Svolgimento del processo

L’art. 5, par. 3, del contratto collettivo Nazione di Lavoro 29 aprile 1976 per il settore manufatti in cemento definisce “lavoro supplementare” da retribuirsi, come prevede poi l’art. 49 della regolamentazione per la categoria operaia, con la maggiorazione del 25% il lavoro svolto oltre le 40 ore e sino alle 48 ore settimanali.

Precisa lo stesso art. 5, par. 10, che, ai soli effetti della determinazione del lavoro supplementare e straordinario, devono essere computate ai fini del raggiungimento dell’orario contrattuale (40 ore settimanali) le ore non lavorative per ricorrenze festive nazionali e infrasettimanali, assenze dovute a malattie, infortuni, gravidanza e puerperio, congedo matrimoniale, ferie e permessi retribuiti.

Fiorillo Pasquale, operaio meccanico alle dipendenze della S.p.A. S.C.A.C. (Società Cementi Armati Centrifugati), avendo effettuato a sabati alternati un turno di otto ore di lavoro supplementare per la pulizia e la manutenzione ordinaria degli impianti e ciò a partire dal gennaio 1973, con ricorso in data 2 febbraio, diretto al Pretore di Torre Annunziata in funzione di giudice del lavoro, chiese che, in contrario alla pratica aziendale, gli fosse riconosciuto il diritto alla maggiorazione del compenso del “lavoro supplementare”, anche quando nei primi cinque giorni della settimana lavorativa (concentrata) non avesse potuto raggiungere l’orario contrattuale di 40 ore per essersi astenuto dal lavoro a causa di sciopero; e gli fosse riconosciuto, inoltre, il diritto a vedersi computato il compenso del “lavoro supplementare” nella retribuzione da porsi a calcolo della tredicesima mensilità.

Il lavoratore reclamava le differenze retributive pregresse. Costituitasi nel giudizio, la Società convenuta contestò la fondatezza delle pretese azionate.

L’adito Pretore ritenne la domanda fondata integralmente e la accolse con sentenza del 15 giugno 1979, la quale venne confermata in grado di appello dal Tribunale di Napoli con sentenza del 14 aprile 1981.

Osservò il Tribunale che il diritto di sciopero, costituzionalmente garantito, ove sia legittimamente esercitato, dà luogo ad assenze consentite, a nulla rileva che simili assenze non siano espressamente considerate dall’art. 5 del menzionato contratto collettivo ai fini della determinazione del lavoro supplementare, al pari delle assenze retribuite, perché è pur sempre sottinteso che i datori di lavoro non sono autorizzati ad imporre ai dipendenti, oltre al danno della mancata retribuzione per le ore non lavorate in occasione degli scioperi, quello ulteriore della perdita della maggiorazione del 25% prevista per le ore di lavoro supplementare.

Circa l’altra richiesta del Fiorillo poiché la contrattazione collettiva prevede che la tredicesima mensilità deve corrispondere alla “retribuzione globale di fatto”, e cioé comprensiva di ogni elemento predeterminato, fisso e continuativo, il Tribunale considerò tale il compenso supplementare, disattendendo anche sul punto la doglianza della società appellante.

Avverso questa decisione la Soc. S.C.I.A.C. ha proposto ricorso per cassazione deducendo quattro motivi di annullamento.

Ha resistito il Fiorillo con rituale controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

La ricorrente si duole, innanzitutto, della impugnata sentenza per la parte che attribuisce al lavoratore il diritto a percepire le maggiorazioni per lavoro supplementare relativamente alle ore di lavoro prestate il sabato nell’ambito dell’orario contrattuale di 40 ore settimanali, orario così contenuto nel recupero delle ore non lavorate nei precedenti cinque giorni della stessa settimana in dipendenza di sciopero.

