Svolgimento del processo
Con decreto prefettizio del 15.7.1970 la Società Autostrade di Venezia e Padova venne autorizzata ad occupare d’urgenza per due anni (prorogati per egual tempo con successivo decreto 28.1.1972) una superficie di terreno di mq. 24507 appartenente a Lino ed Antonio Sabbadin (e compresa nella maggiore estensione di Ha 8.16.17 costituente un’azienda agricola a conduzione familiare), ai fini della costruzione del 4° lotto della tangenziale ovest di Padova.
Scaduto il periodo di occupazione senza che venisse emesso il decreto di espropriazione per pubblica utilità, e fallita una trattativa di amichevole liquidazione del risarcimento dovuta ai Sabbadin, questi con citazione 8.11.1974 convennero dinanzi al Tribunale di Venezia la detta Società chiedendo che – previa declaratoria di illegittimità dell’occupazione – la stessa venisse condannata al pagamento della somma di L. 200.000.000, o quella diversa ritenuta di giustizia, a titolo di “indennità di occupazione fino all’esproprio e di indennità di esproprio da determinarsi alla data del relativo decreto prefettizio, il tutto con gli interessi legali al saldo”.
Costituitosi il contraddittorio, la società convenuta chiese dichiararsi inammissibile od improponibile, o rigettarsi, la domanda perché il termine di occupazione legittima (decorrente, a suo avviso, dalla data dell’effettiva presa di possesso del terreno) non era ancora decorso.
Chiese poi, in via subordinata, dichiararsi il difetto di giurisdizione sulla domanda di determinazione dell’indennità di espropriazione, sostenendo che un’azione dinanzi al giudice ordinario può essere proposta – nelle forme dell’opposizione alla stima della indennità medesima – solo dopo che questa sia stata stabilita, secondo l’apposito procedimento, dall’autorità amministrativa.
Con sentenza 22.4.1980 il tribunale, respinte le eccezioni di inammissibilità e di improponibilità della domanda, sul rilievo che alla data della citazione il periodo di occupazione legittima era ormai decorso, dichiarò il proprio difetto di giurisdizione, osservando che non poteva essere domandata al giudice ordinario la determinazione delle indennità di occupazione e di espropriazione prima che queste fossero stabilite dall’autorità amministrativa nell’ambito della procedura di sua competenza.
Aggiunse che, intervenuto nelle more del giudizio il decreto di espropriazione, non poteva operare il principio secondo cui la domanda di risarcimento si converte automaticamente in opposizione alla stima dell’indennità, giacché tale principio presuppone che sia stata appunto proposta, inizialmente, una domanda di risarcimento di danni (ciò che nella specie non era avvenuto).
Su gravame dei Sabbadin, la Corte di Appello di Venezia ha pronunziato la sentenza ora impugnata, con cui ha affermato la giurisdizione negata dal tribunale, osservando che la domanda degli attori, riferita alla situazione dedotta in giudizio ed alla valutazione obiettivamente fattane dall’ordinamento, era diretta ad ottenere il ristoro patrimoniale del diritto di proprietà (violato mediante una occupazione protrattasi oltre il termine di legge), ed era perciò da qualificarsi, indipendentemente dalle espressioni usate dalle parti, come domanda di risarcimento di danni, la quale a seguito dell’intervenuto decreto di espropriazione, si era convertita in opposizione alla stima dell’indennità.
Esaminando poi il merito della domanda così configurata, ha determinato la indennità di espropriazione e l’indennità di occupazione legittima (riconoscendo il diritto al risarcimento del maggior danno dipendente dalla svalutazione monetaria per il periodo successivo alla sentenza di primo grado, ed agli interessi legali sulla somma rivalutata), ed ha poi liquidato, come debito di valore, la somma dovuta per il periodo di occupazione illegittima. Ha quindi condannato la Società Autostrade di Venezia e Padova a versare alla Cassa depositi e prestiti la differenza tra le maggiori somme determinate per le due anzidette indennità e quelle già versate in dipendenza del decreto di espropriazione, ed a pagare direttamente ai Sabbadin la somma dovuta, a titolo di risarcimento danni, per l’occupazione illegittima.
Contro tale sentenza ha proposto ricorso principale, sulla base di quattro motivo, la Società su indicata, e ricorso incidentale, sulla base di tre motivi illustrati con memoria i Sabbadin Lino ed Antonio.
