Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4.2.1981, depositata il 17 marzo successivo, il Tribunale di L’Aquila rigettava l’appello proposto, da Marcantonio Olindo nei confronti dell’Assicurazione Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (I.N.A.I.L.), avverso la sentenza 5.10.1978 del Pretore della stessa sede con la quale era stata rigettata la domanda del predetto Marcantonio, volta ad ottenere, previa declaratoria di sussistenza di silicosi professionale incidente sulla capacità di lavoro, la costituzione della relativa rendita negata nella sede amministrativa.

Dopo avere evidenziato il corretto espletamento dell’attività svolta dal consulente di secondo grado ed avere conseguentemente disatteso il rilievo riguardante il mancato deposito del radiogramma ottenuto a seguito dell’esame radiografico del torace dell’assicurato, i giudici dello appello spiegavano di essere pervenuti alla conferma della sentenza del Pretore in base agli accertamenti effettuati dal loro ausiliario, che sostanzialmente aveva finito con il ribadire, anche se con osservazioni più articolate e diffuse, le conclusioni già acquisite con l’accertamento medico-legale espletato nel grado pretorile: entrambi i consulenti avevano infatti escluso che il Marcantonio Olindo fosse portatore di un processo silicotico.

In particolare quei giudici davano atto di non trovarsi di fronte ad una anamnesi lavorativa significativa, evidenziante cioé inequivocabilmente una esposizione a rischio di spicco e di per sé stessa deponente per una diagnosi di silicosi polmonare, di non poter dedurre con ragionevolezza l’esistenza della tecnopatia in discussione dalle risultanze dell’esame radiografico e dell’esame spirometrico, e di dover attribuire la ipomobilità delle basi e la lieve riduzione delle intensità del respiro, riscontrate in sede di esame diretto dell’assicurato, alle condizioni naturali di costui, che aveva superato i 55 anni ed era da lungo tempo fumatore.

Quanto al rilievo che non sarebbero stati tenuti in conto, soprattutto dal primo giudice, i pareri e gli accertamenti dei sanitari di fiducia dell’assicurato, i giudici aquilani obiettavano che quei pareri e quegli accertamenti, per il solo fatto di provenire dalla parte, mai avrebbero potuto costituire un punto di riferimento, mentre maggiori garanzie di obiettività offrivano le diagnosi dei consulenti dell’ufficio ed i referti degli esami da costoro disposti.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Marcantonio Olindo con quattro mezzi di annullamento della impugnata sentenza.

L’I.N.A.I.L. si è costituito resistendo con controricorso.

Motivi della decisione

Con i quattro articolati motivi di ricorso che, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente, Marcantonio Olindo, denunziando ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1-3-4 della legge 27.12.75 n. 780 in correlazione alla tabella 8 allegata al T.U. n. 1124 del 1965 ed alla disposta abrogazione dell’art. 142 di detto T.U., nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 112-113-115-441 e 445 del c.p.c. e 149 delle disposizioni di attuazione del medesimo c.p.c., e connesso vizio di motivazione, si duole in particolare:

a) della errata ed illegittima valutazione della anamnesi lavorativa che, essendo causa efficiente, esclusiva e rilevante del rischio silicotigeno, condiziona la validità dell’intero giudizio;

b) della mancata formulazione di una diagnosi da parte del consulente di secondo grado, che peraltro aveva eseguito irritualmente fuori sede l’esame radiografico e non aveva provveduto al deposito del relativo radiogramma;

c) della mancata valutazione della documentazione di parte perché giudicata non imparziale e distaccata, anche se ponderosa;

d) della mancata valutazione di quanto emerso da un referto dell’I.N.A.M. e da taluni accertamenti dello stesso consulente di primo grado, ai fini di una diagnosi di silicosi libera dai condizionamenti dell’abrogato art. 142 T.U. 1124-65;

e) dell’errata valutazione dell’elemento cronologico nonostante fosse sufficiente anche una modesta esposizione al rischio perché fosse possibile la insorgenza della tecnopatia;

f) della mancata valutazione della documentazione di parte quanto meno sotto il profilo di denunzia di aggravamento ex art. 149 disp.

att. c.p.c.;

g) delle illazioni anacronistiche dei giudici di appello sulle forme anodulari e prenodulari della silicosi.

Le doglianze sono infondate ed il ricorso va quindi rigettato. Premesso infatti che le valutazioni del giudice del merito in ordine alle risultanze istruttorie e peritali costituiscono giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità se sorrette da motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici, in merito alle specifiche doglianze dell’odierno ricorrente va rilevato quanto segue:

a) l’anamnesi lavorativa, così come ridimensionata nel caso di specie dai consulenti di ufficio, risulta dai giudici dell’appello valutata con molta prudenza e comunque presa in considerazione solo in modo del tutto marginale rispetto alla totalità della motivazione della loro decisione, la quale è incentrata essenzialmente sulle risultanze degli esami e degli accertamenti clinici, con la conseguenza che, quand’anche quella anamnesi fosse stata realmente valutata in modo erroneo, tale ipotetica erronea valutazione non potrebbe compromettere la validità della decisione conclusiva.

b) Va poi evidenziato che ai consulenti di ufficio non fu demandata mai la ricerca di alcuna diagnosi alternativa rispetto a quella costantemente indicata dal ricorrente il quale ha parlato sempre ed esclusivamente di “silicosi” tanto da orientare in direzione di questa unica infermità ogni indagine e discussione: l’unico quesito proposto ai giudici, e quindi da questi ai consulenti, risulta invero essere stato sempre quello relativo all’accertamento della sussistenza o meno della malattia denunziata, con la conseguenza che ogni indagine relativa alla individuazione di altra diagnosi sarebbe stata estranea alla controversia.

