Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 20 agosto 1982, Antonio Marinaro proponeva opposizione avverso il provvedimento in data 16 agosto 1982 del Prefetto di Taranto con il quale era stata ordinata la confisca dell’auto Peugeot 305 F telaio n. 8938541, sequestrata il precedente 11 agosto 1982, perché trovata in circolazione benché sprovvista di carta di circolazione.

Deduceva l’opponente che il provvedimento era stato emesso quando era cessata la pericolosità del bene, in quanto il giorno successivo al sequestro il veicolo era stato immatricolato con targa TA 291099 e provvisto di carta di circolazione ed il 13 agosto 1982 era stata altresì corrisposta la sanzione amministrativa.

All’udienza compariva per il Prefetto un funzionario all’uopo delegato, il quale insisteva per la reiezione dell’opposizione deducendo l’obbligatorietà del provvedimento.

Il Pretore di Taranto, con sentenza 24 marzo 1983, rigettava l’opposizione.

A sostegno della decisione il Pretore osservava che, atteso il disposto dell’art. 21, comma 3, 1. n. 689 del 1981, il provvedimento di confisca era stato legittimamente emesso dal momento che, alla data della contestazione della violazione, il veicolo era stato posto in circolazione, senza che fosse stata rilasciata la relativa carta di circolazione, mentre era irrilevante la circostanza che la situazione antigiuridica fosse venuta meno.

Lo stesso Pretore, poi, dichiarava manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale del citato art. 21, comma 3, rilevando che la proporzione della sanzione al fatto commesso integrava un problema di politica legislativa che non investiva la costituzionalità della norma e che comunque non poteva farsi alcun raffronto con fattispecie totalmente diverse e comunque non assimilabili alla violazione in esame, quale la misura di sicurezza di cui all’art. 240 c.p., che risponde a finalità estranee alla sanzione amministrativa applicata nella specie.

L’illecito amministrativo ascritto al Marinaro non veniva comunque meno per il fatto che l’autovenditore avesse assicurato il Marinaro in ordine all’abilitazione del veicolo a circolare, trattandosi di circostanza non dedotta al momento della constestazione dell’infrazione e comunque non idonea a far venire meno l’obbligo dell’opponente di adottare quel minimo di cautela necessaria a verificare l’effettiva sussistenza dei requisiti per l’abilitazione dell’autovettura alla circolazione.

Avverso questa sentenza Antonio Marinaro ha proposto ricorso per cassazione illustrato da memoria articolato su due motivi e notificato al Prefetto di Taranto.

L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

1. Preliminare all’esame del merito è la soluzione della questione -che questa Corte deve porsi d’ufficio, attesa la sua rilevanza ai fini dell’ammissibilità del ricorso- della ritualità della notifica dell’atto d’impugnazione al Prefetto, presso il suo ufficio, qualora lo stesso, nella precedente fase di giudizio, non si sia costituito con l’assistenza dell’Avvocatura dello Stato.

Per la composizione del contrasto interpretativo verificatosi nell’ambito della I sezione civile sulla questione su accennata la causa è stata rimessa a queste Sezione Unite.

Come è noto, con pronunce meno recenti, tale forma di notifica è stata ritenuta nulla -facendosi da ciò derivare, in conseguenza della mancata costituzione in giudizio della amministrazione intimata, l’inammissibilità del ricorso- sulla base del rilievo che solo nel procedimento innanzi al pretore è possibile effettuare le notificazioni degli atti direttamente presso le amministrazioni, laddove, invece, nel giudizio di impugnazione in cassazione, la notificazione del ricorso deve essere effettuata presso l’Ufficio della Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria adita (Cass. 18 maggio 1983 n. 3429), in quanto l’art. 1 l. 25 marzo 1958 n. 260, nel sostituire il comma 1 dell’art. 11 r.d.l. 30 ottobre 1933 n. 1611, ha lasciato inalterati gli altri commi, che sono implicitamente ed univocamente richiamati nella loro formulazione originaria e, in particolare, l’ultimo che sancisce, a pena di nullità l’obbligo di notificazione all’Amministrazione dello Stato presso l’Avvocatura dello Stato delle citazioni, dei ricorsi e di qualsiasi atto di opposizione giudiziale (Cass. 18 dicembre 1985 n. 6463).

