Svolgimento del processo

La Banca cooperativa degli Impiegati del Banco di Sicilia concesse a Salvatore Calistro e a Giuseppina Vena un’apertura di credito, fino alla data del 30 maggio 1975, per un massimo di L. 60.000.000.

Con apposita clausola fu pattuito sulle somme a debito, da capitalizzarsi trimestralmente, l’interesse del 10%, e con altra distinta clausola fu convenuta la corresponsione del 10% per interessi di mora sull’eventuale saldo passivo, a decorrere dalla scadenza.

Alla chiusura del rapporto la banca pretese il pagamento degli interessi del 20% sul saldo passivo, per effetto del cumulo pattuito degli interessi corrispettivi con gli interessi moratori.

Il Calistro e la Vena convennero la Cooperativa davanti al Tribunale di Palermo, sostenendo che nel contratto non era previsto il cumulo fra interessi compensativi e moratori e che la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi si doveva considerare nulla perché contraria al divieto legale dell’anatocismo, posto dall’art. 1283 cod. civile.

Con sentenza del 2-27 febbraio 1979 il Tribunale respinse la domanda degli attori.

Con sentenza dell’8 luglio – 8 ottobre 1983 la Corte d’appello di Palermo, premesso che l’intento contrattuale del cumulo risultava chiaramente dal fatto che gli interessi di diverso tipo – corrispettivi e moratori – erano previsti in due distinte clausole e che il divieto di anatocismo era superato da contrari usi bancarie, ritenne che sul saldo passivo esistente alla data di scadenza dell’apertura di credito gli interessi dovessero essere capitalizzati nella misura risultante dal cumulo contrattuale del 20%.

Pertanto, dovendo considerarsi il credito della banca non ancora estinto, la Corte rigettò l’appello con l’integrale conferma della decisione di primo grado.

Contro tale sentenza gli appellanti hanno proposto ricorso per cassazione, adducendo due motivi di censura. Resiste la Cooperativa con controricorso.

I ricorrenti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

Col primo mezzo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 1224 e 1362 cod.civ., affermando che nessuna clausola del contratto prevede il cumulo degli interessi compensativi e moratori, in deroga all’art. 1224 cod.civ., che prescrive soltanto il subentrare degli uni agli altri dal giorno della mora.

Pertanto la Corte sarebbe incorsa nella violazione delle regole interpretative dei contratti (art. 1362 ss. c. civ.) e della norma seppure dispositiva – dell’art. 1224 codice civile.

Col secondo mezzo denunciano la violazione dell’art. 1283 c. civile, sostenendo che non può essere attribuito valore normativo agli usi bancari, in deroga a tale disposizione.

Entrambi i motivi del ricorso sono infondati. Per quanto riguarda il primo, la Corte d’appello non ha confuso, come i ricorrenti affermano, l’astratto e il concreto, confusione asseritamente derivante dal fatto di non essersi accorta che il cumulo degli interessi, in realtà, non era stato mai convenuto.

Al contrario, con esauriente motivazione, che risponde alle chiare risultanze degli atti, il giudice ha dimostrato che mediante la redazione di una prima clausola era stato pattuito sulle somme e debito, da capitalizzare trimestralmente, l’interesse corrispettivo del 10%, mentre con altra distinta clausola era stata convenuta la corresponsione degli interessi di mora del 10% sull’eventuale saldo passivo, a decorrere dalla scadenza.

Non si comprende a quale effetto sarebbe stato convenuto con apposita clausola l’interesse di mora del 10%, quando, incorrendo nella mora, il debitore avrebbe dovuto comunque continuare a pagare l’interesse convenzionale del 10% in base al preciso disposto dell’art. 1224 cod. civile, secondo il quale “se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura”.

I contraenti, in realtà, hanno pattuito una doppia clausola, con lo stesso parametro del 10%, anche per gli interessi di mora.

