Svolgimento del processo

Con atto notificato il 4 novembre 1977 Lucia Ramon vedova di Gianfranco Bianco, Mario Bianco ed Amelia Ortolan, genitori del predetto, e Roberto Bianco, fratello dello stesso – premesso che il loro congiunto era deceduto in data 24 luglio 1973 in occasione di un incidente stradale accaduto per colpa esclusiva di Giovanni Puppin, conducente di un veicolo di proprietà di Gemma Puppin ed assicurato per la R.C.A. presso la “Unions des Assurances de Paris I.A.R.D.”; che la responsabilità del Puppin era stata definitivamente accertata in sede penale e che la provvigione concessa dal giudice penale a favore della vedova e dei genitori della vittima era stata corrisposta dai responsabili civili – convenivano davanti al Tribunale di Treviso i fratelli Puppin, unitamente alla società assicuratrice parigina, per sentirli condannare al risarcimento dei danni sofferti, con rivalutazione monetaria ed interessi sulla attribuenda somma risarcitoria e con eventuale superamento dei massimali di polizza (20 milioni per danni a persona; 5 per danni a cose).

Resistenti i convenuti, il Tribunale adito, con sentenza del 23 gennaio 1982, accertava: a) che secondo i valori correnti alla data del mortale incidente (luglio 1973) i danni sofferti dai superstiti ammontavano, rispettivamente a L. 33.678.000, di cui L. 750.000 per la distruzione dell’autovettura, per la vedova; a L. 2.875.000, di cui L. 375.000 per la distruzione dell’autovettura, per ciascuno dei genitori; ed a L. 750.000 per il fratello; b) che a tali importi dovevano essere aggiunti altri importi, pari al 130% del loro ammontare, a titolo di rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT (trattandosi di creditori piccoli risparmiatori che avrebbero destinato le somme a beni di consumo); c) che dagli importi, così rivalutati, dovevano essere detratti gli acconti ricevuti (nel novembre del 1974 e nel febbraio del 1979) pur essi rivalutati alla attualità per rendere omogenei i termini del conteggio; d) che la società assicuratrice era tenuta a corrispondere, anche oltre il massimale per danni a persona, gli interessi moratori ed il ristorno dei maggiori danni, ex art. 1224 c.c. per avere ingiustificatamente ritardato il pagamento in favore dei danneggiati, al di là del termine di sessanta giorni dalla richiesta risarcitoria ( del 30 luglio 1973) nonostante la congruità di essa e la incontestabilità della responsabilità dell’assicurato; e) che, rivalutati i massimali e gli acconti, la “Union des Assurances de Paris” risultava ancora debitrice, verso gli attori, ed in solido con i fratelli Puppin, sino all’ammontare di L. 9.894.200 per i danni alla persona e sino all’ammontare di L. 3.450.000 per i danni alle cose, mentre il debito dei Puppin ascendeva a somme superiori ( L. 47.445.600, L. 4.412.500, L. 4.412.500 e L. 1.725.000 rispettivamente a favore di Lucia Ramon, di Mario Bianco, di Amelia Ortolan e di Roberto Bianco).

Avverso tale sentenza interponevano gravami tutte le parti. Con sentenza del 6 aprile 1983 la Corte di Appello di Venezia riformava – per quanto in questa sede ancora interessa – la sentenza di primo grado nei modi seguenti:

a) in accoglimento di una censura della società assicuratrice, riduceva a L. 27.678.000 il danno risarcendo in favore di L. Ramon, secondo i valori correnti nel luglio del 1973;

b) in accoglimento di una censura mossa dalla Ramon e dai Bianco, quantificava il pregiudizio da svalutazione monetaria in importo pari al 270% ( e non al 130% ) dei danni – base; importo da sommare allo altro, seguendo la proporzione: 1 lira del luglio 1973= lire 1,20 del novembre 1974; I lira del novembre 1974= lire I,60 del febbraio 1979; I lira del febbraio 1979= lire I,93 dell’aprile 1983 – e tenendo calcolo degli acconti versati nel novembre del 1974 e nel febbraio 1979 determinava in L. 60.746.280, in L. 9.114.000, in lire 9.114.000 ed il L. 3.337.500 il risarcimento dai fratelli Puppin rispettivamente dovuto alla vedova, ai genitori ed al fratello della vittima, oltre agli interessi, via via maturati;

c) in parziale accoglimento di altra doglianza della Ramon e dei Bianco, elevava alla misura di lire 20.403.180 l’importo sino al quale la società assicuratrice era tenuta, in solido con i Puppin, al ristorno del maggior danno sofferto dalla vedova, che non si era vista mettere a disposizione il massimale di polizza sin dal 1973.

