Svolgimento del processo

Per la costruzione dell’autostrada Caserta-Nola-Salerno, il prefetto della provincia di Caserta, con decreto del 29 dicembre 1976, pronunciò l’espropriazione a favore della S.p.A. “Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade”, di un suolo in Maddaloni appartenente a Francesco Di Nuzzo e già in possesso della società autostradale, autorizzata ad occuparlo d’urgenza con decreto prefettizio del 1 aprile 1971, prorogato fino al 31 dicembre 1976.

Con sentenza ora impugnata, la Corte di Appello di Napoli, adita, ex at. 19 l. 865-1971, dallo espropriato, per la revisione delle indennità di espropriazione e di occupazione temporanea determinate dal competente ufficio tecnico erariale, ha, con dichiarato riferimento alle disposizioni della legge n. 385-1980, liquidato, salvo conguaglio, in L. 3.749.600 l’indennità di espropriazione – raddoppiata, ai sensi dell’art. 17, primo comma, l. 865 cit. – e in l. 1.565.335 l’indennità di occupazione (pari ad un dodicesimo, per ciascun anno, dell’indennità, di espropriazione), condannando la convenuta al pagamento delle differenze rispetto alle minori somme per le stesse causali già depositate presso la Cassa depositi e prestiti, oltre ai rispettivi interessi nella misura del 10% annuo, con decorrenza dalla data del decreto di espropriazione, a titolo di maggior danno (ex art. 1224 c.c.), individuato nel mancato utile che l’avente diritto avrebbe tratto dal presumibile deposito di tali differenze (se tempestivamente versate) presso istituti di credito.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso, con sei motivi, la società autostradale.

Il Di Nuzzo resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Motivi della decisione

Con i sei motivi di ricorso, la società ricorrente rispettivamente deduce:

1) violazione degli artt. 1, 2, e 3 l. 385-1980, anche in relazione all’art. 14 l. 10-1977, per avere la sentenza impugnata applicato, nel caso di specie, le disposizioni della legge n. 385 cit. e per aver, quindi, determinato le indennità con salvezza di conguaglio, malgrado la non contestata natura agricola del fondo espropriato;

2) violazione dell’art. 17 l. 865-1971, come sostituito dell’art. 14 l. 10-1977, per aver il giudice del merito attribuito allo espropriato, quale coltivatore diretto, il raddoppio dell’indennità di espropriazione, ai sensi dell’art. 17 l. 865-1971, malgrado che questa norma non fosse più in vigore alla data della decisione, essendo stata sostituita dal terz’ultimo comma dell’art. 14 l. 10-1977;

3) violazione degli artt. 2697 e 2730 c.c., nonché difetto di motivazione, perché il raddoppio dell’indennità non spettava, comunque, al Di Nuzzo, non avendo egli fornito la prova della sua qualità di coltivatore diretto;

4) violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 l. 385-1980, in relazione agli artt. 16 e 20 l. 865-1971, perché l’indennità di occupazione temporanea non avrebbe potuto essere, in ogni caso, commisurata (anche) alla maggiorazione eventualmente spettante sull’indennità di espropriazione;

5) violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1219 e 1224 c.c., per aver la sentenza impugnata liquidato il maggior danno a favore dell’espropriato, rivalutandone il credito, pur mancando, nella specie, il presupposto della “mora debendi”;

6) violazione degli artt. 12 L. 865-1971 e 48 l. 2359-1965, poiché la Corte di appello non avrebbe potuto, comunque, ordinare il pagamento diretto delle differenze, dovendo di queste disporre, se mai, il deposito presso la Cassa depositi e prestiti.

Il motivo è fondato.

Con la sentenza n. 5401 del 24 ottobre 1984, questa Corte, a sezioni unite, ha definitivamente ribadito che il dispositivo della sentenza n. 5-1980 della Corte Costituzionale, dichiarativo della legittimità dei criteri di determinazione dell’indennità di espropriazione fissati dall’art. 16, comma 5, 6 e 7, della legge n. 865-1971 (come modificato dall’art. 14 della legge n. 10-1977), va interpretato, alla luce della corrispondente motivazione, nel senso che la caducazione dei criteri ridetti deve intendersi limitata alle aree con destinazione edilizia, per la mancanza di correlazione con l’effettiva consistenza del bene espropriato, e non può essere, dunque, estesa all’espropriazione di aree con destinazione agricola, non essendo la determinazione della relativa indennità svincolata dal loro reale valore.

