Svolgimento del processo

Il giudizio fu promosso davanti al Tribunale di Roma da B. A. contro M.A., P. e R..

L’attrice dedusse che, con atto pubblico 2/12/1966 e successivo atto integrativo, i M. avevano acquistato dal di lei dante causa, B.A., un’area edificabile in (OMISSIS), convenendo che del fabbricato erigendo a loro spese sarebbe spettata all’alienante la proprietà dell’intero secondo piano e di due vani al piano cantinato.

Sennonchè i M. avevano eseguito le opere in ritardo e in difformità di quanto pattuito, avevano alterato l’aspetto del fabbricato e la sua destinazione e si erano anche attribuita la proprietà esclusiva del lastrico solare e del terreno circostante l’edificio.

I convenuti senza contestare la comunione del lastrico solare, impugnarono altri assunti della controparte e svolsero due riconvenzionali, rispettivamente per l’accertamento della loro proprietà esclusiva del terreno circostante l’edificio e per il pagamento di quanto dovuto dall’attrice in relazione alle eseguite opere extra contrattuali.

Con sentenza non definitiva del 3 settembre 1973 l’adito Tribunale respinse le domande attrici di risarcimento e di riduzione in pristino, mentre dichiarò essere il lastrico solare di proprietà comune dei condomini. Quindi con sentenza 7 aprile – 17 novembre 1976 definì la controversia dichiarando – conformemente all’assunto della B. – che anche il terreno circostante l’edificio era di proprietà comune ed accogliendo, invece l’altra riconvenzionale dei M. per il pagamento di quanto loro dovuto.

La pronuncia, impugnata dai M. relativamente al capo dell’accertamento circa la proprietà comune del suindicato terreno, è stata per questa parte riformata dalla Corte di Appello di Roma con sentenza 22 dicembre 1978 – 20 marzo 1979.

Il giudice di secondo grado, riconoscendo ai M. l’esclusiva proprietà comune pro indiviso del bene in argomento, ha evidenziato che con l’atto pubblico del 2 dicembre 1966 il B.A. aveva “venduto e trasferito” agli altri l’appezzamento di terreno, delimitato con bordo azzurro nella planimetria allegata all’atto e si era riservata “l’esclusiva proprietà” sia della “quota di area afferente l’intero secondo piano e due vani ad uso autorimessa nel piano cantinato”, individuata con bordo rosso nella planimetria, sia della “quota degli spazi, impianti ed enti comuni e condominiali dell’erigendo fabbricato pertinenti al suddetto secondo piano sopra il piano terra”.

Ha poi rilevato che gli “spazi” menzionati nella seconda riserva e riferiti all’erigendo fabbricato non potevano essere che quelli interni al fabbricato stesso con la consequenziale irrilevanza di tale secondo riserva rispetto all’altra concernente l’area.

Quindi, sulla considerazione che il B.A. aveva immediatamente trasferito la proprietà dell’intera superficie in cambio delle pattuite porzioni dell’edificio ancora da costruire, ha inquadrato la fattispecie nello schema della permuta di bene attuale (area edificabile) contro bene futuro (porzioni dell’erigendo edificio). Perciò non ha condiviso l’argomento del primo giudice che nella riserva del B., relativa all’esclusiva proprietà della “quota di area afferente” l’intero secondo piano e i due vani cantinati, aveva ravvisato un riferimento “non a ciò che dell’erigendo fabbricato sarebbe entrato nel patrimonio B., bensì a ciò che non dovesse uscirne per effetto della alienazione del terreno in questione”. Secondo il giudice di appello, invece, l’adottata qualificazione giuridica del rapporto (permuta di bene attuale contro bene futuro) induceva ad individuare l’oggetto della riserva de qua nella superficie parziale dell’erigendo fabbricato, in deroga al principio dell’accessione, non già della superficie parziale del terreno. Questo era stato interamente trasferito ed inoltre “non rientra tra le parti dell’edificio che l’art. 1117 c.c. presume comuni, salvo che il contrario risulti dal titolo”.

La Corte di merito ha anche considerato l’ipotesi di un rapporto pertinenziale per escluderlo sul rilievo che – giusta l’osservazione della planimetria con bordo azzurro lo spazio adiacente all’edificio sembra adempiere a funzioni autonome e, comunque, diverse da quelle di servizio del condominio“. Infine, all’obiezione della B. circa l’interclusione delle sue porzioni immobiliari, ha indicato il rimedio della servitù coattiva o convenzionale.

La suddetta ricorre per Cassazione con tre motivi, mentre resistono gli altri con controricorso.

