Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 27 ottobre 1977, la s.a.s. Immobiliare San Sebastiano di Sebastiano Triscari e C. nella qualità di condomina del complesso immobiliare corpo box, fabbricato “D” sito in Milano alla Via Darwin n. 8 conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, il condominio del complesso suddetto chiedendo che fossero dichiarate nulle tutte le deliberazioni assunte nel corso dell’assemblea dei condomini avvenuta in data 14 settembre 1977.

L’amministrazione del condominio, costituitosi, eccepiva preliminarmente, l’incompetenza dell’autorità giudiziaria ordinaria, con riferimento ad una clausola compromissoria contenuta nel regolamento condominiale (art. 29), in base alla quale tutte le controversie fra condomini e, fra questi l’amministratore “per la interpretazione e l’esecuzione delle norme di legge e di contratto reggenti il condominio”, dovevano essere definite al giudizio di tre arbitri.

Nel merito, deduceva l’infondatezza della domanda. Con sentenza del 7 gennaio 1980, il Tribunale disattendeva l’eccezione di incompetenza e, pronunciando nel merito, annullava la deliberazione assembleare del 14.11.1977, in relazione al punto 5 dell’ordine del giorno.

Avverso detta sentenza, proponeva impugnazione l’amministrazione del condominio, riproponendo tra l’altro, l’eccezione di incompetenza del giudice ordinario.

Con sentenza del 9 giugno 1981, la Corte d’Appello di Milano, in accoglimento del gravame, dichiarava la incompetenza del giudice ordinario a conoscere la domanda, e la competenza, al riguardo, degli arbitri, per effetto della clausola compromissoria invocata dall’amministrazione condominiale.

Riteneva, in particolare, la Corte che il regolamento condominiale, allegato ai singoli contratti di compravendita, faceva parte integrante di ciascun negozio di trasferimento delle diverse proprietà, in rapporto di relatio perfecta, al fine di completare, sotto il profilo economico-giuridico, l’insieme dei rapporti nascenti dallo atto negoziale; e che la norma dell’art. 1341 c.c., relativa alla necessità di approvazione specifica delle c.d. clausole vessatorie, andava riferita ai soli contratti di scambio, e non era applicabile alle convenzioni complesse nelle quali si attua un’originaria convergenza di interessi per il perseguimento di scopi comuni ad un determinato gruppo.

Avverso detta sentenza, propone ricorso per cassazione il Triscari, sulla base di due motivi di annullamento.

Non vi è controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo articolato motivo del ricorso – denunziando errata interpretazione degli artt. 1341 e 1342 c.c. nonché degli artt. 808 e 809 c.p.c. con riferimento all’art. 1137 c.c., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. – il ricorrente solleva una serie di questioni che, disposte e rappresentate secondo criteri logico-sistematici, si propongono nell’ordine e nei termini che seguono:

a) questione della compromettibilità in arbitri delle controversie previste dall’art. 1137, 2° comma, c.c., in relazione alla quale il ricorrente nega che le contestazioni in oggetto possano costituire materia di negozio compromissorio;

b) questione della specifica approvazione per iscritto della clausola compromissoria, in quanto clausola vessatoria ed onerosa inserita in condizioni generali di contratto ai sensi dell’art. 1341, 2° comma, c.c., in relazione alla quale il ricorrente deduce la necessità, nella specie, della specifica approvazione suddetta;

c) questione della esclusione dal campo applicativo della clausola compromissoria dedotta dal condominio delle questioni sorte tra condominii (e non tra condomini) compresi nel complesso immobiliare de quo, in relazione alla quale il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia o, in subordine, l’assoluto difetto di motivazione;

d) questione della equiparazione dei rapporti condominiali a quelli associativi o di gruppo o societari, in relazione alla quale la ricorrente censura la Corte del merito per avere sostenuto detta equiparazione, come argomento aggiuntivo circa la inapplicabilità alla specie della normativa di cui all’art. 1341, 2° comma, c.c. citato.

La censura è infondata in ogni suo aspetto.

In ordine al primo punto – sostanzialmente relativo al se la materia riguardante l’impugnabilità delle delibere assembleari condominiali sia devoluta esclusivamente all’autorità giudiziaria – èsufficiente osservare che l’art.1137, 2° comma c.c., disponendo che “contro le delibere (dell’assemblea dei condomini) contraria alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino dissenziente può far ricorso all’autorità giudiziaria”, concepisce il diritto soggettivo del condomino quale facultas agendi a tutela di interessi direttamente protetti dall’ordinamento giuridico e non esclude affatto la compromettibilità ad arbitri delle relative controversie, le quali non rientrano in alcuno dei divieti previsti dagli artt. 806 e 808 c.p.c.; con l’effetto che deve considerarsi legittima la norma del regolamento condominiale che preveda una clausola compromissoria, e, conseguentemente, vincolante l’obbligo di chiedere la tutela all’organo arbitrale designato come competente (v., in tal senso, Cass. 2960-68, 2178-82, 4218-83). Quanto al secondo aspetto della censura in esame, vale ricordare che il regolamento convenzionale di condominio, anche quando non sia materialmente inserito nel testo del contratto di compravendita dei singoli appartamenti dell’edificio condominiale, fa corpo con esso, perchéespressamente richiamato e approvato, di guisa che le sue clausole rientano, almeno per relationem, nel tessuto dei singoli contratti di acquisto (Cass. n. 5769-78). Trattasi, con ogni evidenza, di una “relatio” perfetta, in quanto il richiamo è opera di entrambe le parti contraenti, onde l’intesa negoziale rimane fuori della previsione legislativa dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ.