Le disposizioni della legge n. 385-1980 (peraltro anch’essa dichiarata illegittima, “in parte qua”, con la sentenza n. 223.1983 della Corte Cost.) volta a regolamentare in via provvisoria la materia, per adeguarne la disciplina alle indicazioni della sentenza n. 5-1980 cit. e a questa, perciò, espressamente correlata, non erano, pertanto, estensibili alle espropriazioni di suoli agricoli.

Ha, quindi, errato la Corte napoletana che nella specie ha, invece, ritenuto quelle disposizioni applicabili e, di conseguenza, soggetta a conguaglio l’indennità, nonostante la (pacifica) natura agraria del suolo espropriato.

Fondato è anche il secondo motivo, perché il primo comma dell’art. 17 L. 865-1971 è stato effettivamente sostituito dal quinto comma dell’art. 14 l. 10-1977, che subordina alla cessione volontaria dell’area la maggiorazione del prezzo (in misura tripla rispetto all’indennità provvisoria) a favore del proprietario coltivatore.

L’innovazione, dovuta all’intento di favorire le cessioni volontarie anche da parte dei proprietari diretti coltivatori (a ciò non incentivati nel sistema precedentemente in vigore, potendo, in mancanza di norma apposita, fruire soltanto della maggiorazione di cui al primo comma dell’art. 12, largamente inferiore al raddoppio dell’indennità di espropriazione previsto dal testo originario dell’art. 17 cit.), non propone aspetti di irrazionalità (sottesi dalla sentenza impugnata) rispetto al diverso trattamento riservato ai proprietari (diretti coltivatori) esprppriati, poiché, indipendentemente dalla considerazione che la triplicazione risulta parametrata alla (sola) indennità provvisoria, anche a favore di questi ultimi la legge n. 10 ha introdotto nuove norme, sostituendo, tra l’altro, col terzo comma dell’art. 14, l’art. 15 della legge n. 865 e privilegiando, dunque, in luogo dei preesistenti criteri di determinazione automatica dell’indennità, il “riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo espropriando, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola”.

Il che si traduce in un apprezzamento anche dei riflessi negativi esercitati dall’espropriazione sull’esercizio dell’impresa agricola e in un’attribuzione di rilevanza alla qualità di coltivatore diretto del proprietario anche ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, in certa misura, perciò, personalizzata (mediante la riesumazione, nella sostanza, della vecchia logica cui era improntato l’art. 39 della legge n. 22359-1865), come nell’ipotesi di cessione volontaria, pur se premiata – questa – dal maggior prezzo reso necessario dall’intento di secondarne la realizzazione.

Di tutto questo il giudice di merito, fuorviato dall’acritica applicazione della legge n. 385-1980, non ha tenuto conto, dando per scontata la sopravvivenza, nell’originario testo, dell’art. 17 cit.

e, ignorando, quindi, che, in virtù della disposizione transitoria di cui all’art. 19 della legge n. 10-1977 (sul punto coerentemente interpretato, tra le altre, da Cass. 353-1982; Cass. 6523, 326 e 183-1980. Per la più compiuta teorizzazione del tema, v. anche 1983-2545 e 1574; Cass. 1981-6098, 4679 e 3553), le norme di quest’ultima in materia di determinazione dell’indennità di espropriazione (e di occupazione) si applicano anche ai procedimenti in corso, per la liquidazione delle indennità ancora in discussione alla data di entrata in vigore della nuova legge, anche nell’evenienza cha la controversia sia limitata alla spettanza delle maggiorazioni, concorrendo esse ad integrare l’indennità dovuta al proprietario e facendone, perciò, strutturalmente parte.

Il terzo motivo è assorbito, per evidente irrilevanza della contestazione relativa alla qualità di coltivatore diretto del Di Nuzzo, una volta stabilito che egli alla maggiorazione dell’indennità non ha, comunque, diritto.

Parimenti assorbito è il successivo motivo, poiché la non riferibilità dell’indennità di occupazione temporanea all’indennità di espropriazione raddoppiata consegue automaticamente, nel caso concreto, alla non spettanza del raddoppio.