Motivi della decisione
I due ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.. Col primo motivo la Società Autostrade lamenta che la Corte del merito, nell’affermare la propria giurisdizione, abbia illegittimamente sostituito alla domanda proposta degli attori – diretta ad ottenere dal giudice la determinazione di indennità che erano determinabili invece dall’autorità amministrativa – una domanda del tutto diversa, come quella, erroneamente ravvisata, di risarcimento di danni per ablazione illecita della superficie occupata. Chiede, pertanto che, qualificandosi l’azione dei Sabbadin come azione di determinazione dell’indennità di espropriazione e dichiarandosi la stessa sottratta alla giurisdizione dell’A.G.O., l’impugnata sentenza venga cassata senza rinvio.
Alla stessa conclusione la ricorrente perviene con secondo motivo, sostenendo che, siccome l’atto introduttivo del giudizio è stato notificato quando l’occupazione del terreno era tuttora legittima (avendo essa avuto inizio nel maggio 1971 con la redazione del verbale di immissione in possesso), la domanda dei Sabbadin era comunque prematura (ed avrebbe dovuto essere dichiarata improponibile) sia come domanda di determinazione dell’indennità sia come domanda di risarcimento di danni.
Le censure non sono fondate.
Premesso che la giurisdizione va determinata con riferimento al contenuto sostanziale della domanda, la Corte osserva che i Sabbadin, allegando che gli effetti dei decreti, in base ai quali essi erano stati privati del possesso del terreno, erano venuti meno per scadenza del termine e che perciò essi attori – non essendo seguito un decreto di espropriazione – risultavano illecitamente privati del terreno stesso, denunciavano la lesione del loro diritto di proprietà.
Se questo era il titolo del ristoro patrimoniale che essi chiedevano nel domandare la condanna della società Autostrade al pagamento della somma di L. 200.000.000, o di quella ritenuta più giusta, è evidente che l’azione, malgrado l’improprio riferimento della citazione alla determinazione dell’indennità di espropriazione, si qualificava obiettivamente come azione di risarcimento di danni.
Nulla del resto, a parte quell’improprio riferimento dell’atto introduttivo, c’é nell’atto stesso, o nelle successive conclusioni, che autorizzi ad attribuire ai Sabbadin l’intento (che apparrebbe davvero singolare, oltre che contraddittorio rispetto alla denunciata illegittimità dell’occupazione) supposto dalla ricorrente, cioé quello di chiamare il giudice ad integrare un procedimento ablatorio di natura amministrativa ed a sostituirsi alla P.A. nella determinazione dell’indennità prevista come momento essenziale di quel procedimento.
Esatte dunque sono la qualificazione, da parte della Corte di Appello, della domanda proposta con l’atto introduttivo e le conclusioni trattenne sul piano della giurisdizione.
Il secondo motivo parte da un presupposto che non può essere condiviso: che cioé, alla data dell’atto introduttivo del giudizio, l’occupazione dovesse considerarsi ancora legittima perché non erano ancora trascorsi i quattro anni dal suo materiale inizio.
Contro tale assunto stanno la giurisprudenza più recente di questa Corte (secondo cui la stessa emanazione del decreto di occupazione determina la compressione del diritto dominicale e la decorrenza del termine stabilito nel decreto stesso: v. sent. 11.6.1980 n. 3716 e 27.11.1982 n. 6427) e l’accertamento della Corte di merito – non censurato in questa sede – secondo cui già dal 27 agosto 1970 erano iniziati i lavori di scavo.
Non giovano alla società ricorrente né la sentenza 18.12.1980 n. 6550 di questa Corte (essa riguardando il diverso problema della decorrenza degli interessi attribuiti al proprietario a titolo di mancato reddito), né il fatto che il verbale di presa di possesso sia stato redatto nella specie il 19.5.1971 (trattandosi di atto diretto a formalizzare uno dei momenti della procedura, che non toglie rilevanza al fatto materiale della già avvenuta occupazione).
Col terzo motivo la detta società denuncia violazione dell’art. 353 c.p.c. e sostiene che la Corte di Appello, una volta affermata la giurisdizione che era stata negata dal primo giudice, avrebbe dovuto rimettere la causa allo stesso giudice.
Sarebbe pertanto nulla la sentenza nella parte in cui pronunzia nel merito della controversia.
La censura è fondata.