Presupposto per l’applicazione di tale norma, infatti, come risulta dalla connessione logica delle disposizioni contenute nello stesso articolo e in quello successivo, è che taluna delle clausole specificamente indicate sia contenuta in un contratto per adesione, cioé concluso in base alla predisposizione di condizioni generali da parte di uno dei contraenti e approvato dall’altro con un mero atto di adesione, oppure che la clausola stessa sia inserita in un contratto concluso mediante l’impiego di moduli e formulari, il cui contenuto sia stato predisposto per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti. Per tali casi, il legislatore impone l’approvazione specifica per iscritto delle clausole particolarmente onerose, al fine di assicurare il corretto funzionamento del meccanismo contrattuale e la reciproca uguaglianza delle parti nella formazione del contratto, che può essere pregiudicata in danno del contraente più debole dalla mancata preventiva discussione dei patti; per modo che l’approvazione specifica di tali clausole, la quale offra la certezza che esse siano state conosciute e accettate, valga ad eliminare il pregiudizio inerente alla difficoltà di avvertire e discutere, nella fase precontrattuale, la natura e la portata delle clausole medesime. Tale situazione non si verifica nella formazione del contratto a relazione perfetta,caratterizzato da una cooperazione delle parti nella scelta delle clausole di riferimento e nella approvazione di quella che dispone il richiamo, la quale importa l’espressione di una manifestazione di volontà di entrambe le parti (Cass. citata).

A tali principi, la Corte del merito si è rigorosamente attenuta, adottando un’ampia e appagante motivazione, insindacabile, come tale, in questa sede di legittimità; ed osservando, inoltre, con considerazione aggiuntiva e non determinante, che, anche in materia di società e di associazioni in genere, la giurisprudenza di legittimità ha escluso che i nuovi soci di una società già costituita debbano specificamente approvare la clausola compromissoria contenuta nello statuto, giacché l’ipotesi non può essere ricondotta all’ambito di applicazione dell’art. 1341 c.c., essendo l’ingresso del nuovo socio assimilabile all’adesione ad un contratto così detto aperto (art. 1332 c.c.) e l’indennità della posizione dei partecipanti, con interessi tesi al perseguimento di finalità comuni, esclude, di per sé, l’applicazione di una limitazione che, per sua natura, presuppone una contrapposizione (e non una convergenza) di interessi.

A quest’ultima considerazione, è rivolto il quarto punto della censura in esame.

Al riguardo, notasi che a parte l’indubbio rilievo dell’indirizzo giurisprudenziale ora ricordato, il confronto con situazioni analoghe, operanti in materia societaria e-o associativa in genere, fato dalla Corte del merito, quale ulteriore e non necessario supporto motivazionale,assume, con ogni evidenza come già avvertito, il significato ed il valore di un argomentare ad adiuvandum e, in quanto tale, non incidente, per sé stesso, sulla sostanziale correttezza della decisione adottata, che risulta saldamente ancorata alle pregresse ed esaurienti motivazioni svolte dalla Corte medesima.

Resta, così, travolto anche il quarto punto della doglianza, che assegna erroneamente un valore decisivo ad un mero “riferimento”, svolto in via aggiuntiva e gradata.

Quanto, infine, al terzo punto della censura (relativo al preteso omesso esame o al preteso difetto assoluto di motivazione, circa l’estensione dell’ambito applicativo della clausola compromissoria ai rapporti tra i condomini (rectius corpi di fabbrica) compresi nel complesso immobiliare de quo, notasi che la Corte del merito – contrariamente all’assunto – ha considerato il particolare fenomeno costitutivo dall’esistenza di una pluralità di edifici nell’unico complesso edilizio sorto in Milano, alla Via Darwin, angolo via Mario Pichi, disciplinato da un unico, articolato regolamento di condominio, e, in riferimento al punto pregiudiziale in discussione (costituito dall’operatività della clausola compromissoria), ha ritenuto, sia pure in sintesi, l’ininfluenza del detto fenomeno, “disciplinando il regolamento condominiale tutti i rapporti tra gli acquirenti in funzione dei diritti acquisiti con il trasferimento delle unità immobiliari da parte dell’originario unico proprietario”.

Trattasi di motivazione sintetica, ma pur sufficiente, che, sfuggendo a vizi di ordine logico, sottrae la sentenza impugnata anche al punto di censura in esame.

In conclusione, il ricorso va rigettato, mentre nessuna pronuncia va adottata in ordine alle spese, non essendovi controricorso.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione: rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15.5.85. DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 GENNAIO 1986