Il quinto motivo deve essere, invece, accolto. Il giudice “a quo”, pur riconoscendo la natura (ormai acquisita alla giurisprudenza di questa Corte) di debiti pecuniari delle indennità di espropriazione e di occupazione legittima, ha, nondimeno , ritenuto suscettibili di rivalutazione i rispettivi supplementi (contestualmente liquidati), muovendo dalla premessa che l’espropriante debba considerarsi in mora nel loro versamento per il solo fatto che, in esito al giudizio di opposizione alla stima, sia emersa la inadeguatezza dell’indennità inizialmente liquidate e così identificando, in definitiva, il semplice ritardo con la mora.

Di questa identificazione la ricorrente fondatamente si duole. Conviene premettere che nessun ritardo si addebita alla società autostrade nel deposito delle indennità determinate dall’U.T.E., ai sensi degli artt. 15, 16 e 19 della legge n. 865, e che la questione si pone concretamente solo in ordine all’indennità di occupazione (elevata ad un dodicesimo annuo dal settimo comma dell’art. 14 l. 10-1977), essendo rimasto invariato, per quanto concerne l’indennità di espropriazione, il valore unitario del fondo originariamente accertato (in L. 1.060 mq.) e non risultando, perciò, questa maggiorata (espunto, naturalmente, il raddoppio indebitamente attribuito).

Fatte queste precisazioni e ribadito, altresì il principio che anche l’obbligazione risarcitoria ipotizzata dal secondo comma dell’art. 1224 c.c. presuppone la mora del debitore e, quindi, un ritardo colpevole nell’adempimento dell’obbligazione principale, non è dato scorgere note di colpevolezza nel comportamento del promuovente l’espropriazione, che, uniformandosi alle prescrizioni di legge, abbia tempestivamente depositato le indennità a suo carico, senza prefigurarsi l’accidentalità che esse, a seguito dell’eventuale opposizione, si rivelino inadeguate e senza la possibilità, comunque preclusa all’amministrazione pubblica, di ovviare preventivamente alle conseguenze dell’ipotetica inadeguatezza mediante l’esborso anticipato e puramente “cautelativo” (che la legge, in ogni caso, non prevede) di somme eccedenti quelle liquidate dagli organi deputati alla stima.

Questa conclusione, pur astraendo da ipotesi di diversa natura, a proposito delle quali l’esigenza della colpa dell’espropriante, ai fini dell’obbligo di risarcimento, è stata particolarmente rimarcata (Cass. 7295-1983, in ordine all’eventuale responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c.; Cass. 3717-1983 in tema di ritardata notificazione del provvedimento ablatorio al proprietario effettivo; Cass. 766-1973, relativa ad espropriante che non si presti alla determinazione dell’indennità), aderisce, del resto, alla prevalente giurisprudenza di legittimità (alle sentenze citate “adde”: Cass. 7585-1983; Cass. 830-1982) e fruisce, nel caso specifico, di un ulteriore sostegno, essendo stata la maggiorazione dell’indennità introdotta da una norma (settimo comma dell’art. 14 cit.) successiva a quella in vigore (art. 19, III co., l. 865-1971) nel momento della determinazione originaria.

Fondato, inoltre, è il sesto motivo, poiché anche il supplemento dell’indennità di occupazione legittima che venga riconosciuto in esito al giudizio di occupazione legittima che venga riconosciuto in esito al giudizio di opposizione alla stima (e, quindi, nei casi in cui l’indennità non sia stata pattiziamente determinata o accettata: cfr. Cass. 6457-1983) deve essere versato presso la Cassa depositi e prestiti a garanzia di eventuali diritti di terzi, restando preclusa la possibilità di condanna nell’espropriante al pagamento diretto in favore dell’espropriato (Cass. 3825-1983; Cass. 4973 e 5332-1977).

In accoglimento del primo, del secondo, del quinto e del sesto motivo, la sentenza impugnata deve essere, conseguentemente cassata (assorbita le rimanenti censure), con rinvio della causa ad altra sezione della stessa Corte d’appello di Napoli, che si uniformerà nell’emananda decisione ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche sulle spese di questa fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo il quinto e il sesto motivo del ricorso;
dichiara assorbiti i rimanenti motivi;
cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, che provvederà anche sulle spese di questo stadio del giudizio.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 16 GENNAIO 1986