settembre 1975 fosse caduto sotto il regime di vincolo legale del canone, in virtù del vincolo inizialmente sancito con il decreto legge 24.7.1973 n. 426. mantenuto poi sino al 30 luglio 1978.

Con le stesse norme era stata altresì sancita l’inefficacia delle clausole di adeguamento dirette a compensare la svalutazione monetaria.

Di conseguenza, sino al 30.7.1978 il canone non avrebbe potuto superare il limite fissato in lire 400.000 con il contratto 1..9.1975.

Lo stesso verbale di conciliazione redatto nel 1978 in sede di transazione della controversia insorta con la SOGEA, aveva esplicitamente riconosciuto tali circostanze, precisando altresì che la locazione aveva avuto inizio il 1..9.1975 con contratto novennale rinnovabile tacitamente, con il corrispettivo mensile di lire 400.000, quindi rientrante in ogni caso nelle limitazioni stabilite dalla legge di proroga 22 maggio 1976 n. 349 e nelle successive, sia in relazione agli aumenti del canone che per quanto concerneva l’adeguamento al costo della vita.

Poiché le leggi di proroga avevano tutte sancito la nullità di accordi diretti ad aumentare i canoni, la pattuizione era da ritenere vincolante anche per i contraenti succeduti alla società SAFA-SARDA.

Né era corretto ritenere che il contratto non fosse soggetto a proroga legale.

Erroneamente infine era stato ritenuto trattarsi di una locazione novennale, in quanto le parti nell’atto di transazione avevano riconosciuto che in effetti il canone dovuto sino a quella data (25.10.1977) non poteva superare le 400.000 lire mensile; tanto è vero che lo Storace aveva restituito al curatore del fallimento SAFA-SARDA la somma di lire 6.000.000, anche in dipendenza dei maggiori canoni corrisposti, oltre che per una serie di altre ragioni.

E il blocco dei canoni, così come era stato ritenuto valido per la società SAFA-SARDA e SOGEA, doveva vincolare anche il canone corrisposto dalla società U.N.I., in quanto succeduta nello stesso rapporto di locazione, in virtù di quanto dispone l’art. 1 della legge 23.12.1977 n. 928, a norma della quale appunto il canone dei contratti non soggetti a proroga in corso alla data del 31.10.1977 non poteva essere aumentato in caso di rinnovo del rapporto con altro conduttore.

La censura del terzo motivo – violazione dell’art. 1 D.L. 24.7.1973 n. 426, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia – lamenta l’omesso esame del punto 4 dell’atto di conciliazione redatto il 25.10.1977, nel quale viene esplicitamente detto che la locazione viene anticipatamente risolta in via di transazione al 30.6.1978, salvo che la SOGEA voglia anticipare tale data con preavviso di due mesi.

Il che significa che il contratto stipulato nel luglio del 1978 tra lo Storace e la società U.N.I. era anch’esso ricaduto nella disciplina limitativa delle norme vincolistiche emanate con la legge 24.6.1978 n. 298, il cui primo articolo aveva disposto l’ulteriore applicazione dei vincoli precedenti, anche nell’ipotesi di rinnovata locazione con altro conduttore.

Il canone ai due motivi ora sintetizzati, da esaminare nel loro complesso in considerazione della stretta connessione logica delle argomentazioni ivi esposte, la Corte rileva anzitutto che l’inefficacia delle clausole di adeguamento dei canoni al costo della vita, pattuito tra il luglio del 1973 e il 30 luglio 1978, giorno di entrata in vigore della normativa sull’equo canone, va riferita ai soli contratti soggetti alla proroga legale.

Il costante riferimento delle varie disposizioni contenute nell’art. 1 del decreto legge n. 426 del 1973, che tale inefficacia ha sancito per la prima volta, alle locazioni soggette a proroga legale, non consente di ravvisare nella norma, in difetto di una espressa volontà del legislatore, la introduzione di un sistema di blocco dei canoni operante per i contratti non soggetti a proroga.

