Svolgimento del processo

La Sezione di Credito Agrario della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, creditrice della S.p.A. Canova per prestito agrario di miglioramento fondiario rappresentato dalla cambiale agraria di originarie L. 30 milioni emessa il 24 novembre 1964 con scadenza ad un anno data, a garanzia del puntuale pagamento iscrisse presso l’Ufficio dei Registri Immobiliari in data 17 dicembre 1964 ai nn. 69899-7182 ipoteca volontaria sino a concorrenza di L. 38.100.000 ( di cui 8.100.000 per le ragioni che potevano spettare alla sezione per eventuali interessi moratori e spese, per imposta, tasse, anticipazioni, spese giudiziali e stragiudiziali…”) su immobili siti nei comuni di Torrevecchia Pia, Landriano e Bascapé.

A fronte del mancato pagamento dell’importo della cambiale la Sezione di Credito promosse espropriazione forzata sugli immobili ipotecati a proprio favore. Il giudice dell’esecuzione autorizzò la società debitrice a vendere i propri esistenti sui fondi pignorati e in sede di predisposizione del progetto di riparto del ricavato la Sezione di Credito precisò di essere creditrice della somma di L. 85.974.553 di cui 30 milioni per capitale della cambiale scaduta il 24-11-1965 e L. 55.974.553 per interessi corrispettivi e di mora computati ai tassi pattuiti e con capitalizzazione annuale, al netto dei versamenti in acconto effettuati dalla S.p.A. Canova, per complessive L. 17.190.000.

L’amministratore della società debitrice dichiarò di riconoscere alla creditrice soltanto la somma di l. 43.000.000 contestando la differenza in quanto a suo avviso non era stata fornita la prova dei tassi autorizzati in misura extralegale né era dovuto il “capitalizzo” degli interessi di mora scaduti.

Con sentenza 3 marzo 1981 il Tribunale ritenuto che la Sezione di credito Agrario avesse diritto anche ad interessi al tasso superiore all’8,25% e precisamente nella misura documentale provata e che alla stessa Sezione era consentito per accordo, di applicare, in deroga all’art. 1283 cod. civ. gli interessi sugli interessi di mora, determinò la somma dovuta dalla S.p.A. Canova alla Sezione in L. 62.140.578 al maggio 1976 oltre gli interessi sul capitale ai diversi tassi in vigore da detta data fino al 28 giugno 1978 e condannò la Sezione a rimborsare alla Soc. Canova un terzo delle spese processuali (liquidate in L. 642.000) in considerazione del parziale accoglimento delle contestazioni dalla stessa proposte e, compensati i restanti 2-3 (due terzi).

Con la sentenza ora impugnata la Corte d’appello di Milano ha dichiarato che il credito della Sezione di Credito Agrario della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde nei confronti della debitrice esecutata Soc. p. Az. Canova, era di L. 85.974.653 alla data del 28 giugno 1978 e che la stessa Sezione di Credito Agrario ha diritto di percepire in sede esecutiva la residua somma di L. 42.974.653 oltre ulteriori interessi maturati e maturandi, condannando la soccombente alle spese di entrambi i gradi.

Avverso questa pronunzia ha proposto ricorso la S.p.A. Canova, articolando tre mezzi di cassazione.

Resiste la sezione di credito della Cassa delle Provincie Lombarde con deposito di controricorso.

Le parti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo -denunciando violazione degli artt. 2722, 1194, 1988 C.C. 112 C.P.C ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 C.P.C.- la S.p.A. Canova censura la parte della sentenza impugnata che ha escluso, con riguardo a taluni pagamenti da essa indicati, la imputazione specifica a capitale (d’accordo con la sezione creditrice) ed il conseguente venir meno del correlativo debito per interessi moratori.

Premesso che a norma dell’art. 1194 c.c. la prova del consenso del creditore all’imputazione del pagamento al capitale, anziché agli interessi, deve essere fornita dal debitore, non è censurabile in questa sede la diversa opinione espressa dai giudici del merito perché sorretta da adeguata motivazione, che, nonostante qualche imprecisione (facilmente correggibile) risulta sostanzialmente immune da vizi logico-giuridici.

Esaminando le lettere prodotte dalla soc. Canova a sostegno del suo assunto, i giudici della Corte del merito hanno, infatti, ritenuto che nelle stesse mancasse un’espressione chiara e univoca da cui poter desumere quel consenso, e ciò non soltanto con riferimento alle tre quietanze di L. 1.000.000 ciascuna, a quella di L. 1.500.000 ed a quella di lire 2.500.000 (nelle quali, oltre al riferimento del numero della pratica, manca qualsiasi altro elemento significativo), ma anche con riferimento alla lettera 26 ottobre 1973 nella quale la creditrice sezione di credito, nell’accusare ricevuta della somma di L. 4.240.000, dichiara che tale somma sarebbe stata utilizzata “in parte a saldo delle spese, onorari legali e di perizia tecnica e interessi di mora maturati a tutt’oggi, ed in parte a deconto della maggiore esposizione della pratica a margine.