Per il resto, la Corte di Appello disattendeva altre censure dei danneggiati (circa la mancata imputazione degli acconti ricevuti a detrazione prima degli interessi e poi del capitale) e della società assicuratrice (circa il contenimento della condanna entro il limite del massimale e la non idoneità della missiva del luglio del 1973 a provocare gli effetti della costituzione in mora).

Per la cassazione della sentenza resa dalla Corte veneziana, hanno proposto ricorso, da un lato la soc. per azioni U.A.P. Assicurazione e Riassicurazione (già rappresentante per l’Italia della Union des Assurances del Paris I.A.R.D.), sulla base di due motivi; e dall’altro lato la Ramon ed i Bianco, per via incidentale mediante controricorso, esponendo tre censure.

Al ricorso incidentale la società suindicata ha resistito con controricorso.

Giovanni e Gemma Puppin non si sono, in questa sede costituiti.

Motivi della decisione

I due motivi devono essere anzitutto riuniti. I. – Con il primo mezzo di annullamento la società assicuratrice, ricorrente principale, deducendo la falsa applicazione dell’art. 1917 c.c. e dello art. 18 della legge N. 990 del 1969 in relazione all’art. 360 n. 3 CPC, si duole di essere stata riconosciuta debitrice, nei confronti della Ramon, di somma superiore al limite del massimale di polizza già versato, a titolo di danni da inadempimento per non avere posto detto massimale a disposizione dello avente diritto sin dal 1973; e sostiene che oltre il predetto limite il danneggiato sarebbe privo di legittimazione attiva nei confronti dell’assicuratore, avendo oltre tutto il debito di questi natura di debito di valuta e non di valore.

La censura, sorretta dal richiamo a precedenti giurisprudenziali di questa Corte anteriori alla sentenza n. 5218 resa dalle Sezioni Unite in data 29 luglio 1983, trova in detta pronuncia (che pose termine a precedenti contrasti) integrale ed insuperabile smentita.

Si è, infatti, da allora consolidato il principio secondo cui la richiesta del danneggiato effettuata ai sensi dell’art. 18 della legge n. 990 del 1969 ove contenga tutti gli elementi necessari a che l’assicuratore sia in gradi di valutarne il fondamento nel termine dilatorio di 60 giorni accordatogli dalla legge, configura alla scadenza di detto termine, un atto di costituzione in mora produttivo degli effetti di cui all’art. 1224 c.c. e comporta a carico dell’assicuratore, il quale abbia ritardato la prestazione senza valida giustificazione, l’obbligo di corrispondere gli interessi moratori e l’eventuale maggior danno, ivi compreso quello derivante da sopravvenuta svalutazione monetaria; obbligazioni queste entrambe svincolate dalla limitazione costituita dal massimale di polizza ( afferente esclusivamente alla obbligazione principale indennitaria).

II. – Privo di fondamento è altresì il secondo motivo del ricorso principale laddove la società assicuratrice – deducendo la violazione degli art. 18 e 22 della legge n. 990 del 1969 e dell’art. 1219 c.c. – lamenta che erroneamente i giudici del merito avrebbero ritenuto ingiustificato il ritardo nella messa a disposizione del massimale di polizza, senza avvedersi che la richiesta risarcitoria inoltrata con la lettera del 27 luglio 1973 dai familiari del defunto non conteneva precisazioni circa la natura e la entità monetaria dei danni lamentati.