La convenzione è legittima, perché deroga alla norma, di natura meramente dispositiva, che prevede la sostituzione degli interessi di mora a quelli corrispettivi, in precedenza pattuiti (art. 1224 citato).

Diversamente opinando, la Corte sarebbe pervenuta ad una ” interpretatio abrogans” della seconda clausola: errore che, appunto, non ha commesso.

Il primo motivo del ricorso, pertanto, deve essere disatteso. La sentenza impugnata si sottrae anche alla seconda censura. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, nel campo delle relazioni fra istituti di credito e clienti, in tutte le operazioni di dare e avere l’anatocismo trova generale applicazione. Si è, pertanto, in presenza di un uso normativo, richiamato dall’art. 1283 c.c., come tale legittimo (sent. n. 6631 del 15 dicembre 1981). Sia le banche, sia i clienti chiedono e riconoscono come legittima la pretesa di calcolo di nuovi interessi sugli interessi scaduti, indipendentemente dai presupposti richiesti dal citato art. 1283 cod. civile. Questi usi, cioé, si identificano in comportamenti tenuti dalla generalità degli interessati con il convincimento di adempiere ad un precetto di diritto” (sent. citata e sent. n. 5409 del 19 agosto 1983). Presentano, invero, i caratteri obiettivi di costanza, generalità, durata e il carattere subiettivo della “opinio iuris”, che contrassegnano la norma giuridica consuetudinaria, vincolante gli interessati, salvo contraria disposizione contrattuale, ai sensi dell’art. 1374 cod. civile. Mentre gli usi meramente negoziali sono caratterizzati da un elemento soggettivo meno intenso, che deriva dalla semplice convinzione di rispondenza della clausola a particolari esigenze tecniche del mercato e degli affari. Essi – gli usi negoziali – esprimono il contenuto effettivo della volontà dei contraenti e possono, quindi, ritenersi inclusi nel contratto ai sensi dell’art. 1340 c.c. sol quando alla prassi corrente corrisponda il reale intento pratico delle parti; con la conseguenza che ne risulta preclusa l’efficacia qualora sia dimostrata la carenza di una conforme volontà negoziale, il che si verifica quando difetti, ad esempio, la forma speciale richiesta dalla legge per un’efficace espressione di tale volontà.

L’uso normativo, cioé la regola consuetudinaria, non richiede, invece, di essere ricevuto nelle forme contrattuali, anche se necessarie e speciali, ed opera obiettivamente, salvo clausola negoziale contraria, con effetto integrativo della volontà delle parti, secondo la previsione del citato art. 1374 cod. civile.

La norma generale dell’art. 8 disp.prel.cod. civile stabilisce che nelle materie disciplinate da leggi o regolamenti gli usi normativi hanno efficacia solo se richiamati nelle stesse leggi e negli stessi regolamenti.

Ora, l’art. 1283 cod.civ. disciplina la materia della anatocismo “in mancanza di usi contrari”.

Perciò gli usi normativi bancari sopra menzionati consentono, in deroga all’art. 1283 cod.civile, che gli interessi scaduti producano, a loro volta, interessi, indipendentemente dai presupposti fissati da tale disposizione, che sono la notificazione di una domanda giudiziale, o l’esistenza di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi, e, comunque, la condizione che questi siano scaduti almeno per sei mesi.

Correttamente, dunque, la Corte d’appello ha ritenuto superato il divieto dell’anatocismo dagli usi bancari ed ha respinto la domanda degli attori appellanti, diretta a ottenere la dichiarazione di nullità della clausola conforme a quegli usi.

La sentenza impugnata si sottrae, pertanto, anche alla censura dei ricorrenti formulata nel secondo motivo del ricorso.

Ne consegue che il ricorso stesso deve essere, sotto ogni aspetto, disatteso, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese, di cui Lire 1.000.000 per onorari.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di questa fase del procedimento in L. 82.000, e degli onorari in L. 1.000.000.- ( un milione).
Così deciso in Roma, il 26 novembre 1986.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 5 GIUGNO 1987