Svolgimento del processo

Con ricorso del 22.XI.67 Giovanni Pezzuto chiedeva al Presidente del Tribunale di Lecce l’autorizzazione a sequestro conservativo in danno di Bianco Amedeo sino alla concorrenza di L. 1.300.000.

Esponeva di avere tolto in affitto dal Bianco per quattro anni 1.000 alberi di olivo siti nella masseria “Gelsi” in quel di Lecce, dote della moglie del Bianco, pel prezzo di L. 850 ad albero versando un acconto di L. 200.000;

che era stato autorizzato a prendere possesso degli oliveti per praticarvi i trattamenti necessari, differendosi la sottoscrizione del contratto, concluso a fine marzo, al momento in cui il Bianco lo avesse predisposto;

che mentre erano in corso i coltivi aveva appreso che i fondi erano stati assoggettati ad espropriazione forzata dal Banco di Roma, creditore dei coniugi Bianco;

che in conseguenza egli aveva il 13.4.67, a mezzo di legale, manifestato al Bianco le proprie doglianze e chiesto la restituzione dell’acconto e delle spese sino a quel momento sostenute; che a seguito dell’atto 17.5.67 con cui il Bianco lo aveva diffidato dall’accedere ai fondi dichiarandosi disposto al rimborso delle somme erogate, esso ricorrente aveva rilasciato i fondi e chiesto la restituzione dell’acconto nonché il rimborso delle spese sostenute in L. 877.460.

Il sequestro veniva autorizzato il 16.XI.67 e veniva parzialmente eseguito il 17 successivo.

Il Pezzuto quindi con atto 30.XI.67 citava il Bianco dinanzi al Tribunale di Lecce per la convalida e per la condanna al pagamento di L. 1.077.460, oltre agli interessi ed alle spese. Il Bianco si costituiva opponendo che il 9.4.67 si era proceduto alla conta degli alberi ed il Pezzuto, prima di conseguire il possesso, avrebbe dovuto in quella stessa giornata pagare anticipatamente l’intero canone;

che l’11 aprile recatosi sul fondo aveva appreso dal Pezzuto, il quale si era arbitrariamente immesso nel possesso del fondo pur non avendo corrisposto il dovuto, la sua intenzione di non concludere il contratto perché vi era in corso la espropriazione immobiliare; che tale proposito era stato ribadito nella lettera del legale del Pezzuto con la richiesta di restituzione dell’acconto e del rimborso delle spese medio tempore sostenute;

che a sua volta esso Bianco, a mezzo del proprio legale, aveva dapprima contestato (lettera 13.4.1967) al Pezzuto l’arbitraria presa di possesso del fondo, quindi con atto 17.5.1967 lo aveva diffidato al rilascio.

Tanto premesso il convenuto deduceva di non essere debitore per i danni arrecatigli con la potatura su alberi che presentavano già promessa di carico e per di più in epoca non consentiva perché tardiva. Concludeva chiedendo la reiezione delle domande dell’attore e, in via riconvenzionale, la condanna di costui al ristoro dei danni per la diminuzione di prodotto dell’oliveto (un terzo) a cagione dei lavori “fatti male e dannosi” e per giunta eseguiti pur dopo di avere dichiarato di non volere più concludere il contratto.

Ammessa ed esperita la prova per testi, diretta e contraria, sui capitoli formulati dal Pezzuto per dimostrare le circostanze in cui il rapporto era insorto nonché le operazioni di concimazione irrigazione e rimonda siccome eseguite, il Tribunale adito, con sentenza 7-3-9-4-1980, nel riconoscere l’avvenuta conclusione del contratto de quo con la conseguenziale immissione del Pezzuto nel possesso dell’oliveto, condannava il Bianco al pagamento in favore del Pezzuto della somma di L. 2.130.000, – comprensiva della rivalutazione monetaria, – a titolo rimborso delle spese di conduzione dell’oliveto, oltre agli interessi; convalida altresì il sequestro conservativo, rigettava la domanda riconvenzionale e condannava il convenuto a rifondere all’attore le spese di lite.

