Svolgimento del processo
Pronunziando sulla opposizione proposta da Ciro Zeno, Rosa Zeno, Angela Scognamiglio, ai sensi dell’art. 19 legge n. 865 del 1971 avverso la stima del valore dei terreni di loro proprietà siti nel territorio del comune di Ercolano, occupati e poi soggetti ad edificazione da parte dell’Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Napoli per conto del comune di Ercolano, la Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 9 marzo 1984 ed impugnata in questa sede, determinava in L. 118.839.537 l’indennità di espropriazione dovuta a Ciro Zeno ed Angela Scognamiglio, in L. 51.999.480= l’indennità di espropriazione a favore di Rosa Zeno ed Angela Scognamiglio, liquidava le indennità per occupazione legittima ed illegittima a favore dei medesimi soggetti.
La motivazione della Corte si articola nelle seguenti proposizioni:
a) l’espropriazione dei terreni è stata disposta in base alla legge n. 865 del 22 ottobre 1971;
b) a seguito della dichiarata illegittimità costituzionale dell’art. 16 della richiamata legge (decisione n. 5 del 1980) e successivamente dello art. 1 legge n. 385 del 1980 in tema di indennità provvisoria (decisione n. 223 del 1983), la normativa applicabile è quella della legge generale del 1865 n. 2359 comportante il sostanzialmente completo ristoro del patrimonio dei soggetti espropriati;
c) conformemente alle conclusioni del C.T.U., i terreni debbono essere qualificati come edificatori; essi sono compresi nel piano regolatore del comune di Ercolano e godono della presenza di infrastrutture (acqua, luce, fognature, telefoni), della facile accessibilità, della adiacenza di terreni già edificati o destinati ad insediamenti residenziali;
d) per la concreta determinazione del valore dei suoli con riferimento all’epoca del decreto ablatorio (14 novembre 1977), tenuto conto degli elementi di comparazione e dei rilievi del C.T.U., si ritiene congruo il prezzo unitario di L. 26.000 al metro quadrato;
e) trattandosi di espropriazione parziale, deve essere valutata la perdita di valore della parte residua sulla base del criterio della stima differenziale;
f) spettano altresì le indennità per occupazione legittima (1 marzo 1973 – 29 febbraio 1976) ed illegittima (1 marzo 1976 – 14 novembre 1977);
g) la chiesta rivalutazione delle somme dovute agli espropriati non può essere disposta poiché non sussiste il ritardo colpevole del debitore nell’adempimento (essendo stata l’indennità determinata dall’UTE tempestivamente depositata presso la Cassa Depositi e Prestiti) e poiché i creditori non hanno provato né chiesto di provare ai sensi del 2° comma dell’art. 1224 c.c. di aver subito un maggior danno.
Avverso la sentenza della Corte napoletana Zeno Rosa, Zeno Ciro, Scognamiglio Angela hanno proposto ricorso per cassazione con un motivo unico.
L’Istituto Autonomo delle Case Popolari della Provincia di Napoli ed il Comune di Ercolano resistono con separati controricorsi.
A sua volta l’Istituto Case Popolari della provincia di Napoli ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati con memoria.
Rosa e Ciro Zeno ed Angela Scognamiglio con il controricorso avverso il ricorso dell’Istituto propongono ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
I ricorsi nn. 5201, 5066, 6509 dell’anno 1984, rispettivamente proposti da Zeno Rosa ed altri, dall’Istituto autonomo Case Popolari di Napoli, da Angela Scognamiglio ed altri in via incidentale, debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c. in quanto proposti contro la medesima sentenza pronunziata dalla Corte d’appello di Napoli inter partes e depositata il 9 marzo 1984.
Con unico motivo di ricorso (n. 5201-84) Rosa Zeno ed altri, nell’impugnare come erroneo il rigetto della domanda di rivalutazione monetaria delle somme loro liquidate a titolo di indennità di espropriazione, hanno dedotta la violazione dell’art. 16 legge n. 865 del 1971 in relazione alle sentenze della Corte Costituzionale n. 5 del 1980 e n. 223 del 1983 ed i vizi di omessa ed insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, non avendo la Corte napoletana rilevato che, per effetto delle richiamate decisioni della Corte Costituzionale dichiarative dell’illegittimità dell’art. 16 legge n. 865 del 1971 e successive modificazioni, il mancato deposito della giusta indennità deve essere considerato inadempimento colpevole alle obbligazioni sorgenti con l’atto ablativo a carico dell’espropriante, che l’opposizione alla stima deve essere ritenuta valida costituzione in mora, e che circa la prova del danno conseguente al ritardato versamento dell’indennità sussiste una generale presunzione di investimento antinflattivo delle somme ricevute.
