Svolgimento del processo

Con lettera raccomandata del 27 aprile 1979 il Compartimento ENEL di Palermo contestava al dipendente Gerlando Pellerino, capo sezione gruppo impianti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 32 del vigente contratto coll. di categoria, che nella gestione dei lavori in appalto connessi alle attività rientranti nelle mansioni affidategli si era reso responsabile di inosservanza delle norme procedurali esistenti in materia, causando disordine amministrativo e pregiudizio per gli interessi dell’ente.

In particolare gli veniva contestato che per un gruppo di dieci lavori dati in appalto non erano stati specificati né la consistenza delle opere né i tempi di esecuzione né i corrispettivi a corpo o a misura, impedendo così il vaglio dei consuntivi presentati dalle ditte appaltatrici, sulla base dei quali e solo in tempi successivi, si era provveduto a formalizzare il rapporto contrattuale; che per altri quattro lavori il Pellerino aveva chiesto offerte ad altre ditte appaltatrici dopo che i lavori stessi erano stati direttamente conferiti alla ditta Lino Antonino ed eseguiti in tutto o in parte, simulando lo svolgimento della gare e della relativa aggiudicazione.

Il Pellerino veniva sentito a discolpa e con lettera raccomandata del 2 giugno successivo gli veniva inflitta la sanzione disciplinare del trasferimento per punizione di cui alla lett. e) dell’art. 32 citato contr. coll.

Con raccomandata del 18 giugno 1979 il Pellerino chiedeva la costituzione del collegio arbitrale previsto dalla medesima disposizione contrattuale. Tale Collegio, costituitosi il 22.1.1980, con decisione in data 19.5.1980, confermava, dichiarandolo esecutivo il provvedimento disciplinare inflitto al Pellerino ritenendolo legittimo e proporzionato alla gravità delle mancanze commesse dallo stesso, e disponeva il deposito del lodo e degli atti della procedura arbitrale presso l’U.P.L.M.O. di Palermo.

Nel presupposto della natura rituale della decisione arbitrale il pellerino la impugnava ai sensi dell’art. 828 c.p.c. davanti al Tribunale di Palermo con ricorso depositato il 10 giugno 1980, deducendone la nullità, unitamente al procedimento disciplinare, per violazione del principio del contraddittorio, per omessa stipulazione e pubblicazione del codice disciplinare, per adozione di sanzione che comporta un mutamento definitivo del rapporto: nel merito, chiedeva dichiararsi l’infondatezza degli addebiti e la mancanza di proporzione fra questi e la sanzione irrogatagli.

L’ENEL resisteva ed il Tribunale con sentenza 17 luglio 1980 dichiarava inammissibile e l’impugnazione per mancato deposito del lodo arbitrale e per mancata dichiarazione di esecutorietà da parte del pretore, peraltro in coerenza alla natura irrituale dell’arbitrato previsto dall’art. 32 del C.C.N.L. dei dipendenti elettrici dell’E.N.E.L.

Con ricorso depositato in data 11 novembre 1980 il Pellerino conveniva l’E.N.E.L. davanti al Pretore di Palermo in funzione di giudice del lavoro e premesso che intendeva prestare acquiescenza alla suddetta decisione del tribunale, dichiarava di impugnare il lodo arbitrale ai sensi degli art. 5 e 6 legge 11.8.1973 n. 533 per tutte le ragioni già dedotte nel precedente giudizio, che venivano espressamente riproposte a sostegno delle domande con le quali chiedeva dichiararsi non valido il lodo arbitrale e quindi nullo il procedimento disciplinare svolto a suo carico per la mancata stipulazione e pubblicazione del disciplinare di cui all’art. 7 L. n. 300-1970, per violazione del principio del contraddittorio, o nullo il provvedimento in quanto importa un mutamento definitivo del rapporto; in subordine, nel merito, dichiararsi infondate le contestazioni rivoltegli e comunque ingiusta e sproporzionata la sanzione inflittagli.

L’E.N.E.L. resisteva alle domande, chiedendone il rigetto. Con sentenza del 27 febbraio 1981 l’adito Pretore, sulla considerazione che il trasferimento per punizione previsto dal contratto collettivo dei dipendenti elettrici dell’E.N.E.L. costituisce una sanzione non consentita dall’art. 7 quarto comma Statuto Lavoratori in quanto comporta un mutamento definitivo del rapporto, dichiarava la nullità del lodo arbitrale per violazione della suddetta norma imperativa e compensava per intero le spese fra le parti, ravvisando giusti motivi nel fatto che l’ENEL si era attenuto ad una clausola per sé vincolante fino all’accertamento giudiziale.