Ricostituito il contraddittorio a seguito di appello proposto dal soccombente Bianco, la Corte di Appello di Lecce con sentenza 21-7-24-8-1981 rigettava la impugnazione osservando: che sull’avvenuta conclusione, in forma orale, del contratto non poteva sorgere dubbio perché ciò risultava essere la logica conseguenza dell’indagine e della valutazione degli elementi costitutivi della fattispecie siccome analiticamente esposti dal primo giudice e sui quali risulta essere caduto il consenso delle parti (durata del contratto, criterio per la determinazione del corrispettivo di L. 850 per albero, conta degli alberi, versamento di un acconto di L. 200.000), tanto più che la riproduzione del contratto in forma scritta, così come concordemente ammesso, non autorizzava, alla luce della istruzione probatoria, a supporre che le parti intendessero adottare la forma scritta “ad substantiam”; che per altro la presenza sul fondo del figlio del Bianco, quando già erano in corso le urgenti operazioni di coltivazione indette dal Pezzuto, era indizio rilevante il quale induceva a fare presumere che la consegna del podere, in adempimento della relativa obbligazione assunta dal Bianco con la conclusione verbale del contratto di affitto, fosse avvenuta tacitamente o esplicitamente; che per altro ciò che aveva interrotto l’evoluzione normale del rapporto non era stata la mancata sottoscrizione del contratto scritto da parte del Pezzuto, bensì la scoperta da parte di quest’ultimo della condizione giuridica del fondo, assoggettato a pignoramento per iniziativa del Banco di Roma, sicché nell’intervallo di tempo tra la contestazione del 13.4.1967 mossa dal Pezzuto e la risposta data 17.5.1967 del Bianco, i lavori di coltivazione non avrebbero potuto non essere eseguiti qualunque fosse stata la sorte del contratto di affitto, tanto più che l’affittuario non poteva prevedere se il Bianco avrebbe o meno consentito alla risoluzione consensuale del contratto, la adesione cioé dell’intenzione manifestatagli con la lettera 13.4.1967 di non volere proseguire la conduzione in affitto del fondo a causa dell’occultata condizione di indisponibilità del fondo stesso; che le contestazioni mosse dal Bianco sulle operazioni di coltivazione non eseguite secondo la buona tecnica agraria, – ed i cui danni a suo avviso avrebbero dovuto essere accertati a mezzo di consulenza tecnica -, non potevano essere apprezzate a fondamento della domanda riconvenzionale perché delle due l’una: o esse erano state compiute perché indispensabili, e quindi sia nell’interesse del Pezzuto sia nell’interesse del Bianco a seconda che l’uno o l’altro avesse fatto proprio il prodotto oppure erano già intempestive al tempo della conclusione del contratto ed allora il fondo, non coltivato in tempo sarebbe stato improduttivo e per l’uno e per l’altro;

che le stesse considerazioni giovavano ad eliminare la supposta mancata esecuzione di alcune operazioni, oggetto delle contestazioni nuovamente sollevate dall’appellante.

Avverso tale sentenza notificata il 2.X.1981 ha proposto ricorso per cassazione il Bianco deducendo due motivi di annullamento, illustrati da successiva memoria.

Ha resistito con controricorso il Pezzuto.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso deducendo violazione degli artt. 821 c.c. e 112 c.p.c. nonché omessa contraddittoria ed illogica motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.), il ricorrente si duole che il giudice dell’appello abbia opinato, pur in presenza di una particolare situazione di vincolo contrattuale dall’uno contestato siccome non ancora perfezionato e dall’altro siccome risoluto, sulla irrilevanza dell’accertamento del se l’affittuario fosse stato autorizzato o meno ad eseguire i lavori per i quali pretendeva il rimborso delle relative spese.

Aggiunge che quand’anche i lavori fossero risultati essere stati eseguiti nell’esercizio di un legittimo potere, pur sempre si sarebbe dovuto dimostrare, onde riconoscere il diritto al rimborso dei relativi oneri, se i lavori erano stati o meno tempestivi o utili.

Il motivo non è fondato.