Tale indirizzo è stato disatteso da più recente sentenza la quale ha ritenuto che la notifica del ricorso per cassazione avverso la decisione pretorile emessa in sede di opposizione alla ordinanza-ingiunzione ex lege n. 689 del 1981 è ritualmente effettuata nei confronti del prefetto e presso la sede della prefettura e ciò sulla base dell’inapplicabilità della normativa contenuta nel capo III del t.u. n. 1611 del 1933 sulle notificazioni alle amministrazioni statali (Cass. 20 marzo 1987 n. 2771).

Secondo quest’ultima pronuncia, dalla esclusiva legittimazione processuale passiva, ricavabile dall’art. 23 l. n. 689 del 1981, nel giudizio di opposizione, dell’autorità periferica che ha emesso l’ordinanza-ingiunzione, deriva che anche il giudizio di impugnazione non può che svolgersi tra le medesime parti tra le quali si è svolto il giudizio di primo grado, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 11 r.d.l. n. 1611 del 1933, che, invece, indica nel ministro competente il destinatario delle notifiche alle amministrazioni statali, sicché legittimamente il ricorso per cassazione è notificato al prefetto, presso il suo ufficio, senza che possa operarsi una distinzione fra destinatario della notificazione (il prefetto) e luogo della notificazione (ufficio dell’avvocatura dello Stato), trattandosi di distinzione che, non operando in sede di giudizio di opposizione, non può operare nel giudizio di cassazione.

2. Ritiene il Collegio che il contrasto di giurisprudenza vada composto aderendo alla tesi da ultimo richiamata, anche se per ragioni parzialmente diverse da quelle esposte nella sentenza n. 2771 del 1987, sulla base delle argomentazioni che seguono e tenendo presenti i principi affermati con recente pronuncia da queste Sezioni Unite, nel comporre il contrasto di giurisprudenza sulla notifica della sentenza che conclude il giudizio di opposizione, qualora in quest’ultimo giudizio il prefetto sia rimasto contumace o si sia costituito personalmente o a mezzo di propri funzionari.

Anche nella controversia in esame, infatti, la questione si pone negli stessi termini, trattandosi cioé di stabilire se la disposizione di cui all’art. 23, comma 2. l. n. 689 del 1981, nella parte in cui prevede che il ricorso ed il decreto di fissazione dell’udienza sono notificati all’autorità che ha emesso l’ordinanza-ingiunzione, deroghi per il solo giudizio di opposizione od anche per la notifica del ricorso per cassazione al principio contenuto nell’art. 11, comma 1, r.d.l. n. 1611 del 1933, secondo cui: “Tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizione ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi ad arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente”. Nel risolvere il contrasto sulla notifica della sentenza, e che coinvolgeva anche l’art. 11, comma 2, r.d. cit., queste S.U. hanno ritenuto che “l’art. 23, comma 2, l. n. 689 del 1981, nello stabilire che il ricorso in opposizione ed il decreto di fissazione d’udienza sono notificati all’autorità che ha emesso l’ordinanza, oltre a derogare -qualora tale autorità sia un’amministrazione dello Stato- al comma 1 dell’art. 11 r.d. n. 1611 del 1933, rende inapplicabile -in caso di contumacia del convenuto o di sua costituzione personale- il secondo comma dello stesso articolo, sicché la notifica della sentenza che conclude il giudizio di opposizione deve essere effettuata, ai fini del decorso del termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione, alla stessa amministrazione convenuta e non presso l’ufficio dell’avvocatura distrettuale dello Stato competente per territorio, in base ai principi di cui agli art. 292 e 285 c.p.c., i quali disciplinano anche le controversie in cui sia parte un’amministrazione dello Stato, in caso di inapplicabilità dell’art. 11, comma 1, r.d. cit.” (Cass. 1° marzo 1988 n. 2174), osservando che non è “la circostanza che il destinatario dell’atto da notificare sia il prefetto e non anche il ministro competente a rendere inapplicabile l’art. 11, comma 2, r.d. cit. (…) ma è il fatto che la notifica dell’atto introduttivo del giudizio non sia effettuata presso l’ufficio distrettuale dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa ad indurre l’applicabilità degli art. 170 e 292 c.p.c., qualora l’organo legale non abbia assunto la rappresentanza della p.a.” (ivi, in motivazione).