Dall’esame della sentenza di primo grado risulta chiaramente che il tribunale ha esaminato una questione di giurisdizione: questione che è configurabile, ai sensi dell’art. 37, 1° comma c.p.c., non solo quando si discute sul riparto della competenza giurisdizionale tra giudice ordinario e giudice speciale, ma (contrariamente a quanto mostrano di ritenere i Sabbadin, particolarmente con le argomentazioni esposte nella memoria) anche quando alla domanda proposta dinanzi al giudice si appongano poteri che la legge riserva alla Pubblica Amministrazione. Orbene il Tribunale, che nel dispositivo della sua sentenza ha espressamente dichiarato il difetto di giurisdizione, ha così statuito proprio perché ha ritenuto che la domanda sollecitasse una pronunzia del giudice su una materia – quale la determinazione della indennità di espropriazione – oggetto di un potere riservato alla P.A. nell’ambito del procedimento amministrativo ablatorio. Si trattava, dunque, non già di una pronuncia di inammissibilità della domanda, ma di un caso tipico di declaratoria di difetto di giurisdizione, quale ravvisabile anche – ed ancor più – nella ipotesi di impropronibilità assoluta della domanda dinanzi a qualsiasi giudice.
Il diverso avviso della Corte di Appello, la quale ha riformato la sentenza del tribunale ritenendo – e, come si è detto nello esame del primo motivo, esattamente – che la controversia rientrasse nella giurisdizione del giudice ordinario, impediva alla stessa Corte di esaminare il merito ed imponeva invece, ai sensi dell’art. 353 c.p.c., la rimessione della causa al primo giudice: conseguenza questa, che non poteva essere impedita dal fatto che le parti avessero formulato anche conclusioni di merito e chiesto anche in ordine ad esse una pronunzia della Corte di Appello, poiché l’osservanza del principio del doppio grado, voluta dall’art. 353 cpc. per ragioni attinenti alla giurisdizione, è sottratta al potere dispositivo delle parti (v. Cass. 12.10.1965 n. 2118, 23.3.1979, n. 1169; 5.7.1984 n. 3949, con le quali non contrastano le pronunzie di questa Corte citate dai Sabbadin, esse riguardano le diverse questioni attinenti alla competenza ed alla regolarità del contraddittorio).
Né infine è possibile per altra via attribuire alla statuizione del tribunale un significato che non sia quello della declinatoria della giurisdizione e che consenta quindi di porre la fattispecie fuori della previsione di cui all’art. 353 cpc.. Non potrebbe, in particolare, ravvisarsi un caso di omessa pronunzia sulla (realmente proposta) domanda di risarcimento di danni.
Da un lato, infatti, è frequente che una questione di giurisdizione venga prospettata e risolta proprio in funzione di una certa interpretazione della domanda giudiziale (ciò che appunto è avvenuto nella specie), e, dall’altro, è dato rilevare che l’ipotesi della azione di risarcimento di danno è stata considerata anche dal tribunale sia pure per negarsi che essa fosse stata proposta nel caso concreto: onde le conseguenze da esso tratte in termini di declinatoria della giurisdizione “sulla causa” (v. art. 353 cpc.), cioé sulla concreta intera materia controversa.
Le conclusioni che derivano dalle considerazioni svolte sono evidenti. Questa corte, rilevato che il giudice di appello – dopo avere riconosciuto esattamente che sussisteva la giurisdizione negata dal primo giudice – ha esaminato il merito della causa anziché rimandare le parti dinanzi al detto giudice, deve cassare l’impugnata sentenza in ordine alle statuizioni di merito contenutevi, e provvedere direttamente (v. sez. unite 27.1.1977 n. 401) a rimettere le parti al Tribunale.
Rimangono in tal modo assorbite tutte le odierne censure attinenti al merito, e cioé quelle espresse col quarto motivo del ricorso (1) incidentale dei Sabbadin, esse concernendo appunto materia che non avrebbe potuto essere esaminata dal giudice di appello.
Il Tribunale di Venezia provvederà anche sulle spese delle pregresse fasi del giudizio e di questa di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riuniti i ricorsi, rigetta i primi due motivi del ricorso principale e ne accoglie il terzo.
Dichiara assorbito il quarto motivo dello stesso ricorso nonché il ricorso incidentale.
Cassa l’impugnata sentenza e rimette le parti al primo giudice, che provvederà anche sulle spese processuali delle pregresse fasi del giudizio e di questa di Cassazione.
Così deciso in Roma il 13 giugno 1985.
(1) principale e quelle proposte col ricorso
(postilla approvata)
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 17 GENNAIO 1986