Motivi della decisione

Si trae da quanto esposto che la Corte del merito ha ritenuto essenziale la qualificazione giuridica del rapporto tra le parti come permuta, anzichè come compravendita ed appalto giusta quanto ora sostiene la ricorrente con il terzo motivo. Ma va rilevato che, a parte la configurabilità del negozio giuridico indiretto (permuta realizzata attraverso vendita e appalto) che soggiace alla discipline di entrambi i negozi adottati, proprio della qualificazione che la Corte ha dato al negozio non appare logicamente deducibile la esclusione della comunione dell’area circostante all’edificio. Nella permuta del terreno con parte dell’immobile da costruirvi, infatti, le aree che restano comuni ai proprietari delle porzioni di edificio, una volta che questo è costruito,sono determinate dalla disciplina condominiale (art. 1117 c.c.) e nulla, in astratto può ritenersi pattuito in deroga se, attraverso l’esame delle pattuizioni concrete, tanto non risulti. Anche per la ipotesi di vendita ed appalto, le conclusioni, sempre in astratto, non possono essere diverse, perchè la riserva dell’area nella quale deve sorgere la porzione di edificio appaltata non esclude che, nel condominio di edificio che verrà necessariamente a determinarsi, restino comprese quelle porzioni di area, sulla quale l’edificio sorge, che possono esser considerate pertinenze o che fanno parte dei beni comuni a norma dell’art. 1117 c.c.: il titolo di proprietà dell’area pertinenziale o comune non scaturisce, infatti, dalla quantità riservata ma dalla proprietà condominiale acquisita, onde la fattispecie legale realizzata non può concretare alcuna deroga alla disciplina comune, salvo lo esame delle pattuizioni articolari o la interpretazione del negozio sulla scorta di elementi specifici.

Ma questo esame concreto è mancato e la motivazione fornita dalla Corte del merito, per escludere la comunione, si rivela logicamente inadeguata allorchè vuol far derivare la cennata deroga della fattispecie legale realizzata.

Ne consegue che la doglianza della ricorrente con il terzo motivo non ha pregio, sotto il profilo della violazione di legge, perch’essa difetta di interesse ad una qualificazione giuridica del negozio dal quale non può derivare alcuna conseguenza favorevole o contraria al suo assunto, mentre ha rilievo, unitamente agli altri motivi, sotto il profilo della motivazione, nei limiti su cennati. Ed il difetto di motivazione assorbe anche la questione di diritto perchè l’esame in concreto del negozio, per la ricerca degli elementi utili per affermare od escludere la deroga, può anche avere un riverbero – al quale peraltro rimane indifferente l’esito della lite – sulla qualificazione giuridica.

Analogamente deve ragionarsi con riferimento al primo motivo di ricorso, con il quale viene denunciata la violazione – anche sotto il profilo della motivazione – dell’art. 1117 c.c. ed il secondo, con il quale viene denunciata la violazione dell’art. 1362 c.c. sulla interpretazione restrittiva del patto di area riservata dal proprietario del terreno. Ed infatti la impugnata sentenza non esclude che l’area per la quale è causa sia comune perchè non rientra tra i beni che l’art. 1117 c.c. considera comuni, anzi mostra di ritenere che si tratti proprio di beni compresi nella elencazione (non tassativa) della cennata disposizione di legge, come, per altro, sembra che ritengano anche le parti. Al contrario considera che la prospettata permuta concreti una deroga, cioè costituisca quel titolo contrario alla presunzione iuris tantum dell’art. 1117 c.c. per la sua natura giuridica piuttosto che per un patto concreto che a tanto induca.

Sicchè il vizio è, insieme, nella motivazione e nella applicazione delle norme di diritto relative alla fattispecie negoziale considerata ed alla disciplina del condomino negli edifici. Anche la seconda censura trova, per le stesse ragioni, un profilo di accoglimento, non tanto perchè vi sia stata un’interpretazione restrittiva inerente al patto circa la misura dell’area che nel negozio i concedenti si sono riservata, ma perchè la Corte del merito non ha approfondito il rapporto tra le pattuizioni intercorse in concreto e la disciplina condominiale, così risolvendo in linea astratta una questione di fatto e disapplicando, nel quadro degli effetti negoziali tipici di una fattispecie legale le norme sul condominio.

Pertanto il ricorso va accolto, nei limiti delle ragioni enunciate, con la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio ad altro giudice, che si atterrà al seguente principio di diritto: nella permuta (ancorchè realizzata attraverso vendita con riserva di parte dell’area ed appalto) di terreno contro parte dell’edificio da costruire, il trasferimento immediato del dominio del suolo non realizza alcuna deroga alla disciplina della proprietà condominiale che verrà a costituirsi con la edificazione ed alle presunzioni di cui all’art. 1117 c.c., salvo che tanto non risulti in concreto, da specifiche pattuizioni delle parti, comunque ricavabili da negozio concluso.

A tale fine si designa altra sezione della Corte di Appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 6 aprile 1981.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 1981