Per giungere a tali conclusioni, la sentenza da ultimo richiamata ha cioé ritenuto che la riconosciuta esclusiva legittimazione sostanziale e processuale del prefetto, come titolare esclusivo del potere di irrogare la sanzione amministrativa e come destinatario parimenti esclusivo della notifica del ricorso e del decreto in deroga al principio contenuto nell’art. 11, comma 1, r.d. cit. non può non spiegare i suoi effetti anche sulla notifica della sentenza.

Analoghi principi devono affermarsi anche nella soluzione del problema ora in esame dal momento che la notifica del ricorso per cassazione -sempre in ipotesi di contumacia del prefetto nel giudizio di opposizione o di sua costituzione personale o a mezzo di propri funzionari- si pone come ulteriore fase dell’unitario giudizio che, iniziatosi con la notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione di udienza, si svolge con la notifica della sentenza che conclude il giudizio di primo grado e si sviluppa con la notifica del ricorso per cassazione avverso tale sentenza.

L’art. r.d. cit. -sulla base del principio contenuto nell’art. 1 stesso r.d. secondo cui la rappresentanza, il patrocinio e la assistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spetta all’Avvocatura dello Stato-deroga ai principi generali in tema di notificazione degli atti processuali, individuando il luogo per la notificazione di tali atti nell’ufficio dell’avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa e nella persona del ministro competente il destinatario della notificazione.

Tale deroga, anche se di carattere generale, ha pur sempre natura eccezionale e si presenta come una normativa unitaria che, per poter sostituire i principi contenuti nel codice di rito, per la generalità dei casi, deve poter essere applicata a tutto il procedimento e fin dal suo inizio, sicché ogni qualvolta si è in presenza di una norma che, a sua volta, deroghi, in casi particolari, alla stessa e ripristini la disciplina generale -e tale è la regola contenuta nell’art. 23, comma 2, l. n. 689 del 1981, circa l’individuazione del luogo della notificazione degli atti processuali e del destinatario degli stessi, in caso di ordinanza-ingiunzione emessa da organi periferici delle Amministrazioni dello Stato- non vi è alcuna possibilità per ritenere applicabile la disciplina dell’art. 11 r.d. cit. per la parte pretesamente non espressamente derogata, dal momento che proprio la deroga apportata all’eccezione impedisce alla stessa di operare, nella sua interezza.

Pertanto, così come la notifica dell’atto introduttivo del giudizio non effettuata, per espressa disposizione di legge (art. 23, comma 2, l. n. 689/1981), presso l’ufficio distrettuale dell’avvocatura dello Stato, induce l’applicabilità degli art. 170 e 292 c.p.c., qualora l’organo legale non abbia assunto la rappresentanza della p.a., ai fini della notifica della sentenza emessa sull’opposizione (Cass. n. 2174/1988 cit.), allo stesso modo, ai fini del luogo della notificazione del ricorso per cassazione, nelle stesse condizioni, deve farsi capo all’art. 330 c.p.c., il cui ultimo comma stabilisce che, in mancanza di dichiarazione di residenza o di elezione di domicilio, l’impugnazione si notifica alla parte personalmente.

Ciò del resto risponde ad un’evidente esigenza di armonia sistematica, riuscendo altrimenti difficilmente spiegabili le ragioni per le quali, una volta ammessa la notifica della sentenza di primo grado al Prefetto, non costituito in tale fase processuale per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, il ricorso per cassazione debba essere notificato presso gli uffici dell’organo legale.