A confutazione della doglianza sembra sufficiente considerare: a) che con pertinente e diffusa motivazione i giudici del merito hanno esposto le ragioni per le quali doveva apparire subito manifesta all’assicuratore la insufficienza dell’intero massimale ( lire 20 milioni ) a coprire tutti i danni alla persona; ed hanno elencato gli elementi che conducevano a qualificare come ingiustificato il comportamento silente, elusivo e dilatorio serbato dall’assicuratore;

b) che la semplice domanda di adempimento è normalmente sufficiente a costituire in mora il debitore, anche se non sia accompagnata dall’osservanza di particolari requisiti od adempimenti, ed anche se sia priva di particolari indicazioni sull’ammontare del credito (cfr. Cass. n. 542 del 1984; n. 392 del 1961); c) che secondo consolidata giurisprudenza il giudizio sulla idoneità di una richiesta scritta di adempimento a costituire valido atto di costituzione in mora ex art. 1219 c.c., implica una indagine di fatto (riservata al giudice del merito) il cui esito, se sorretto da motivazione corretta ed adeguata, non è sindacabile in sede di legittimità.

3. . Passando all’esame del ricorso incidentale della Ramon e dei Bianco, immeritevole di accoglimento si profila il primo mezzo dai predetti dedotto, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli art. 1224 e 1194 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per non avere la Corte territoriale: a) considerato che sul debito ancora gravante a carico della società assicuratrice decorrevano gli interessi dal dì della messa in mora al pagamento degli acconti; b) imputato detto pagamento degli acconti anzitutto a detrazione del debito per interessi, quest’ ultimo calcolando sull’importo dato la somma del debito-capitale e del debito per rivalutazione monetaria via via maturato alle date ( 15 nov. 1974 e 7 febbraio 1979) dei pagamenti medesimi. La doglianza sub a) trova smentita nell’affermazione per due volte ripetuta nella sentenza impugnata (pag. 18) che sulla parte del debito gravante sulla Union des Assurances de Paris, in solido con i Puppin, detta compagnia doveva altresì “gli interessi dal dì del sinistro al saldo”. La doglianza sub b) deve invece essere disattesa essendo illegittimo il sistema di calcolo della varianza nel tempo della entità del debito complessivo che essa propone.

La norma di cui all’art. 1194 c.c. presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità sia del credito per capitale che del credito accessorio (per interessi o per spese); di modo che sin quando sia incerto od illiquido il credito accessorio il debitore non è soggetto al divieto di imputare il pagamento al capitale (cfr Cass. n. 2850 del 1966 in tema di credito per spese).

Infondatamente quindi i ricorrenti incidentali pretendono che il versamento degli acconti sia imputato a detrazione di interessi moratori dei quali, alle date del nov. 1974 e del Febbraio 1979 ancora si ignorava se fossero dovuti e su quale somma-capitale dovessero essere calcolati (tali certezze essendo state attinte solo in seguito alla declaratoria giudiziale relativa alla responsabilità dell’assicuratore per i maggiori danni ex art. 1224 c.c.). Ma anche sotto un altro profilo la doglianza in esame è infondata: in quanto, coacervando alle date intermedie del pagamento degli acconti, il credito-capitale con il credito ( ancora incerto ed illiquido) da svalutazione monetaria, e sulla sommatoria dei due crediti calcolando gli interessi legali, per poi imputare ad estinzione anzitutto di questi ultimi il pagamento degli acconti medesimi, e cioé in definitiva consolidando in date intermedie gli interessi al capitale, si perverrebbe al risultato di rendere i primi, al pari del secondo e per la parte rimasta inestinta produttivi di nuovi interessi.

Senonché, come è noto, perché gli interessi scaduti possano produrre nuovi interessi, occorre che venga proposta specifica domanda giudiziale; ed a parte ciò la ammissibilità dell’anatocismo ex art. 1283 c.c. non si estende ai cosiddetti debiti di valore, quale è quello derivante dalla responsabilità per danni (cfr Cass. n. 3803 del 1982).

4. – Meritevole di accoglimento è invece il secondo motivo del ricorso incidentale, relativo alla determinazione della somma rimasta a debito della compagnia di assicurazione, in solido con i Puppin, per effetto della responsabilità ex art. 1224 c.c. di quell’ente.