A tale principio, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 1925 del 1981 e costantemente confermato in seguito, va aggiunto che secondo tale decisione non possono considerarsi soggetti a proroga quei contratti la cui scadenza sia stata fissata dalle parti ad una data successiva a quella stabilita dalla legge di proroga.

La disciplina della proroga legale, infatti, in quanto limita la libertà d’azione normalmente concessa alle parti, ha natura eccezionale e come tale è applicabile soltanto alle ipotesi specificamente previste dalla legge, il cui disposto inoltre non può sovrapporsi alla volontàa delle parti nelle ipotesi in cui queste, pur consapevoli del vincolo legale, vogliano regolare i loro rapporti in deroga, per soddisfare loro particolari interessi, fissando una data di scadenza che si protrae oltre il limite temporale indicato dalla norma.

Le parti in altri termini scelgono come forza propulsiva del rapporto, la loro volontà, derogando al precetto legislativo che in tali ipotesi non può sostituirsi ad esplicite contrarie manifestazioni di volontà.

Sulla base di tali premesse, va ritenuto che correttamente la Corte di merito ha escluso l’assoggettabilità del contratto 15.9.1975 alla proroga, avendo le parti pattuita una scadenza novennale (31.8.1984) – termine questo ben più lungo della proroga stabilita dalla legge 31.5.1975 n. 393, il cui art. 1 si era limitato a fissare una proroga dei contratti in corso alla data della sua entrata in vigore sino al 30.6.1976.

Tale circostanza sottraeva, come necessaria conseguenza, alla sanzione della inefficacia, anche la clausola di adeguamento, rimasta valida ed efficace tra le parti nel corso degli anni.

Ne consegue che anche il contratto 4.7.1978 stipulato con la società U.N.I. per una durata di tre anni a decorrere dal 1. luglio 1978, non era assoggettato ad alcun vincolo legale, essendo in quel periodo in vigore il decreto legge 24.6.1978, il cui articolo 1 aveva disposto la proroga limitatamente al 31 luglio 1978.

Si aggiunge invero che lo Storace aveva ammesso l’illegittimità del canone richiesto, accettando di restituire in sede di conciliazione della controversia la somma di lire 6 milioni, ma anche su tale punto la sentenza impugnata ha congruamente motivato rammentando l’esplicita menzione del verbale di conciliazione, nel quale viene specificato che i sei milioni sono stati versati “per una serie di ragioni delle quali non si riteneva dare espressa menzione”.

Termini questi comprensivi e del tutto generici, sulla base dei quali non appare affatto illogico escludere che il comportamento dello Storace suoni riconoscimento di una illegittima percezione di canoni.

La sentenza giustamente osserva che in quella occasione lo Storace non ha fatto nessun riconoscimento, e non sussiste alcuna valida ragione per ritenere che la particolarità dei rapporti regolati allo scopo di porre termine ad una lite insorta, non possa aver influenza sul presente giudizio.

Il ricorso infine, nel dedurre l’illegittimità dell’aumento di canone operato in occasione della stipulazione del contratto con la società U.N.I. il 4.7.1978, richiama il divieto sancito dall’art. 1 3. comma del decreto legge 24.6.1978 n. 298, secondo il quale il canone non può essere in nessun caso aumentato, neanche nell’ipotesi in cui la locazione venga rinnovata con altro conduttore.

Anche tale tesi peraltro non è in linea con l’interpretazione data alla norma da questa Corte, la quale, fondandosi ancora una volta sullo spirito della legislazione vincolistica di quegli anni e sulla stesa lettera della legge, ha più volte avvertito che il detto divieto, introdotto dal decreto legge 28.10.1977 n. 778 e confermato nei successivi decreti di proroga, tra cui il decreto n. 298 del 1978, trova applicazione soltanto per i contratti concernenti immobili destinati ad uso abitazione, e non anche per quelli relativi ad immobili non usati per abitazione.