Né vale in contrario osservare che mentre nel giudizio di primo grado è espressamente prevista la costituzione del Prefetto personalmente o a mezzo funzionari appositamente delegati, analoga facoltà non è prevista per il giudizio di cassazione, sicché non esisterebbe alcuna ragione per derogare alle disposizioni contenute nel capo III del r.d. n. 1611 del 1933 e per non applicare le regole generali sulla citazione in giudizio delle amministrazioni dello Stato. Il rilievo non coglie nel segno. La notifica del ricorso in opposizione alla autorità che ha emesso l’ingiunzione non è in funzione della riconosciuta possibilità della stessa di difendersi personalmente -dal momento che il disposto dell’art. 23, comma 2, l. n. 689/1981 non deroga al principio contenuto nell’art. 1 r.d. n. 1611 del 1933 sulla rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni dello Stato, ma della riconosciuta possibilità di gestire in proprio la controversia, come è dimostrato dal fatto che mentre il successivo comma 4 dello stesso art. 23 attribuisce alla sola autorità esclusivamente legittimata il potere di costituirsi in proprio e di avvalersi di funzionari appositamente delegati, l’art. 3 r.d. n. 1611 del 1933, conferisce analogo potere solo dopo intesa l’avvocatura dello Stato.

Siffatto potere non viene meno per quanto attiene al giudizio di legittimità e, seppure non esclude la necessità della rappresentanza e assistenza in giudizio dell’Avvocatura dello Stato, giustifica la notifica del ricorso per cassazione al Prefetto e presso la sede della prefettura.

Tale soluzione non istituzionalizza contrasti sulla conduzione della controversia fra l’amministrazione periferica e l’avvocatura dello Stato dal momento che gli stessi possono sorgere a prescindere dal luogo di notificazione del ricorso e sono comunque risolti sulla base dell’art. 12 l. 3 aprile 1979 n. 103 (“le divergenze che insorgono tra il competente ufficio dell’avvocatura dello Stato e le amministrazioni interessate, circa la instaurazione di un giudizio e la resistenza nel medesimo, sono risolte dal ministro competente con determinazione non delegabile”).

Né al fine di superare le raggiunte conclusioni può invocarsi la particolare disciplina del giudizio di cassazione, normalmente insensibile alla disciplina del giudizio di merito o l’art. 3 del citato r.d. n. 1611 del 1933, secondo cui “innanzi alle preture ed agli uffici di conciliazione le amministrazioni dello Stato possono, intesa l’avvocatura dello Stato, essere rappresentate dai propri funzionari che siano per tali riconosciuti”, per trarne la conclusione che l’art. 23 l. n. 689 del 1981, in realtà, si limita ad enunciare un principio analogo a quello sopra riportato, facendo da ciò derivare la conseguenza che come la presenza del richiamato art. 3 non ha mai costituito ostacolo al fine di ritenere che il ricorso per cassazione avverso le sentenze emesse dalle preture e dagli uffici di conciliazione debba essere notificato presso la sede dell’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, ai sensi degli art. 11 r.d. n. 1611 del 1933 e 9 l. n. 103 del 1979, allo stesso modo la normativa di cui al richiamato art. 23 non impedirebbe la notifica del ricorso per cassazione presso l’organo deputato, per legge, alla rappresentanza e alla difesa delle amministrazioni dello Stato.

Le tesi prospettate non possono essere seguite. Con riguardo alla prima è sufficiente rilevare che l’art. 330 c.p.c., in tema di luogo di notificazione dell’impugnazione, non deroga alla disciplina del ricorso per cassazione, ma costituisce anzi il modo normale con il quale lo stesso è introdotto, quando non vi siano norme eccezionali che allo stesso deroghino.