Al riguardo, con i due primi motivi del ricorso – che per la connessione esistente tra le questioni prospettate vanno esaminati congiuntamente – si deduce che il Tribunale: in violazione delle regole ermeneutiche sancite dagli artt. 1362 e segg. c.p.c., non abbia considerato che i casi previsti dall’art. 5, par. 10, del C.C.N.L. 29 aprile 1976, anche al di là della lettera della norma e della tassatività dell’elencazione, rendevano palese l’intenzione delle associazioni sindacati contenenti di deroghe al principio della effettività dell’orario di lavoro soltanto per le assenze dovute a cause indipendenti dalla volontà del lavoratore, per le assenze retribuite o, ancora, per quelle giustificate da permessi del datore di lavoro, mentre le assenze per sciopero non rientrano in alcuna di queste categorie e di esse non era fatta menzione (primo motivo); poi non abbia considerato, incorrendo in vizi di motivazione su punti decisivi di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che il c.d. lavoro supplementare, a differenza del lavoro notturno e di quello festivo, non ha alcuna caratteristica peculiare che lo identifichi indipendentemente dal numero di ore lavorative prestate in precedenza, e nello stesso tempo abbia ipotizzato, nel caso che vi fosse stato il recupero delle ore non lavorate per sciopero, non inesistente aggravio economico in danno del lavoratore e per di più un deterrente contro lo sciopero, posto in dato dal datore di lavoro nell’imporre al lavoratore scioperante un danno ulteriore rispetto a quello della pura perdita della retribuzione delle ore di sciopero.

Le censure, per ciò che si dirà appresso, sono fondate. Che vi sia una correlazione stretta tra le ore di lavoro effettivamente prestate nel corso della settimana ed il diritto alla maggiorazione (oggetto della controversia) è fuori discussione, essendo, per inequivocabile definizione del particolare istituto contrattuale, lavoro supplementare, che dà diritto alla maggiorazione della paga ordinaria, quello prestato oltre un certo numero di ore di lavoro settimanale (40) qualificate normali (art. 5 C.C.N.L. del 1976). Essendosi il lavoratore assentato per alcune ore in determinati giorni (dal lunedì al venerdì) e, però, avendo lavorato in più in altri giorni, o meglio avendo lavoratore alcune ore il sabato, giorno non festivo ma di riposo, nella specie si trattava di dover stabilire se quest’ultime ore aggiuntive dovessero essere considerate (e retribuite) come normali oppure come supplementari.

La norma contrattuale (il par. 10 dello art. 5 C.C.N.L. 1976) elenca i casi di assenza (ore non lavorate) che, in ragione della causa che le abbia provocate, si considerano, sempre ai fini della determinazione del lavoro supplementare, come se non fosse state fatte, disponendo appunto che “tali ore non lavorate saranno computate ai fini dell’orario contrattuale”: assenze per ricorrenze festive, per malattia, infortunio, gravidanza, puerperio, congedo matrimoniale, ferie e permessi retribuiti.

Poiché il Fiorillo si era astenuto dal lavoro per causa indubbiamente legittima, quale la partecipazione ad azioni sindacali di sciopero, ma non annoverata nella disciplina contrattuale del particolare istituto del “lavoro supplementare” tra le cause per le quali le ore di assenza dovessero essere parimenti calcolate nel computo del c.d. normale orario di lavoro, i giudice di merito, a conforto del giudizio da essi espresso in aderenza alla pretesa sul lavoratore, avrebbero dovuto darsi carico di esporre il risultato dalle indagini compiute che fosse concludente in quel senso, attraverso una corretta ed esauriente interpretazione della norma dal contratto collettivo, quindi nella osservanza dei criteri ermeneutici dettati dalla legge (artt. 1362 e segg. cod. civ.). E sotto questo aspetto, essenziale, la decisione dei giudici di appello mostra vistose carenze.

Invero, il fatto posto in rilievo, che l’elencazione contenuta nell’art. 5 del contratto comprenda soltanto, quali eccezioni alla regola generale del non computo delle ore non lavorate ai fini della determinazione del lavoro supplementare, sembra confermare e non escludere la tassatività dei casi elencati, né di per sé può rendere “ovvia” – come invece ritiene implicabilmente l’impugnata sentenza – la previsione del caso di assenza per sciopero di cui si avverte la mancanza e che, per la diversità delle caratteristiche, non appaiono agevolmente assimilabili o riconducibili agli altri casi di assenza che le parti contraenti hanno avuto cura di ben specificare.