Al riguardo la Corte milanese ha ritenuto che l’ultima espressione non potesse univocamente riferirsi al capitale, essendo la debitrice insolvente all’epoca anche degli interessi corrispettivi ed ha poi tratto argomento di prova a sostegno del suo convincimento dalla lettera della soc. Canova in data 21 maggio 1976 nella quale la S.p.A. riconosce di essere debitrice alla stessa data della somma di lire 62.140.578 “per capitale e interessi e che sullo stesso importo verranno pagati gli interessi moratori”.

Tale ragionamento non può ritenersi invalidato, sotto il profilo logico-giuridico dalle osservazioni della ricorrente giacché quell’espressione è effettivamente equivoca, né il suo senso è desumibile, con la certezza che la prova richiede, dal rilievo che a parte gli interessi di mora e le spese, non esisteva altra “esposizione”; non risulta, infatti, dimostrato (se non mediante un generico richiamo a scritti difensivi del giudizi di merito) l’assunto della spa Canova che non erano dovuti interessi compensativi, come invece i giudici del merito hanno ritenuto. E’ vero che erroneamente i giudizi anzidetti hanno ritenuto inammissibile ex art. 2722 c.c. la prova dei testimoni dedotta al riguardo, non vertendo la stessa su patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento negoziale. Ma gli stessi giudici hanno ritenuto inammissibile la medesima prova anche ai sensi dell’art. 2721 cpv c.c., ritenendo che per la qualità della parti, la natura del rapporto, che ammette deroghe da dimostrare però in modo rigoroso, e la circostanza che la debitrice dall’inizio del rapporto era stata sempre insolvente, non fosse consentito superare i limiti di cui al 1. co. della stessa norma.

E sotto tale profilo la decisione di merito non appare sindacabile in questa sede.

Con il secondo motivo -adducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1124, 1284, 1815 C.C., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 C.P.C.- critica la decisione di secondo grado anche per avere confermato la legittimità della pretesa della sezione creditrice di applicare interessi moratori ad un tasso variabile nel tempo, basandosi sul fatto che la loro debenza “in misura del 2% superiore al tasso in corso per il prestito” (come stabilita nella domanda di mutuo dell’agosto 1964) andava posta in correlazione con la clausola (dell’atto di concessione del novembre 1964) che fissava, per il prestito, un “tasso annuale del 6,25%… o il diverso tasso in vigore nel giorno delle successive eventuali rinnovazioni”.

Anche a tale censura si rivela inammissibile in sede di legittimità. I giudici della Corte di merito, infatti, hanno ritenuto, con ragionamento logicamente ineccepibile e privo di vizi logici o giuridici, che le pattuizioni di cui all’atto 24 novembre 1964, concernenti gli interessi corrispettivi, e quella di cui alla domanda di prestito, riguardante gli interessi moratori, coordinate tra loro, portano alla logica conclusione che le parti intesero fissare gli interessi corrispettivi in misura extralegale” con le variazioni in più o in meno che si fossero riscontrate nel giorno delle successive eventuali rinnovazioni, ancorando a tali variazioni anche il tasso degli interessi moratori, convenuti in misura del 2% superiore al tasso degli interessi corrispettivi. La Corte anzidetta si è altresì diffusa nell’esame della dichiarazione contenuta in calce alla lettera 1-10-1975 e del contenuto delle lettere 4 e 6 ottobre 1971 scambiatesi dalle parti, per trarne altri argomenti a sostegno del suo convincimento, che risulta così sorretto da congrua motivazione.

Con il terzo mezzo si prospetta, infine, la violazione degli artt. 1283 C.C. e 112 C.P.C. in relazione all’art. 360 n. 3 C.P.C., denunciandosi il punto della decisione di secondo grado che, in accoglimento dell’appello incidentale della sezione creditrice, ha affermato il diritto della medesima all’anatocismo annuale sugli interessi moratori secondo consuetudini bancarie, e motiva la propria censura osservando, per un verso, che l’applicazione dei detti usi non era stata invocata neppure dalla creditrice (e dunque andava ultra petitum) e, per altro verso, che trattavasi comunque di usi riguardanti esclusivamente operazioni di credito ordinario e non riferibili a crediti speciali come quello agrario in questione.

Il problema èstato già risolto da questa Corte (sent. n. 6631 del 1981) che ha così statuito:

gli usi che consentono l’anatocismo, richiamati dall’art. 1283 Cod. Civ., sono usi normativi, in quanto operano sullo stesso piano di tale norma (secundum legem) come espressa eccezione al principio generale ivi affermato, onde essi hanno l’identica natura delle regole dettate dal legislatore ed il giudice può applicarli attingendone comunque la conoscenza (iura novit curia), con la conseguenza che anche in sede di legittimità è ammessa una indagine diretta sugli usi in questione e, una volta accertatane l’esistenza, una decisione sulla base dei medesimi, indipendentemente dalla allegazioni delle parti e dalle considerazioni svolte in proposito dai giudici del merito.

Il ricorso va pertanto rigettato con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese liquidate in L. 90.500= oltre agli onorari in lire 2.000.000.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio della IIIa sez. civ. il 23 settembre 1987
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 6 GIUGNO 1988