Con riferimento, poi, all’art. 3 r.d. n. 1611, vi è da notare che è bensì vero che l’art. 23 l. n. 689 del 1981 contiene una norma analoga a quella contenuta nel richiamato art. 3, ma si tratta di quella enunciata nel comma 4 (“l’opponente e l’autorità che ha emesso l’ordinanza possono stare in giudizio personalmente; l’autorità che ha emesso l’ordinanza può avvalersi anche di funzionari appositamente delegati”), che attiene alla rappresentanza e difesa in giudizio, laddove invece la disposizione che costituisce eccezione al principio contenuto nell’art. 11 r.d. cit. si rinviene, come è stato in precedenza rilevato, nell’art. 23, comma 2 (“il ricorso ed il decreto (…) sono notificati all’autorità che ha emesso l’ordinanza”) che si pone con carattere di novità, non trova riscontro nel t.u. del 1933 e rende inapplicabile l’art. 11 r.d. cit.

per le ragioni sopra esposte.

4.Concludendo, si deve quindi ritenere che poiché l’art. 23, comma 2, l. 24 novembre 1981 n. 689, nello stabilire che il ricorso in opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione deve essere notificato all’autorità che l’ha emessa, assegna a tale autorità, per l’intero arco del procedimento, la legittimazione processuale e, quindi, la qualità di destinatario degli atti del processo stesso, in deroga al disposto dell’art. 11 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, il ricorso per cassazione, avverso sentenza pronunciata dal pretore contro ordinaza-ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria amministrativa, che sia stata resa dal prefetto, va notificato -ove quest’ultimo non si sia costituito in giudizio per il tramite dell’Avvocatura dello Stato- al Prefetto stesso, presso il suo Ufficio, ai sensi dell’art. 330, ultimo comma, c.p.c. e non presso l’Avvocatura generale dello Stato.

5. Pertanto, poiché nella specie il ricorso per cassazione è stato notificato al Prefetto di Taranto presso il suo ufficio, in una fattispecie in cui lo stesso Prefetto non si era avvalso del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato ne l giudizio di primo grado, il ricorso è ammissibile, non trovando applicazione il terzo comma dell’art. 11 r.d. cit., attesa l’inapplicabilità dei precedenti commi dello stesso articolo.

6. Passando all’esame del merito si osserva che con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della l. n. 689 del 1981, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per avere il pretore ritenuto sempre necessaria la confisca del veicolo una volta accertata la violazione dell’art. 58, comma 8, cod. strad., senza tener presente l’intervenuta sanatoria dell’illecito amministrativo ed il pagamento della sanzione amministrativa ed in considerazione del fatto che l’art. 20, ultimo comma, l. n. 689 del 1981 rende meramente facoltativa la confisca allorché si tratti di cose il cui uso o la cui utilizzazione può essere consentita mediante autorizzazione amministrativa.

Secondo il ricorrente, al momento dell’emissione dell’ordinanza di confisca era del tutto lo stato di pericolo perché si era concluso l’iter amministrativo relativo all’immatricolazione dell’autovettura e, pertanto, non poteva più essere emessa l’ordinanza di confisca, che, se emessa, doveva essere revocata, essendo il veicolo bene non a pericolosità assoluta, ma relativa, “perché il suo uso non è vietato ma solo subordinato al possesso della carta di circolazione”.

Il motivo di ricorso è infondato.

L’art. 21, comma 3, l. n. 689 del 1981 prevede la confisca obbligatoria del veicolo “quando è accertata la violazione dell’ottavo comma dell’art. 58” del codice della strada. Questa norma (corrispondente al nono comma del testo vigente dell’art. 58, come risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 8 l. 10 febbraio 1982 n. 38) prevede il fatto di chi “circola con un veicolo per il quale non è stata rilasciata la carta di circolazione”.

