Svolgimento del processo

Con citazione del 22.7.80 Salvatore Di Vaio conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli il Comune della stessa città.

Premesso che era proprietario di un suolo sito in Napoli-Piscinola riportato in catasto al f. 3 particella 95; che il Presidente della Giunta Regionale Campana, con decreto 28 dicembre 1973, ne aveva autorizzata l’occupazione al fine della realizzazione di opere necessarie per l’attuazione del piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico a cura del Comune di Napoli, ai sensi della legge n. 167-1962; che il Comune in data 29.1.1974 aveva preso possesso del suolo,ma a tanto non erano seguite né la determinazione della relativa indennità né l’emanazione del decreto di espropriazione – tutto ciò premesso, chiedeva la condanna del convenuto al risarcimento dei danni e al pagamento dell’indennità di occupazione legittima, con i relativi interessi.

Instauratosi, il contraddittorio, il Comune insisteva che nella valutazione del danno si tenesse conto della natura agricola del suolo.

Il Tribunale, con sentenza 6.4.1981, condannava il Comune a pagare all’attore la somma di L. 100.920.000, con gli interessi legali su lire 20.184.000 a partire dal 30.1.1979, oltre alle spese giudiziali.

Rilevava, tra l’altro, il Tribunale:

a) che l’essere l’occupazione avvenuta in attuazione di un preesistente vincolo urbanistico non escludeva che il suolo dovesse essere valutato come se quel vincolo non esistesse e che, quindi, nel concorso di tutti i relativi requisiti, dovesse essere considerato edificatorio;

b) che, sulla base di una serie di elementi di comparazione, il valore del suolo, nell’attualità, poteva essere stabilito in L: 80.736.000 (in ragione di L. 29.000 al mq. per mq. 2784);

c) che non spettavano invece all’attore gli interessi su tale somma con decorrenza dall’inizio dell’occupazione illegittima, perché il relativo danno era assorbito dalla rivalutazione, all’attualità, della somma-capitale;

d) che a titolo di indennità per l’occupazione legittima (durata 5 anni) spettava la somma di L. 20.184.000 (ragguagliata agli interessi legali sul capitale) e che su tale somma competevano gli interessi legali con decorrenza dalla data di maturazione del credito (30.1.79).

Avverso questo sentenza proponeva appello il Di Vaio e successivamente, in via incidentale, anche il Comune.

L’appellante principale si doleva per non essergli stati riconosciuti gli interessi legali anche sulla somma liquidata a titolo di risarcimento danno per la perdita definitiva dell’immobile, con decorrenza dall’inizio dell’occupazione illegittima; e altresì chiedeva la rivalutazione di tutte le somme liquidate a proprio favore dalla sentenza di 1° grado.

Il Comune si lamentava, invece, che la sentenza impugnata aveva ritenuto edificatorio il suolo de quo, senza considerare che esso era compreso nel piano della legge n. 167 del 1962 (recepito nel piano regolatore della città di Napoli), in attuazione del quale era stato occupato; in ogni caso, chiedeva che la condanna di risarcimento del danno fosse limitata alla differenza tra la somma liquidata e quella a suo tempo depositata nelle forme di legge e che fosse tenuto conto (con dovuta rettifica del quantum) che la parte di suolo occupata per la realizzazione dell’opera pubblica era estesa soltanto mq. 2783.

L’adita Corte d’appello di Napoli, con sentenza 14 maggio 1982, accoglieva l’appello principale del Di Vaio e per quanto di ragione (con riferimenti all’effettiva estensione del suolo definitivamente occupato) l’appello incidentale del Comune e quindi, in parziale riforma, condannava il Comune a pagare al Di Vaio la somma di L: 118.033.987, oltre gli interessi legali a decorrere dal 30.1.1979 e le ulteriori spese processuali.

Ricorre, ora, per cassazione il Comune, allegando due mezzi di censura; resiste con controricorso il Di Vaio.

Motivi della decisione

Deduce il ricorrente, con il primo mezzo, violazione di legge (art. 1223 c.c. in relazione all’art. 2056 c.c. e agli artt. 1224 e 1277 c.c.); difetto assoluto di giurisdizione: erroneamente la Corte di appello ha disatteso la richiesta del Comune che il risarcimento preteso dall’attore per l’occupazione illegittima dell’immobile dovesse essere calcolata in rapporto al valore agricolo e non edificatorio, che l’immobile aveva in commercio, dato che per lo stesso non sussisteva mercato edilizio, essendo sottratto dal piano di zona della legge n. 167 del 1962 alla formale edificazione.