Quanto poi alla pretesa irritualità dello esame radiografico fatto eseguire dal C.T., correttamente è stato sottolineato dai giudici dell’appello la inconsistenza ed irrilevanza di tale pretesa irritualità atteso che a norma dell’art. 194 c.p.c., al consulente è riconosciuta, nell’esercizio dell’attività diretta all’espletamento dell’incarico, ogni più ampia facoltà, ed atteso che le conclusioni dell’esperto-radiologo consultato dal C.T.U. risultano testualmente riportate nella relazione peritale e quindi sottoposte al controllo delle parti.

c) La documentazione prodotta dalla parte, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, risulta puntualmente esaminata e valutata dai giudici del merito, che, trovando tale documentazione discordante da quella proveniente dai propri ausiliari, hanno espresso la loro preferenza per la documentazione fornita dai C.T.U., considerandola “frutto di una valutazione imparziale e distaccata” e pervenendo in definitiva a considerare gli elementi probatori sottoposti al loro esame in modo diverso da quello preteso dal ricorrente.

In proposito va ribadito il principio secondo cui il giudice di merito, quando accoglie e fa proprie le conclusioni della consulenza tecnica di ufficio, non è tenuto ad esporre le ragioni in base alle quali ritiene di doversi uniformare al parere del consulente, ed il dovere di dimostrare di aver tenuto conto delle critiche mosse alla consulenza stessa può essere da lui adempiuto anche senza una dettagliata confutazione di esse, perché il dovere della motivazione è soddisfatto quando il giudice indichi le fonti del suo convincimento, sicché le contrarie deduzioni, se non confutate esplicitamente, restano disattese per implicito.

d) Che poi, in forza della legge n. 780 del 1975 e della conseguente abrogazione dell’art. 142 del T.U. 1124-65, il giudice sia rimasto libero di accertare, sia pure con l’eventuale ausilio di un esperto, la malattia silicotica sulla base di tutte le possibilità cliniche e strumentali, attuali e future, non significa che debba giungersi ad un giudizio di sussistenza della malattia indipendentemente dalla ricorrenza di precisi elementi diagnostici, quasi che la legge 780-75, in presenza della sola esposizione al rischio, abbia previsto una sorta di presunzione della origine silicotigena delle affezioni riscontrate. La Legge, invece, non ha posto e non poteva porre una tale presunzione giacché obiettivamente non è affatto vero che ogni affezione che interessi l’apparato o gli organi normalmente impegnati dalla silicosi sia in effetti diagnosticabile come tale: per una siffatta diagnosi occorre pur sempre che il quadro patologico dell’assicurato evidenzi situazioni riferibili a “silicosi”. Nella fattispecie in esame nessuno dei dati clinici e radiologici acquisiti mercé l’ausilio dei consulenti di primo e secondo grado è risultato riferibile alla dedotta malattia professionale e quindi correttamente, a seguito della analitica ed approfondita valutazione di quei dati, è stata esclusa la sussistenza della malattia in questione.

e) Quanto ora detto consente di confutare anche la doglianza relativa alla pretesa errata valutazione, da parte dei giudici dell’appello, del nesso di causalità tra la tecnopatia in esame e la esposizione al rischio ancorché modesta e remota; in proposito va ribadito che, indipendentemente da qualsiasi tipo di esposizione al rischio, perché si possa parlare di malattia silicotica occorre pur sempre che i sintomi lamentati siano clinicamente riconducibili ad una pneumopatia di natura silicotica (cass. 16.1.84 n. 355, ed altre).

f) La esclusione della diagnosi di silicosi rende poi inconsistenti ed inconferenti le censure circa la pretesa violazione dell’art. 149 delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile: non si può invero parlare di aggravamento con riferimento ad una malattia che non sussiste.

g) Va ribadito da ultimo che, nonostante la intervenuta abrogazione di ogni definizione giuridica della “silicosi”, per potersi parlare di positivo accertamento della predetta tecnopatia professionale occorre la sussistenza di un chiaro quadro clinico, oltre che anamnestico, riconducibile a quella malattia, non essendo sufficienti espressioni morbose comuni alla silicosi e ad altre infermità, specie quando tali espressioni si concretano, come nella fattispecie in esame, in una “incipiente condizione di enfisema” con “lieve insufficienza ventilatoria” in un soggetto “che ha superato i 55 anni ed è da lungo tempo fumatore, anche se non accanito” e si risolvono quindi in sintomi riferibili al degrado naturale dell’organismo umano e non anche a pretese manifestazioni silicotiche anodulari e prenodulari.

In definitiva, dovendosi anche escludere ogni preteso vizio di motivazione dato che un siffatto vizio può ravvisarsi solo nei casi in cui la motivazione della sentenza riveli, contrariamente a quanto è da dirsi per la fattispecie in esame, una obiettiva deficienza del processo logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, va constatato che le infondate doglianze del ricorrente finiscono, proprio come denunziato dall’Istituto resistente, con l’investire questioni di valutazioni e quindi di fatto risolte dai giudici del merito con piena osservanza delle norme di diritto e con completezza ed assoluta coerenza logica, e quindi insindacabilmente in questa sede di legittimità. Quelle doglianze pertanto non possono in alcun modo pregiudicare la validità dell’esauriente, esatta e convincente decisione dei giudici aquilani.

Con il rigetto del ricorso nulla è da disporre in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, non risultando la impugnazione manifestatamente infondata e temeraria e trovando quindi applicazione l’art. 152 dispo. att. c.p.c.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla disponendo per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 7 GENNAIO 1986