Contro tale sentenza, depositata il 16 giugno e notificata il 26 giugno 1981, l’ENEL proponeva appello in via principale con ricorso depositato il 24 luglio successivo deducendo due motivi di riforma; il Pellerino appellava incidentalmente il capo relativo alla compensazione delle spese con memoria notificata il 13.1.1982, resistendo alla impugnazione principale.

Il Tribunale di Palermo con sentenza in data 28.1.82, in accoglimento della impugnazione, rigettava le domande proposte dal Pellerino avanti al primo giudice e compensava interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio. Riteneva in particolare il Tribunale: che, ai sensi dell’art. 13 statuto dei lavoratori, si ha trasferimento solo quando “vi sia stato spostamento geograficamente rilevante dal luogo di lavoro” e che nella specie il trasferimento è stato da un ufficio all’altro dell’ENEL di Palermo “senza alcun apprezzabile mutamento del luogo di prestazione del lavoro, rimasto identico a quello di prima”; che si ha diritto all’inquadramento in AS, riconosciuto al Pellerino, non solo quando si svolgano mansioni direttive, ma anche quando si espletino mansioni di particolare importanza; che la perdita delle mansioni direttive come capo sezione non preclude l’inquadramento del Pellerino in AS, in conformità dell’attribuzione, nel nuovo ufficio, di mansioni che, pur non essendo direttive, sono di particolare importanza; che pur non avendo l’ENEL provveduto all’affissione delle sanzioni disciplinari, tutti i lavoratori, compreso il Pellerino, ne erano a conoscenza, avendo ricevuto una copia del contratto collettivo; che esula dai compiti del collegio arbitrale l’esame della legittimità del provvedimento disciplinare; che nel corso del procedimento disciplinare non vi era stata alcuna violazione di principi che regolano il contraddittorio.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il Pellerino con 5 motivi.

Resiste l’ENEL con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo – deducendo la violazione degli artt. 41 2° comma costituzione, 7 e 13 l. n. 300-70 (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) – assume il ricorrente: che l’art. 32 lett. e del CCNL dell’ENEL – il quale annovera, tra la tipologia delle sanzioni disciplinari, anche il trasferimento del lavoratore – è in contrasto con l’art. 7 della l. n. 300-70 ed è, quindi, nullo; che il trasferimento disciplinare è un atto nullo per contrasto con l’art. 13 dello Statuto dei Lavoratori. Con il secondo motivo – denunziando il vizio di omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia – assume il ricorrente che il Tribunale ha contraddittoriamente affermato, da un lato che, un semplice spostamento da reparto a reparto, quando la sede non cambi, non è trasferimento ai sensi dell’art. 13 St. Lav. e, dall’altro, che il fatto costituisce un “trasferimento disciplinare”.

Con il terzo motivo – deducendo la violazione degli artt. 1362 e segg. c.c. in relaz. all’art. 16 del CCNL dell’ENEL del 1976 ed all’art. 7 l. n. 300-70 – assume il ricorrente che il Tribunale ha erroneamente affermato che il Pellerino non avrebbe subito retrocessione nel grado,non esistendo alcuna garanzia, per contratto, al mantenimento delle funzioni di capo sezione.

Col quarto motivo – denunziando la violazione dell’art. 7 l. 300-70 (artt. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) – assume che erroneamente il tribunale ha ritenuto legittima la sanzione disciplinare irrogata al Pellerino, pur non avendo l’ENEL provveduto alla pubblicazione del cosiddetto codice disciplinare prescritta dall’art. 7 della l. 20.5.1970 n. 300 mediante affissione in luogo accessibile a tutti.

Con il quinto motivo – deducendo il vizio di motivazione e la violazione del principio del contraddittorio (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) – assume infine il ricorrente, che nella contestazione degli addebiti erano stati indicati dieci casi di violazione in materia di affidamento di fascicoli e che nel corso della riunione per la discolpa gli furono mostrati solo due dei relativi dieci fascicoli.

Le censure sono infondate.

Per quanto riguarda i primi due motivi del ricorso – che, per la loro connessione vanno congiuntamente esaminati – devesi precisare che, ai sensi dell’art. 7 della l. n. 300-1970 (Statuto dei lavoratori) “non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro”.

Tale disposizione va correlata con quella dell’art. 13 dello stesso Statuto (il quale sostituisce l’art. 2103 c.c.), secondo cui il lavoratore “non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra, se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.

Orbene, questa Corte ha ripetutamente affermato (v., per tutte, Cass. 18.5.1984 n. 3076) che, poiché il disposto della ultima parte dell’art. 2103 c.c. mira ad evitare al lavoratore il disagio derivante dal mutamento del luogo di lavoro, con l’allontanamento del centro dell’attività lavorativa da quello della sua vita familiare, la sussistenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive non è richiesta per spostamenti da una unità produttiva ad un’altra che non comportino alcun mutamento topografico del luogo del lavoro.