Le leggi di proroga succedutisi sino al 1977 non avevano mai posto divieti di aumenti di canoni non soggetti a blocco in occasione di rinnovi contrattuali. In tale anno l’esigenza di frenare l’inflazione impose di estendere il divieto anche a tal genere di rapporti, con la testuale precisazione peraltro, ripetuta nelle tre normative susseguitesi prima dell’entrata in vigore dell’equo canone, che doveva trattarsi di locazioni relative ad “immobili urbani destinati ad uso abitazione”, tra le quali certamente non sono da ricomprendere i capannoni per cui è giudizio (cfr. tra le altre Cass. n. 2328 del 1985 e per utili riferimenti n. 4477 del 1985).

Va infine preso in considerazione il quarto motivo del ricorso, con il quale si deduce la violazione degli artt. 112 c.p.c. e 1284 cod. civ., per aver la Corte di Genova liquidato gli interessi del 15 per cento sulle somme dovute, anziché il tasso legale, nonostante che lo Storace si fosse limitato a richiedere nelle conclusioni interessi legali rivalutati dalle singole scadenze al saldo.

La deduzione va disattesa, sul rilievo che la Corte di Genova, interpretando con incensurabile apprezzamento la richiesta non soltanto di interessi, bensì di interessi “rivalutati”, come deduzione di un maggior danno, rispetto alla privazione di danaro in tempi normali, ha riconosciuto che il maggior tasso fosse dovuto per la subita privazione del danaro impiegabile con le “usuali modalità di impiego in tempo di forte inflazione” – termini questi indubbiamente riferiti al riconoscimento della mancata possibilità di acquisire profitti maggiori dei soli interessi legali con opportuno impiego del danaro, essendosi in tempo di accentuata inflazione.

Il ricorso incidentale deduce a sua volta in via preliminare la nullità della notificazione del ricorso principale della società, mancando nella relativa relata di alcune indicazioni prescritte dall’art. 148 c.p.c., cioé la indicazione della persona richiedente, la attestazione di conformità della copia notificata all’originale, la dichiarazione di avvenuta consegna della copia, con la qualifica della persona destinataria e del luogo in cui la consegna è stata effettuata. E’ stato altresì violato l’art. 330 c.p.c., aggiunge la doglianza, in quanto l’Avv. Giulietta Barabino, consegnataria del ricorso, aveva espletato funzioni di procuratore domiciliatario dello Storace nel giudizio di primo grado, non anche in quello di secondo grado dinanzi al Tribunale di Genova.

Nel giudizio di secondo grado, invece, l’atto di appello era stato proposto dal solo avv. Foppiano, poi costituitosi in giudizio, quale procuratore ad litem dello Storace, con esplicita elezione di domicilio nel suo studio.

Le due tesi vanno entrambe disattese, considerando anzitutto che la parte finale del ricorso reca la firma dell’Avv. Boazzelli, difensore della società U.N.I., accompagnata dalla richiesta di notifica al “sig. Antonio Storace nel suo domicilio eletto in Genova Sampierdarena, Via Cantore 47-1, presso lo studio dall’Avv. Giulietta Barabino” – termini questi dai quali si ricava in modo inequivocabile che l’Avv. Boazzelli è la persona che richiede la notifica, ed esclude ogni ipotesi di nullità, potendo l’indicazione essere desunta anche dal contesto dell’atto notificato (cfr. Cass. n. 2147 del 1977).

L’attestazione di conformità della copia notificata non è requisito specificamente prescritto dall’art. 148, essendo presunta la conformità, salvo prova del contrario, mentre gli altri due requisiti, cioé la dichiarazione di avvenuta consegna, la menzione del luogo della consegna e la qualifica della persona destinataria, risultano regolari.

La richiesta infatti, espressa nei termini ora detti, è accompagnata dalla seguente attestazione dell’ufficiale giudiziario: “ricorso notificato il 13.9.1983 a mani proprie da parte di aiutante ufficiale giudiziario della Pretura di Sampierdarena M. Battista”.

Dall’insieme delle due frasi quindi possono essere ricavate tutte le indicazione prescritte dalla norma.