La Corte territoriale, investita in sede critica del convincimento espresso dal primo giudice in punto conclusione del contratto orale di affitto dei fondi olevati facenti parte della masseria Celsi in grado di Lecce, ha, nell’esercizio del suo potere-dovere di rivalutazione degli elementi costitutivi del rapporti siccome instaurato inter partes, confermato e puntualizzato il rilievo sul raggiunto accordo in ordine all’affittanza: risultando non solo essere stati consensualmente determinati l’oggetto del contratto la sua durata ed il criterio per la determinazione del canone (L. 850 per albero), ma anche essere stata eseguita la conta delle piante di ulivo ed essere stato corrisposto dal fittavolo un acconto di L. 200.000 sul canone.

Orbene se si tiene conto che la convenzione orale e la conta degli alberi risultavano essere state poste in essere mercé l’opera di un mediatore, il quale oltre a testimoniare in tale senso aveva riferito di sapere che il cav. Bianco aveva sollecitato il Pezzuto di iniziare i lavori di coltivo a causa della inoltrata stagione (verbale 22.5.1973), resta frustranea ogni censura in punto conclusione del contratto di affitto; a nulla rilevando (non ricorrendo l’ipotesi di cui all’art. 1352 c.c., come evidenziato dal giudice dell’appello) che la pattuizione sulla riproduzione per iscritto della convenzione risultava ineseguita a cagione della scoperta da parte dell’affittuario dello assoggettamento a pignoramento del fondo ad iniziativa del Banco di Roma, creditore dei coniugi Bianco.

Non solo ma la Corte territoriale si è fatto carico, una volta congruamente e convenientemente motivato la ritenuta conclusione del contratto orale di affitto, di esaminare il reciproco comportamento successivo alla conclusione del contratto pervenendo al convincimento che non solo vi era stata immissione nel possesso del fondo da parte del concedente (“la quieta presenza del figlio del Bianco sul podere quando erano già in corso le urgenti operazioni di coltivazione indette dal Pezzuto … è indizio rilevante che induce a presumere che la consegna del podere, in adempimento della relativa obbligazione assunta dal Bianco … fosse avvenuto tacitamente o esplicitamente”) ma che, successivamente, le contestazioni mosse da un canto dal Pezzuto a cagione della condizione giuridica del fondo e dall’altro le risposte del Bianco, che aveva alla fine preteso e riottenuto la disponibilità del fondo, avevano concretato la risoluzione per “mutuo dissenso” del rapporto.

In tal senso va intesa la sentenza impugnata; e trattandosi del potere di apprezzamento di fatti esercitato con ragionamento logico congruo ed adeguato, il relativo accertamento si sottrae ad ogni controllo in sede di legittimità. Ed invero, in tema di ermeneutica contrattuale, la determinazione della comune intenzione delle parti alla stregua del comportamento complessivo delle stesse, anche posteriore alla conclusione del contratto, è riservata al giudice del merito, il cui apprezzamento non è censurabile in sede di legittimità, sempreché risulti rispettoso dalle regole di ermeneutica ed abbia dato conto degli elementi con cui ha ricostruito l’intento comune delle parti. Come appunto avvenuto nella fattispecie.

Ciò posto, una volta espresso il convincimento sulla conclusione del contratto orale di affittanza agraria, sulla conseguenziale legittima presa di possesso del fondo da parte del fittavolo con immediata esecuzione di quei lavori agricoli che la stagione agraria avanzata rendevano urgenti, sulla successiva sopravvenuta risoluzione del rapporto per mutuo dissenso (al limite desumibile per facta concludentia) con la espressa riserva da parte del fittavolo di recuperare l’acconto e di ottenere il rimborso del costo delle operazioni agricole eseguite: tanto ritenuto, non sono correttamente la Corte di Appello risulta avere tenuto fermo il rigetto della domanda riconvenzionale al risarcimento dei danni basata sulla asserita arbitrarietà della presa in possesso del fondo da parte del fittavolo e della conseguenziale arbitrarietà delle attività agricole intraprese, ma altrettanto correttamente risulta avere disatteso le argomentazioni difensive adottate dal Bianco per denegare in tutto o in parte il rimborso delle spese, e cioé la deduzioni sulla tardività e non dispensabilità delle lavorazioni, sia pure ricorrendo alla argomentazione – meglio cennata nella esposizione in fatto – sulla proficuità o meno dei lavori a favore o dell’uno o dell’altro.