Per il resto il Tribunale di Napoli, pur ricordando, con indubbia esattezza, che il diritto di sciopero è costituzionalmente garantito, che l’assenza per sciopero è dunque consentita e che il datore di lavoro non può imporre al lavoratore che partecipa allo sciopero sacrifici maggiori di quelli della perdita della retribuzione e ciò tanto meno a scopo dissuasivo dell’esercizio del diritto ad astenersi dal lavoro in occasione dell’azione sindacale, certamente così non ha affrontato e risolto il problema in concreto, non avendo affatto dimostrato che se legittimo e giusto è il danno derivante al lavoratore a causa dello sciopero per le ore non lavorate, illegittimo ed ingiusto sarebbe, al contrario, il danno ad esso derivato dalla perdita della maggiorazione per le ore di lavoro supplementare, che le stesse in effetti non siano tali, tenuto conto che la maggiore retribuzione è convenzionalmente correlata a quantità di prestazione lavorativa eccedente il normale orario di lavoro.

Nei termini ora prospettati, in buona sostanza il problema da risolvere dipende dalla natura retributiva o meno della indennità incrementativa della paga ordinaria per cui è controversia, in quanto se è incontrovertibile che nel periodo di sospensione dell’attività lavorativa il datore di lavoro non è tenuto a corrispondere la retribuzione (art. 1463 cod. civ.), la legittimità della detrazione (rectius, della non corresponsione) della misura aggiuntiva della paga in corrispondenza al periodo di sospensione di lavoro per sciopero (che abbia fatto venire meno il carattere suppletivo delle ore lavorate nel giorno di sabato (non festivo, ripetesi, ma solo destinato di regola al riposo in base al contratto che prevede l’orario settimanale concentrato nei primi cinque giorni) deriva, appunto, dalla natura giuridica dell’indennità in questione.

E, per il vero, sulla natura retributiva della quota del 25% integrativa della stessa retribuzione in considerazione del lavoro prestato oltre le 40 ore settimanali (in giorno di sabato o in altri giorni indifferentemente) non dovrebbero insorgere seri dubbi, giacché tale quota aggiuntiva, trovando il suo presupposto in un’effettiva prestazione lavorativa, si configura essa stessa come corrispettivo.

Perciò l’errore del Tribunale è di avere assimilato, assiomaticamente, allo sciopero altri periodi di sospensione del lavoro espressamente previsti dal contratto collettivo (quali la malattia, e infortunio, la gravidanza e permessi retribuiti ecc.), senza aver tenuto conto dei principi fondamentali che giustificano l’obbligo della retribuzione gravante sul datore di lavoro, negli indicati periodi di sospensione, quale rischio volontariamente assunto dal datore di lavoro allorché stipula il contratto.

Trattasi, infatti, di eventi, o sottratti alla volontà del lavoratore o posti dalla legge a carico del datore di lavoro per la tutela della vita o della salute del lavoratore, beni costituzionalmente protetti e garantiti (in argomento cfr. Cass. 15 dicembre 1979 n. 6550 e 21 gennaio 1981 n. 502).

Non vi sarebbe di certo nulla di contrario se anche per lo sciopero formulato appositamente previsto, legislativamente o contrattualmente, l’obbligo, a carico del datore di lavoro, del pagamento della retribuzione, comprensiva di qualunque indennità integrativa, ma, in mancanza di apposita previsione, tutto ciò non è affatto “ovvio”, e si impone la riconduzione della fattispecie ai principi fondamentali che reggono la sinallagmaticità del rapporto.

In mancanza di una specifica previsione in definitiva, trovano applicazione quei principi che collegano la retribuzione alla prestazione del lavoro, nulla rilevando che lo sciopero sia un diritto garantito al lavoratore dalla Costituzione, mentre assume rilevanza il fatto che la partecipazione allo sciopero è posto alla libera scelta del lavoratore, sicché a suo carico sono le conseguenze economiche che ne derivano, non sussistendo peraltro beni essenziali della vita da tutelare.

Né varrebbe il richiamo all’art. 36 della Costituzione, perché esso fonda il diritto del lavoratore alla retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e l’obbligo della retribuzione per determinati periodi di sospensione della prestazione per la integrità fisica del lavoratore medesimo, dalla quale materia esula chiaramente il caso in esame.