In relazione alla pretesa violazione dell’art. 330 c.p.c., va aggiunto che non avendo lo Storace provveduto a notificare la sentenza di secondo grado, la società U.N.I. ha proceduto alla notificazione del ricorso sulla base delle indicazioni contenute nella sentenza, la cui intestazione reca appunto l’attestato che lo Storace “é elettivamente domiciliato in Sampierdarena, via Cantore 47-I presso lo studio dell’Avv. Barabino che lo rappresenta e difende”. A parte tale considerazione, va ricordato che per costante indirizzo di questa Corte, ogni nullità della notificazione del ricorso per cassazione, eseguita in violazione del requisito relativo alla persona destinataria della notifica, è da ritenere sanata ex tunc qualora l’intimato si costituisca nella cancelleria della Corte, sia pure al solo scopo di dedurre il vizio, dimostrando in tal modo che l’atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato (cfr. tra le altre Cass. n. 4118 del 1981, n. 5374 del 1983 – per utili riferimenti anche n. 4079 e 4344 del 1985).

Nella specie è risultato che il controricorso è stato tempestivamente proposto.

Con ulteriore deduzione, lo Storace critica la sentenza nella parte in cui, disattendendo l’istanza di rivalutazione del credito dello Storace per differenza canoni corrisposti in meno del dovuto, ha ritenuto che lo stesso sia di valuta, in quanto soggetto al principio nominalistico.

La quantità della prestazione dovuta anche per tale titolo, si precisa, è determinata in funzione del suo potere di acquisto, per cui il creditore ha diritto di conseguire la prestazione in misura corrispondente a quel potere di acquisto.

A tal riguardo sembra sufficiente replicare sinteticamente che le obbligazioni aventi come oggetto diretto ed originario la corresponsione di somme di danaro, sono soggette al principio nominalistico enunciato dall’art. 1277 cod. civ., il quale spiega i suoi effetti anche dopo la scadenza, ponendosi la svalutazione come danno le cui conseguenze non possono essere riconosciute automaticamente, ma soltanto nelle ipotesi in cui venga dimostrata la sua esistenza, quale elemento che si aggiunge alla misura degli interessi. Si ha invece debito di valore, invocato nel ricorso, nelle ipotesi in cui l’obbligazione si traduce in espressione monetaria, come sostitutivo equivalente dell’originario debito.

E l’obbligazione di corrispondere gli aumenti ISTAT alle scadenze annuali certamente hanno un importo ben determinato sin dal loro sorgere, in quanto sono rapportabili a parametri ben precisi che li rendono calcolabili in misura esatta: non possono quindi non soggiacere al principio nominalistico che li rendono insensibili al mutamento di valore della moneta verificatisi medio tempore (per utili riferimenti Cass. n. 3168 del 1974).

L’ultima doglianza infine lamenta che la Corte abbia dichiarato inammissibile la richiesta di anatocismo semestrale sugli interessi moratori maturati, in applicazione dell’art. 1283 cod. civ., sul rilievo che la relativa domanda era stata avanzata solo in grado di impugnazione, mentre in realtà che la stessa era stata formulata anche nelle conclusione presentate al Pretore.

Anche tale argomentazione va disattesa, considerando che nel giudizio dinanzi al Pretore nessun cenno si fa all’anatocismo, né in atto di citazione, né nelle conclusioni formulate al termine dell’istruttoria probatoria e riportate nelle premesse della sentenza. La risposta della Corte di Genova è quindi corretta.

Sembra appena il caso di ricordare che la sentenza deve rispondere alle domande formalmente inserite nelle conclusioni, le quali delimitano l’ambito del petitum, Va aggiunto che nessun altro scritto difensivo del giudizio di Pretura fa riferimento all’anatocismo, all’infuori di un semplice riferimento contenuto nella memoria 6.11.1981 illustrativa delle conclusioni formulate (e ricordata dal ricorrente) senza che lo stesso si fosse stato concretato in una formale richiesta inserita nelle conclusioni.

Per le ragioni esposte, i due ricorsi vanno rigettati con la totale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, concorrendo a tale statuizione giuste ragioni.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 12 maggio 1987 nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 30 MARZO 1988