Quand’anche si volesse convenire sulla non valenza di un siffatto modo ragionare, certo si è che le circostanze modali e temporali in cui il breve rapporto di affittanza insorse ebbe svolgimento e trovò termine, rendevano del tutto non pertinenti e concludenti ai fini del rimborso delle spese delle lavorazioni medio tempore intraprese dal fittavolo, le contestazioni sulla asserita non indispensabilità o sulla non tempestività stagionale delle operazioni agricole eseguite.

Per quanto poi concerne la prospettata necessità dell’indagine in ordine all’utilità o meno delle lavorazioni – in quanto l’art. 821 II° comma cod. civ. fa obbligo a chi fa propri i frutti di rimborsare, nei limiti del loro valore, colui che abbia fatto spese per la produzione – si osserva che la relativa specifica questione non può fare oggetto di esame in questa sede di legittimità – così come del resto eccepito dal resistente – perché non dedotta in grado di appello non risultando sufficiente il vago profilo della mancata dimostrazione della “utilità” delle lavorazioni eseguite dal Pezzuto. E’ noto che il controllo di legittimità non può estendersi alla risoluzione di nuove questioni di diritto e di temi di contestazione diversi da quelli proposti nel giudizio di merito, quando non siano rilevabili di ufficio ed involgano nuove indagini di fatto. E nel caso di specie viene profilata in questa sede per la prima volta la questione concernente il diritto del terzo, il quale abbia sostenuto spese per la produzione di frutti, ad essere rimborsato nei limiti del loro valore, dalla persona che tali frutti ha acquistato.

Restando improponibile in questa sede la dedotta violazione dell’art. 821 c.c. e non sussistendo i denunciati vizi di motivazione, il primo mezzo di ricorso va rigettato in toto.

Merita invece accoglimento il secondo mezzo di ricorso, con il quale il Bianco, deducendo vizi di motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.), denuncia, da un canto, la fallacia delle argomentazioni con le quali la Corte di Appello aveva respinto il motivo di gravame afferente a quelle lavorazioni di cui aveva contestato l’esecuzione facendo specifico riferimento ai limiti di tempo alla stagione inoltrata ed alla concomitanza della rimonda, dall’altro si duole della omessa considerazione della censura in punto mancato addebito al Pezzuto del valore della legna di olivo e delle fascine ricavate dalla potatura degli alberi e fatte proprie dal fittavolo.

In vero il Bianco, nel costituirsi in giudizio in prime cure, aveva posto a corredo della comparsa di risposta – peraltro esplicitamente richiamandola – ed a sostegno delle proprie ragioni difensive una perizia giurata di parte del 12.1.1958 concernente non solo la descrizione e valutazione delle attività agricole siccome in concreto eseguite dal Pezzuto, ma anche la valutazione delle fascine e della legna grossa ricavate dal fittavolo dalla “rimonda”, imputandola a deconto dell’importo delle spese di lavorazione da eventualmente riconoscere a credito della controparte.

Orbene la reiezione della prima questione risulta nella sentenza della Corte di Appello motivata in modo non pertinente ed adeguato, e cioé mediante il generico richiamo alle considerazioni già svolte per confutare le argomentazioni sulla non indispensabilità e non tempestività delle attività agricole intraprese dal fittavolo; mentre la seconda questione non risulta affatto esaminata e trattata nonostante fosse stata oggetto di specifico motivo di gravame (atto di appello, facciata VI°).

Trattandosi di insufficiente ed omessa motivazione denunciabile a sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., la sentenza impugnata va cassata in relazione al secondo motivo sicché il giudice del rinvio dovrà riesaminare in modo rigoroso e puntuale la questione sull’ammontare dei rimborsi spettanti al fittavolo, tenendo in particolare conto del numero natura ed entità delle operazioni siccome eseguite dal Pezzuto nel breve periodo di svolgimento del rapporto, tenendo altresì conto degli eventuali ricavi o vantaggi da costui tratti dalla legna e dalle fascine di risulta dalla rimonda degli alberi di olivo.

Il giudice del rinvio vorrà altresì provvedere in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Bari.
Così deciso il 24.4.1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 21 GENNAIO 1986