Precisamente, quando il fondo è compreso nel piano della l. n. 167-62 il Comune ha, in base all’art. 35 della legge n. 865 del 971, il potere di espropriare per concedere, al massimo, a cooperative godenti i benefici dell’edilizia economica e popolare il diritto di superficie; cosicché non sussiste mercato edilizio per i suoli compresi in tali comprensori e pertanto il valore dei suoli stessi, secondo le norme e i principi che regolano il risarcimento del danno, non può essere commisurato a valori di edificabilità.

Inoltre, la Corte di merito ha obliterato che, nella determinazione del danno da risarcire, il Comune non invocava una valutazione diversa o minore di quanto il proprietario avrebbe potuto realizzare per effetto dell’espropriazione, ma il riconoscimento di una indennità non commisurata ad altro che al valore non edificatorio di mercato dell’immobile; il che non equivaleva alla precisa commisurazione del danno alla perdita patrimoniale subita per la mancata espropriazione cui il Comune avrebbe dovuto procedere nei termini di legge. Aggiungendosi che non erano provato né era in alcun modo provabile che attraverso l’espropriazione il privato avrebbe potuto conseguire un maggiore indennizzo di quello risultante dal prezzo del suolo non edificabile.

Del resto, il risarcimento del danno non deve essere commisurato che alla perdita patrimoniale subita dal soggetto leso, per il principio posto dall’art. 2056 in relazione all’art. 1123 c.c. e non può costituire una misura punitiva non consentita dall’ordinamento giuridico, quale verrebbe ad essere quella della determinazione dell’indennizzo senza riferimento al giusto valore del bene, secondo il prezzo conseguibile in libera contrattazione di mercato, tenuto conto – in deduzione – di eventuali vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore, ove preesistenti all’occupazione. Infatti, nella materia non sussiste alcun “ius puniendi” cosicché l’inflizione della misura punitiva costituisce difetto assoluto di giurisdizione.

Infine, sotto altro profilo la sentenza impugnata ha violato i principi del risarcimento del danno: ha accordato all’appellante (principale) anche gli interessi compensativi sull’indennizzo già adeguato dal Tribunale alla svalutazione monetaria e quindi comprensivo di ogni perdita subita; e in più, pur avendo applicato gli interessi compensativi, ha ulteriormente rivalutato l’indennità determinata dal Tribunale.

Le mosse censure sono infondate.

E’ da rilevare innanzitutto che la censura di difetto di giurisdizione è solo apparente, poiché – al di là dell’espressione letterale impropriamente adottata – nella sostanza non viene prospettata una questione di giurisdizione (ex art. 37 c.p.c.), in quanto il motivo di gravame ha per oggetto la contestazione dei criteri adottati per liquidare il danno e non il potere del giudice di decidere la controversia, ed attiene perciò al merito della causa.

Quanto alle altre doglianze, va osservato che la Corte di appello ha accertato (con motivazione adeguata ed immune da vizi logici) che il suolo occupato al fine della realizzazione di opere necessarie per l’attuazione del piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico, aveva qualità edificatoria, ricordando che, a prescindere dai vincoli di P.R. e della legge n. 167-62, alcun motivo di gravame subordinato era stato proposto (dal comune) circa l’assenza dei requisiti edificatori del suolo o circa un minor valore che il suolo stesso, anche se edificatorio, potrebbe avere; e con ciò per implicito richiamando e facendo sua la motivazione del Tribunale sul punto che aveva rilevato che, quanto al valore di mercato del bene all’epoca indicata, molti erano i parametri di riferimento forniti dall’attore; e da essi era dato desumere che – prima dell’approvazione del piano e della sua esecuzione – il mercato dei suoli della zona era molto vivo, in quanto quel territorio si trovava proprio nella direttrice di espansione del nucleo urbano di Napoli e dava – nel periodo dal 1977 al 1980 – un prezzo (per gli altri suoli della medesima area) dalle 20.000 alle 29.000 lire al mq. Ha così, come già il Tribunale, ritenuto che nella valutazione dovesse tenersi conto del regime urbanistico vigente nel periodo dell’inizio dell’occupazione ed ha quindi negato che nella valutazione potessero incidere i vincoli preordinati all’espropriazione; ed ha liquidato i danni, tenendo conto del valore dei terreni limitrofi (come fatto già dal Tribunale). Tanto premesso, il criterio adottato per la determinazione del danno è giuridicamente ineccepibile e non merita la mossa critica.+ Questa Corte ha da tempo affermato (Cass. Sez. Unite n. 6019-80 e n. 4823-80) e per ultimo ancora ribadito (Cass. n. 2201-84 e n. 2873-85) che qualora il suolo, gravato da vincolo di destinazione, formi oggetto prima di occupazione temporanea protrattasi oltre il limite temporale consentito e poi di espropriazione per pubblica utilità, il giudice – adito per determinare sia l’indennità di occupazione legittima, sia il danno derivante dalla occupazione legittima, sia infine l’indennità di espropriazione – non deve tener conto dell’influenza negativa da tale vincolo esercitata sul valore di mercato del bene, vuoi nel caso in cui l’occupazione sia avvenuta in vista dell’attuazione della finalità pubblica alla quale l’imposizione del vincolo era preordinata, e vuoi persino, nel caso in cui abbia realizzato finalità pubbliche diverse, atteso che altrimenti – si verrebbe ad introdurre una non consentita ipotesi di non indennizzabilità in relazione ad una limitazione del diritto dominicale su beni determinati.