La censura è priva di fondamento in tutti i suoi elementi e connessioni.
L’indennità di espropriazione per pubblica utilità ha natura di debito di valuta sia per la parte originariamente determinata nel decreto di espropriazione sia per quella che venga successivamente liquidata dal giudice a seguito di opposizione (1), la quale svalutazione può essere invece causa di un maggior danno risarcibile ai sensi dell’art. 1224, 2° co., cod. civ. soltanto se, in presenza di un ritardo colpevole del debitore nell’adempimento, il creditore alleghi e dimostri la sussistenza e l’entità del pregiudizio subito in conseguenza della svalutazione; la liquidazione di detto maggior danno deve pertanto discendere dal concreto accertamento del ritardo colpevole, dell’evento dannoso e degli effetti del fenomeno inflattivo, pur potendo a tal fine, fermo l’onere della corrispondente allegazione da parte del creditore ed in mancanza di prova di diverso contenuto, essere utilizzati sia i fatti notori (quali la naturale fruttuosità del denaro, la destinazione di esso ad impieghi coerenti con le qualità professionali, le possibilità finanziarie, l’ambiente di lavoro del creditore), sia la prova per presunzioni circa la prevedibile utilizzazione delle anzidette modalità di impiego e la normale collocazione del denaro nella più comune ed accessibile forma del deposito bancario (Cass. 1984 n. 2260, 1983 n. 7585, 1982 n. 7108, 1982 n. 830).
Orbene nella presente fattispecie risulta l’insussistenza sia del ritardo colpevole del debitore (Istituto espropriante) sia della necessaria allegazione e prova degli effetti concreti del fenomeno inflattivo riconducibili al comportamento del debitore.
Invero, come si desume dalla motivazione della sentenza impugnata, non sussiste il ritardo colpevole nell’adempimento da parte dell’Istituto espropriante, poiché l’indennità così come originariamente determinata dall’U.T.E. era stata tempestivamente depositata presso la Cassa Depositi e Prestiti, né gli espropriati hanno dimostrato né chiesto di provare di aver subito un ulteriore maggior pregiudizio ai sensi dell’art. 1224, 2° co., cod. civ.
Con il suo ricorso (n. 5066-84) l’Istituto Autonomo Case Popolari di Napoli ha dedotta la violazione dell’art. 4 legge n. 2248 del 1865 (All. E) in quanto, a seguito del venir meno dell’art. 16 legge n. 865 del 1971 dichiarato costituzionalmente illegittimo, il giudice ordinario non può sostituire, nella disciplina del procedimento espropriativo, le norme ed i criteri originariamente applicati dalla P.A. con altre norme e criteri; ha dedotta altresì la violazione dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, non avendo la sentenza della Corte di merito considerato che le leggi speciali (anteriori al 1971) in materia di espropriazioni non sono state abrogate dall’art. 9 legge n. 865 del 1971, che si era limitato a prevedere l’applicazione del sistema desumibile dal successivo art. 16 a tutte le opere pubbliche; conseguentemente, dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale del citato artt. 16 (decisione n. 5 del 1980) sarebbe derivata l’applicazione non della legge originaria e generale del 1865 ma del T.U. nell’edilizia popolare ed economica (n. 1165 del 1938) il cui art. 46 richiama la legge sul risanamento della città di Napoli.
La censura non può trovare accoglimento.
Si deve preliminarmente precisare che l’espropriazione de qua ha riguardato terreni edificabili e l’indennità era stata determinata sulla base dei criteri dell’art. 16 legge n. 865 del 1971: conseguentemente le decisioni della Corte Costituzionale n. 5 del 1980 e n. 223 del 1983, rispettivamente dichiarative dell’illegittimità costituzionale dell’art. 16 citato e della normativa provvisoria susseguente, hanno inciso direttamente sull’opposizione alla stima in esame (S.U. n. 5401 del 1984).
E’ necessario altresì chiarire, sempre preliminarmente, che la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di norme che fissano criteri per la determinazione dell’indennità di espropriazione (ad es. art. 16 legge n. 865 del 1971 e norme provvisorie successive) non implica una carenza di potere espropriativo nell’ipotesi in cui detti criteri non siano più applicabili (S.U. n. 5383 del 1984).