Tale disposizione è stata costantemente interpretata da questa Corte nel senso della obbligatorietà della confisca del mezzo sorpreso a circolare senza che sia stata rilasciata la relativa carta di circolazione, indipendentemente dal fatto che questo abbia i requisiti per conseguire l’immatricolazione ed il rilascio della carta di circolazione ed anche quando non venga emessa ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria per la violazione medesima, avendo il suo autore provveduto al pagamento nella misura ridotta di cui agli art. 16 e 17 l. n. 689 del 1981 (Cass. 18 febbraio 1985 n. 1362; Cass. 9 dicembre 1985 n. 6221: Cass. 27 gennaio 1986 n. 521; Cass. 13 marzo 1698; Cass 20 marzo 1987 n. 2771 e successive conformi), osservandosi che il carattere speciale della confisca ivi prevista e l’inequivocità del dato normativo impediscono che si possa far capo a fini esegetici all’art. 20, ultimo comma, per cui la confisca è facoltativa nelle ipotesi in cui la cosa non appartiene al soggetto nei cui confronti è stata accertata la violazione e “la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa”, dal momento che la distinzione medesima risulta estranea alla fattispecie prevista dall’art. 21, comma 3, in modo autonomo come ipotesi, nella quale, una volta accertata la violazione “é sempre” disposta la confisca (cfr. Cass. 9 dicembre 1985 n. 6221).

Il richiamato indirizzo giurisprudenziale, per il cui superamento il ricorrente non ha addotto argomenti nuovi e diversi da quelli già esaminati e disattesi dalle citate pronunce, queste Sezioni Unite ritengono di dover confermare, senza che si possa procedere -in questa sede- all’accertamento se l’infrazione contestata rientrasse in quella prevista dall’art. 64 cod. strad., che ipotizza una circolazione del veicolo nuovo per il quale siano in corso “le operazioni di approvazione ed immatricolazione” e quindi una circolazione senza carta di circolazione, purché per il veicolo nuovo sia rilasciato il “foglio di via”, trattandosi di deduzione non formulata in sede di merito o con il motivo di ricorso per cassazione, ma prospettata solo con la memoria ex art. 378 c.p.c..

7. Con il secondo motivo di ricorso si deduce “contrasto costituzionale dell’art. 21, comma 3, in riferimento all’art. 21, comma 1, all’art. 3 cost. e del successivo art. 27, nella parte in cui non consente e non prevede la sanatoria a posteriori della trasgressione amministrativa per i veicoli di nuova costruzione”.

Secondo il ricorrente la confisca di un bene di notevole valore acquistato dopo lunghi sacrifici, appare, soprattutto allorquando se ne è regolarizzata la sua posizione, sproporzionata e non retributiva non solo per se stessa, ma anche in relazione a quanto precedentemente disponeva l’art. 58, comma 9, cod. strad. che puniva la trasgressione con l’arresto fino ad un mese oppure con una modestissima ammenda.

A ciò bisogna poi aggiungere che vi è un’ingiusta disparità di trattamento fra chi circola senza copertura assicurativa e chi circola senza carta di circolazione, consentendosi la sanatoria a posteriori nel primo caso (art. 21, comma 1, n. 689/1981) e non anche nel secondo (art. 21, comma 3, l. cit.).

La questione prospettata è manifestamente infondata vertendosi in tema di sanzione patrimoniale, che implica un sacrificio del diritto di proprietà giustificato dall’infrazione (circolazione senza carta di circolazione) e la cui proporzionalità, rispetto all’entità della infrazione medesima, rientra nell’ambito delle valutazioni spettanti al legislatore medesimo (Cass. 20 novembre 1985 n. 5710; Cass. 28 giugno 1986 n. 4333). A ciò bisogna poi aggiungere che la questione è stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale, con una molteplicità di pronunce, in quanto “la soluzione perseguita si presenta prospettata in termini tali da richiedere prospettata in termini tali da richiedere l’apprestamento di una nuova disciplina della confisca del veicolo che, per risultare concretamente operante, non potrebbe prescindere dall’esercizio di una pluralità di scelte discrezionali, come tali demandate al solo legislatore (cfr. C. cost., sent. n. 14/1986, ordin. 148/1986; 290/1986; 142/1987).

Le precedenti osservazioni sono sufficienti per la reiezione della censura.

8. Conclusivamente il ricorso va integralmente rigettato. Non vi è luogo a condanna alle spese per non avere l’intimata svolta attività difensiva in questa sede;

P.Q.M.

La Corte di cassazione, a sezioni unite, rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle sezioni unite civili della Corte di cassazione il 30 giugno 1988.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 18 NOVEMBRE 1988