Il terzo ed il quarto motivo di gravame intendono contestare la computabilità del compenso del lavoro supplementare ai fini della determinazione della tredicesima mensilità. Con essi, da esaminarsi pure congiuntamente stante l’unicità della questione prospettata, si denuncia rispettivamente falsa applicazione dell’art. 2121 cod. civ.

e contraddittoria motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), in quanto il Tribunale avrebbe erroneamente applicato all’istituto della gratifica natalizia, di origine contrattuale, la disciplina legislativa propria delle indennità di preavviso e di anzianità, e violazione degli art. 1962 segg. cod. civ. oltre a difetto di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), in quanto il Tribunale, nel far leva sulle locuzioni dei contratti collettivi 17 gennaio 1973 e 29 aprile 1976 che vogliono la tredicesima mensilità ragguagliata alla intera (o globale) retribuzione mensile di fatto, abbia ritenuto, ancora erroneamente, che il riferimento alla interezza (o alla globalità) della retribuzione mensile valga a ricomprendervi anche i compensi per lavoro supplementare che consistono in ulteriore, eventuali o variabili, quote in aggiunta alla parte normale e fissa della retribuzione, corrisposta per le ore lavorative oltre l’orario normale.

Queste censure non sono fondate.

Il principio dell’onnicomprensività della retribuzione, che non ha valore di regola generale nell’ordinamento, risulta adottato, è vero, solo in determinati casi – così, come ricorda la ricorrente – per la determinazione della indennità di preavviso e di anzianità, ex art. 2121 cod. civ., ora mod. dall’art. 12 D.L. 1 febbraio 1977 n. 12, e non può essere invocato in riferimento ad istituti contrattuali, come la tredicesima mensilità, ma è anche vero che in questo caso l’autonomia collettiva – e nello ambito in quanto l’autonomia individuale – non incontrano alcuna limitazione, nel senso che le parti possono liberamente determinare (salvo, ovviamente, i limiti imposti dall’ordinamento) quali elementi concorrono a formare un emolumento, per cui tutte le questioni relative alla composizione dello stesso devono essere poi risolte con le regole dell’ermeneutica contrattuale.

Questa Suprema Corte, nel ribadire di recente anche a Sezioni Unite gli accennati principi, per quanto riguarda la gratifica natalizia nel settore della industria, ha precisato ancora una volta che tale emolumento debba considerarsi, in detto settore appunto, voce retributiva di fonte legale – ex art. 17 dell’acc. interconf. 27 ottobre 1946, reso efficace erga omnes con D.P.R. 28 luglio 1960 n. 1070 – ed è costituito sulla base della “retribuzione globale di fatto” (v. Sent. 14 dicembre 1981 n. 6892 Sez. lav., sent. 13 febbraio 1984 n. 1081 Sez. Unite). Orbene, la sentenza impugnata applica puntualmente la normativa legale fissata dal summenzionato accordo interconfederale ed, avendo cura di indagare sulla volontà delle parti collettive dei contratti successivi del 1973 e del 1976, perviene alla conclusione – con apprezzamento di fatto immune da vizi ed incensurabile in questa sede di legittimità – che le stesse parti non avevano inteso apportare alcuna innovazione, tanto che nel recepirla avevano usato l’identica espressione “retribuzione globale di fatto” usata nell’accordo efficace erga omnes.

Posto, dunque, che la tredicesima mensilità doveva corrispondere alla “retribuzione globale di fatto”, e cioé essere comprensiva di ogni elemento predeterminato, fisso e continuativo, il Tribunale ha considerato tale il compenso per il lavoro supplementare, disattendendo anche sul punto la doglianza della Società, la quale tra l’altro aveva dovuto essa stessa ammettere che il lavoro del sabato non era programmato di volta in volta, bensì era preordinato sistematicamente e veniva effettuato costantemente, ormai da anni, a sabati alterni – così era stato per il Fiorillo, né avrebbe avuto influenza sul carattere continuativo del prestato lavoro supplementare (compensato con maggiorazione a quota fissa), la circostanza che il medesimo prestatore non fosse presente al lavoro in tutti i turni per malattia o per altre ragioni.

Anche questo giudizio congiuntamente motivato, si risolve in un apprezzamento di fatto non sindacabile in Cassazione.

Pertanto il ricorso della Soc. S.C.A.C. va accolto nel primo e nel secondo motivo, ma va respinto il terzo e quarto motivo.

In relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che si uniformerà ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il 1° ed il 2° motivo del ricorso, di cui rigetta il 3° e il 4° motivo, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai due motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Avellino, il quale provvederà anche a regolare le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Camera di Consiglio il 30 gennaio 1985. DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 2 GENNAIO 1986