Ciò premesso, si rileva che in tema di determinazione dell’indennità espropriativa, la norma del comma premesso all’art. 4 D.L. 2 maggio 1974 n. 115 dalla legge di conversione 27 giugno 1974 n. 247 (la quale estende le disposizioni del titolo secondo della legge 22 ottobre 1971 n. 865 a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere od interventi da parte dello Stato o degli enti pubblici) comporta, nell’ambito delle singole leggi regolanti le suddette espropriazioni, l’abrogazione dei criteri originariamente previsti e la sostituzione con quelli fissati dal citato titolo della legge del 1971; per tali espropriazioni, quando il provvedimento ablatorio venga emesso dopo l’entrata in vigore della legge n. 247 del 1974, la liquidazione dell’indennità resta inderogabilmente soggetta alle nuove disposizioni, che debbono essere applicate anche direttamente dal giudice in sede di opposizione alla stima, il quale, in dipendenza delle decisioni della Corte Costituzionale n. 5 del 1980 e n. 223 del 1983, deve individuare la norma concretamente applicabile (S.U. 1983 n. 1525, Cass. 1983 n. 3243, 1982 n. 3338, n. 1754 n. 1673).
Secondo il più recente orientamento di questa Corte (Cass. 1985 n. 1806, n. 1972, n. 1356, 1984 n. 6427, n. 3278), in conseguenza dell’eliminazione dall’ordinamento giuridico, per effetto delle decisioni della Corte Costituzionale n. 5 del 1980 e n. 223 del 1983, sia dei criteri legali di determinazione dell’indennità di espropriazione stabiliti dalla legge 22 ottobre 1971 n. 865 come modificata dalla legge 28 gennaio 1977 n. 10, sia di quelli stabiliti in via provvisoria (salvo conguaglio) dalla legge 29 luglio 1980 n. 385 e successive proroghe, ai fini della determinazione della indennità per la espropriazione comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi dello Stato e degli altri Enti pubblici anche non territoriali, cui il comma premesso all’art. 4 D.L. 2 maggio 1974 n. 115 della legge di conversione 27 giugno 1974 n. 247 rendeva applicabili le norme dichiarate costituzionalmente illegittime, deve farsi riferimento ai criteri stabiliti dalla legge fondamentale sulle espropriazioni per pubblica utilità 25 giugno 1865 n. 2359.
Questo principio non trova deroga nelle espropriazioni disposte per l’attuazione di piani di edilizia economica e popolare (cui l’Istituto ricorrente espressamente si riferisce come a situazioni particolari legittimanti un diverso trattamento normativo), poiché le speciali disposizioni contenute per la materia nell’art. 12 legge 18 aprile 1962 n. 167 (come sostituito dall’art. 1 legge 21 luglio 1965 n. 904) sono state espressamente abrogate dall’art. 39 legge 22 ottobre 1971 n. 865 (in tali sensi precisi: Cass. 1984 n. 3314).
Conseguentemente, appare corretta la conclusione della Corte napoletana secondo cui nel presente procedimento espropriativo ed al decreto ablativo del 14 novembre 1977 debbono essere applicati i criteri previsti dalla legge organica fondamentale del 1865 n. 2359.
Con ricorso incidentale condizionato, proposto da Angela Scognamiglio ed altri per l’ipotesi di accoglimento del ricorso dell’Istituto autonomo Case popolari di Napoli e della conseguente inapplicabilità alla fattispecie del criterio del valore venale dovuto per l’espropriazione dei terreni in questione, si deduce che la sentenza impugnata non avrebbe valutato l’esistenza del diritto dei ricorrenti Angela Scognamiglio ed altri al risarcimento del danno consistente nella privazione della proprietà senza giusta indennità per effetto della disapplicazione (resa necessaria dall’applicazione di norme dichiarate illegittime costituzionalmente) degli atti amministrativi integranti il procedimento ablativo de quo.
Il ricorso incidentale condizionato deve essere dichiarato inammissibile, in quanto il ricorso dell’Istituto Autonomo Case popolari di Napoli, dal cui eventuale accoglimento traeva giustificazione quello incidentale condizionato, è stato rigettato.
In conclusione, il ricorso di Zeno Rosa ed altri e quello dell’Istituto debbono essere rigettati, il ricorso incidentale condizionato di Angela Scognamiglio ed altri deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione debbono essere compensate.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, previa loro riunione, rigetta i ricorsi n. 5201-84 e n. 5066-84 rispettivamente proposti da Zeno Rosa ed altri e dall’Istituto Autonomo Case Popolari di Napoli, dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato n. 6509 dell’84, proposto da Angela Scognamiglio ed altri, compensa integralmente le spese giudiziali del presente grado.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 1985.
(1) contro la stima; l’indennità, quindi, in quanto soggetta al principio nominalistico, non è suscettibile di automatico adeguamento per effetto della svalutazione monetaria verificatasi nelle more del giudizio di opposizione,
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 16 GENNAIO 1986