E con più aderenza al caso di specie, ad analoghe conclusioni questa Corte è pervenuta in materia di risarcimento del danno conseguente ad irreversibile utilizzazione per finalità pubbliche del bene occupato, avendo affermato che i vincoli preordinati all’espropriazione per pubblica utilità nei contenuti negli strumenti urbanistici, come non sono computabili, nella loro incidenza negativa sul valore venale di un immobile, al fine della liquidazione dell’indennità di espropriazione, così non possono essere calcolati in sede di quantificazione del risarcimento sostitutivo di quel valore, spettante al proprietario in caso di illegittima ed irreversibile occupazione del bene medesimo (Cass. 4544-80; 6558-80; 2407-79).

In conclusione, alla stregua di tali principi (da cui non v’é motivo per discostarsi) è da escludere che l’inclusione del terreno di cui trattasi nel piano di zona di cui alla l. n. 167-62 potesse incidere sull’entità del risarcimento dovuto al proprietario in conseguenza del fatto ablatorio della P.A. ed il valore del fondo doveva perciò essere riferito ad un suolo edificatorio non soggetto a vincoli urbanistici. E non v’é dubbio che, dovendosi tener conto ai fini della valutazione delle caratteristiche edificatorie del suolo e della sua ubicazione, considerando peraltro come inesistenti i vincoli urbanistici, il criterio estimativo più corretto sia indubbiamente quello della comparazione con terreni limitrofi, cui hanno fatto riferimento i giudici di merito. Sono inconsistenti anche le censure (in motivo) relative alla rivalutazione dei danni ed alla corresponsione (anche) di interessi compensativi.

L’obbligazione risarcitoria, essendo un tipico debito di valore, deve sempre essere adeguata alla perdita di valore della moneta, come hanno precisato le Sezioni Unite di questa Corte Suprema con l sentenza n. 1464 del 1983. E’ quindi corretto che la Corte di merito, confermando il procedimento adottato dal Tribunale, abbia aggiornato i valori di mercato riferiti al momento dell’occupazione, rivalutandoli al mutato potere di acquisto della moneta verificatosi fino al momento della pronuncia. Quanto, poi, alla riconosciuta, in obbligo, corresponsione anche di interessi sul quantum, è giurisprudenza costante di questa Corte che la rivalutazione della somma liquidata a titolo di risarcimento danni e gli interessi sulla somma rivalutata assolvendo funzioni diverse, perché la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale essa era prima del fatto illecito generatore del danno ed a porlo nelle condizioni in cui egli si sarebbe trovato se l’evento dannoso non si fosse verificato, mentre i secondi hanno solo carattere compensativo (per il correlativo mancato godimento dei frutti, durante l’occupazione illegittima) e conseguentemente sono, in tal contesto, giuridicamente compatibili; di talché, sulla somma risultante dalla rivalutazione debbono essere corrisposti gli interessi dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso (Cass. n. 5598-80; 5550-79; 4817-79; 3809-79).

Con il secondo mezzo deduce il ricorrente violazione degli artt. 72 L. 25.6-1985 n. 2359 e 20 L. 22.10.71 n. 865: erroneamente, con palese spirito del diritto, la Corte di merito ha ancorato alla regola della rivalutazione pur l’indennità di occupazione legittima che è debito di valuta, come è incontestabilmente debito di valuta l’indennità di espropriazione.

Il motivo è inammissibile.

Invero, sul punto, prima del giudice di appello si era pronunciato il Tribunale (v. sentenza di 1° grado, penultima pagina), dando anche alla indennità per occupazione legittima il valore monetario attualizzato, ma, in proposito, nessuna lagnanza a suo tempo ha mosso il Comune con la sua impugnazione incidentale (vedi conclusioni di appello), solo dolendosi che – non reietta la domanda attrice – in ogni caso, il risarcimento andava determinato con riferimento ai valori agricoli (con riduzione, inoltre, del risarcimento stesso alla differenza tra il valore accertato e l’indennità depositata).

Laonde,sul punto si è ormai formato il giudicato e ogni lagnanza è alla parte interessata preclusa.

Consegue che il ricorso va in toto respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso come in atti proposto e condanna il Comune ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessive L. 1.585.000, ivi comprese L. 1.500.000, per onorari di avvocato.
Roma, 1.7.1985
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 25 GENNAIO 1986