Uniformandosi a tale orientamento da cui non v’é motivo di discostarsi, la Corte rileva ora che il Giudice di appello si è puntualmente dato carico di considerare che nel caso in esame il Pellerino, essendo stato semplicemente spostato da un ufficio all’altro dell’ENEL di Palermo, non poteva lamentare “alcun apprezzabile mutamento del luogo di prestazione del lavoro, rimasto identico a quello di prima”.

Tale accertamento di fatto non è certamente censurabile in questa sede, non riscontrandosi alcun vizio logico alla base di esso.

Vi è da aggiungere – per confutare il secondo motivo del ricorso

– che lo spostamento di un lavoratore da un reparto ad un altro, ben può costituire una sanzione disciplinare, pur non rappresentando un “trasferimento” rilevante ai fini degli artt. 7 e 13 dello Statuto dei Lavoratori.

Il terzo motivo del ricorso riguarda il concetto di equivalenza ed omogeneità delle nuove mansioni.

Questa Suprema Corte ha già avuto occasione di precisare (v., per tutte, sent. cit. n. 3076-84) che il requisito dell’equivalenza (che, a norma dell’art. 13 st. lav. legittima il mutamento di mansioni, implica: 1) che le mansioni siano ugualmente classificate dal contratto collettivo applicabile; 2) che siano omogenee, nel senso che il lavoratore possa svolgere le nuove con le stesse capacità ed attitudini professionali in precedenza esplicate. Equivalenza non significa, ovviamente, identità, cosicché al dipendente ben può essere richiesto di utilizzare l’esperienza pregressa in funzione diversa.

Nel caso in esame il giudice di appello – con un apprezzamento di fatto congruamente motivato ed immune da vizi logico-giuridici – ha appunto ritenuto che al Pellerino vennero assegnate mansioni di particolare importanza, rientranti nella categoria AS prevista dal CCNL, del tutto equivalenti a quelle di capo sezione in precedenza svolte e tale accertamento è incensurabile in questa sede.

Riguardo al quarto motivo del ricorso, va richiamato il principio, più volte affermato da questa Suprema Corte, (v. Cass. 20.10.1978 n. 4754; 13.2.1985 n. 1249) secondo cui l’art. 7 dello statuto di lavoratori, subordinando l’applicabilità delle sanzioni disciplinari all’affissione delle relative norme in luogo accessibile a tutti i lavoratori dell’impresa, costituisce un sistema di pubblicità legale, il cui effetto può essere sanato dalla conoscenza effettiva.

Infatti, all’interno di un’istituzione privatistica quale l’impresa, ossia nell’ambito di un regime di autonomia contrattuale, l’affissione costituisce un onere, sia per il datore di lavoro, il quale, se non vi sottostà, deve provare di avere portato ad effettiva conoscenza del lavoratore il codice disciplinare dell’impresa, sia per il lavoratore, il quale, se l’affissione sia avvenuta, può sottrarsi alla sanzione provando la sua ignoranza incolpevole della norma.

Una volta escluso che l’affissione delle norme sanzionatorie costituisca un requisito “formale” indispensabile, che condiziona e legittima l’intera procedura disciplinare, rimane pur sempre l’esigenza di accertare con rigore l’osservanza della normativa garantita, che presuppone comunque la conoscenza, da parte del lavoratore delle conseguenze (sanzioni) di determinati comportamenti, previsti contrattualmente come “infrazioni”.

Si tratta, ovviamente, di indagini di fatto, demandate al giudice di merito. Siffatto accertamento, nel caso di specie, c’é stato, e, sul punto, la motivazione della sentenza del Tribunale risulta adeguata, senza incoerenze logiche od errori e senza lacune.

I giudici di appello, infatti, hanno ritenuto che l’ENEL con la consegna di copia del contratto collettivo a ciascun dipendente – come da prassi aziendale affermata e non contestata – aveva realizzato “un sistema di conoscenza fattuale almeno altrettanto efficace dell’affissione” in luogo accessibile a tutti voluta dall’art. 7 Stat. Lav., essendo incomparabilmente più agevole la conoscibilità che si attua con la materiale detenzione di un esemplare del contratto, la cui stipulazione o rinnovo è notoriamente preceduta e seguita da capillare consultazione ed informazione della base ad opera delle associazioni sindacali aziendali.

Riguardo al quinto motivo del ricorso è sufficiente rilevare che nella specie non v’é stata alcuna violazione del principio del contraddittorio, non potendosi certamente ritenere tale il fatto (mancata esibizione di alcuni fascicoli relativi agli appalti in contestazione) riferito nel motivo e nemmeno sussiste il difetto di motivazione sul punto in questione, che è stato ampiamente trattato e confutato dal giudice di appello.

Per le suddette considerazioni, il ricorso deve essere rigettato. Si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Roma, 18.6.85.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 28 MARZO 1986