Pertinenti a questo tema – occorre subito notare – non si presentano le considerazioni svolte nel controricorso al ricorso incidentale, laddove per la prima volta si deduce che i creditori non avrebbero comprovato la esistenza di un maggior danno da svalutazione monetaria, risentito a seguito della mora dell’assicuratore .

A parte che la questione, risolta in senso favorevole ai creditori dal giudice di primo grado non ha costituito oggetto di specifico gravame, sta di fatto che essa nemmeno è stata sollevata con il ricorso principale e non può comunque concretare materia di controricorso poiché la funzione di questo si risolve nella confutazione delle ragioni esposte nel ricorso ( nella specie: erroneità del calcolo per la liquidazione del quantum debeatur) e non può estendersi a quella di introdurre motivi inediti di impugnazione della sentenza ( nella specie: erroneità del giudizio sull’an debeatur), cfr Cass. n. 5857 del 1981.

Tanto precisato, il mezzo di annullamento in esame – se è privo di pregio nella ribadita pretesa di sentir detrarre gli acconti ricevuti dal coacervo costituito dalla sommatoria di tre debiti, da capitale, da rivalutazione e da interessi: pag. 21 – è viceversa assistito da fondamento nella parte in cui denunzia che il processo logico seguito per la individuazione dei limiti quantitativi della responsabilità solidale della società assicuratrice è inficiato da lacune e da contraddittorietà di motivazione.

Mentre, infatti, in altra parte della sentenza si prende atto che il danno da svalutazione monetaria per il periodo compreso tra il luglio 1973 e la data della decisione ammontava al 270% del credito base ( dato che il potere di acquisto di 1 lira di allora equivaleva a quello di lire 3,70 attuali), nel calcolare poi la parte di credito-base rimasto insoluto (lire 7.678.000) al valore attuale (lire 34.167.100) si considerava una incidenza da svalutazione pari al 345% attribuendo ad una lira del 1973 il potere di acquisto di lire 4,45 attuali, (infatti: lire 7.678.000 x 4,45 = lire 34.167.100).

Non solo la suindicata discrepanza rimane priva di qualsivoglia motivazione, ma nella impugnata sentenza non viene nemmeno adombrata una qualche giustificazione del perché il debito residuo gravante in via solidale sull’assicuratore sia stato conteggiato solo nei confronti della Ramon (considerando al riguardo anche acconti da lei non percepiti) e non pure degli altri familiari della vittima, e concreditori.

5. – Analoghe considerazioni impongono l’accoglimento del terzo motivo del ricorso incidentale; mezzo con il quale detti concreditori si dolgono della omessa affermazione della responsabilità solidale della compagnia di assicurazioni in ordine al ristoro del danno da perdita di autoveicolo, sebbene in proposito una declaratoria di condanna fosse stata specificatamente richiesta (vizio da omessa pronunzia).

Innegabile essendo la lamentata lacuna, anche per questo aspetto la sentenza in esame deve essere cassata e la causa deve essere rimessa al giudice del rinvio il quale determinerà nuovamente in quale misura la società assicuratrice è tenuta, in solido con i Puppin al ristoro dei danni (tenendo ovviamente presente che mentre, al momento del sinistro, il massimale di polizza copriva per intero il danno alle cose, il diverso massimale per il danno alla persona copriva questo solo per una parte percentuale – data dal rapporto tra le somme di tutti i danni sofferti dai congiunti per la morte di Gianfranco Bianco e l’importo di lire 20 milioni – e che tale percentuale non può non riflettersi sulla misura in cui il mancato tempestivo risarcimento dei danni alla persona ( con lievitazioni di questi oltre il limite del massimale) può costituire fonte di responsabilità per l’assicuratore.

Al giudice del rinvio, che si designa in una diversa sezione della Corte di Appello di Venezia, si demanda altresì di provvedere al regolamento delle spese attinenti a questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte suprema di Cassazione: riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale ed il primo motivo di quello incidentale; accoglie il terzo motivo e, per quanto di ragione, il secondo motivo del ricorso incidentale: cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.
Così deciso in Roma il 6 luglio 1987.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 8 MARZO 1988