Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 22 luglio 1981 Regina Riccio, Carmela Riccio, Emilia Treglia e Vincenzo Treglia – premesso che in relazione a una procedura di esproprio di un terreno di loro proprietà della superficie di mq. 2729 in località Monte Tortona di Gaeta, che era stata promossa per la realizzazione di un piano di edilizia economica e popolare in detta località, il Sindaco di Gaeta, con avviso notificato il 4 luglio 1981, aveva loro comunicato che l’U.T.E. di Latina, con relazione del 13 giugno 1981, aveva determinato in lire 3.289.000 la indennità definitiva di espropriazione in base all’art. 19 della legge n. 865 del 22 ottobre 1971 – convenivano in giudizio il Comune di Gaeta davanti alla Corte di Appello di Roma chiedendo che l’ammontare dell’indennità – come sopra liquidata in misura irrisoria – fosse congruamente elevata, tenuto conto della destinazione edificatoria della zona in cui si trovava il terreno espropriato nonché dell’indennità di occupazione e di quella aggiuntiva.
Il Comune di Gaeta si opponeva alla domanda, deducendo – tra l’altro – che il fondo espropriato si trovava situato fuori della perimetrazione del centro edificato.
Con sentenza 2-21 febbraio 1983, l’adita Corte di Appello – dopo avere respinto la tesi sostenuta dagli attori, secondo cui l’indennità avrebbe dovuto essere determinata applicando il criterio del valore venale ex art. 39 della legge n. 2359 del 1865 – determinava la indennità di espropriazione in lire 21.149.750 e quella di occupazione in lire 8.894.483, con un totale di lire 30.044.233, con gli interessi legali sull’ammontare di ogni anno di occupazione fino al soddisfo, nonché (1) sull’ammontare dell’indennità di espropriazione, dal 30 gennaio 1980 (data dell’esproprio) al saldo.
La Corte di Appello perveniva a tale conclusione fondandosi sul rilievo che, ai sensi dell’art. 18 della legge n. 865 del 1971, l’area espropriata, avuto riguardo alle caratteristiche per essa accertate dal C.T.U. – consistenti nell’essere inclusa in un piano di zona destinato all’edilizia economica e popolare per una cubatura di mc.fabbricabili 90.331, distante dal centro dalla città di Gaeta a soli circa tre chilometri, con ottima viabilità di collegamento con lo stesso centro e con le grandi arterie di comunicazione verso Napoli e Roma, in un comprensorio pressoché interamente edificato, dotato dei servizi pubblici essenziali (acqua, energia elettrica, fognature) – doveva considerarsi urbanizzata.
E ciò, indipendentemente dalla perimetrazione effettuata dal Comune di Gaeta, che nella specie – in quanto contrastante con la descritta realtà urbana – doveva essere disapplicata anche ai sensi degli artt. 3 e 4 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E. Pertanto – tenuto conto che Gaeta è città inferiore ai 100.000 abitanti – applicate le tabelle U.T.E. per l’anno 1981 della provincia di Latina, in relazione alla regione agraria n. 4 in cui è compresa la città di Gaeta e ritenuta la prossimità dell’area al centro abitato – ai sensi della legge n. 385 del 29 luglio 1980 in relazione alla legge n. 943 del 23 dicembre 1982, le indennità di espropriazione e di occupazione andavano determinate nella misura anzidetta, adottando per la prima il prezzo di lire 1.550 a mq. e il coefficiente 5.
Avverso la sua indicata sentenza della Corte di Appello di Roma ricorre per cassazione il Comune di Gaeta, deducendo tre motivi di annullamento illustrati con memoria.
I Riccio – Treglia resistono con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia la violazione dei principi e delle norme che regolano la data a cui deve farsi riferimento per determinare l’indennità di espropriazione e la decorrenza dei relativi interessi nonché motivazione contraddittoria in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., per avere la Corte di Appello applicato, (2) ai fini della determinazione dell’indennità, le più elevate tabelle U.T.E. operanti per le espropriazioni avvenute nel 1981 pur avendo accertato come data dell’esproprio quella del 30 gennaio 1980; deducendosi, inoltre, per la ipotesi che in sede di rinvio dovesse risultare che il decreto di esproprio fu emesso solo alla fine del 1981 (come in realtà ammette essere avvenuto lo stesso ricorrente) che gli interessi sull’ammontare dell’indennità di espropriazione avrebbero dovuto farsi decorrere non già dal 30 gennaio 1980, bensì dalla data del decreto di esproprio (fine del 1981) in cui si verificò l’effetto ablativo della proprietà.
Con il secondo motivo si denuncia, inoltre, la violazione dei limti posti ai poteri del giudice ordinario dagli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. E, e difetto assoluto di giurisdizione in relazione all’art. 360 n. 1 e 4 cod. proc. civ. e si censura la sentenza impugnata per avere i giudici del merito esercitato funzioni di amministrazione attiva, creando una perimetrazione diversa da quella che era stata fatta dal Comune di Gaeta in guisa da ricomprendere il fondo espropriato nella nuova perimetrazione anziché limitarsi a disapplicare nel caso concreto la perimetrazione che era (3) stata da essi ritenuta illegittima.
Con il terzo e ultimo mezzo si denuncia, infine, la violazione dell’art. 18 e quindi dell’art. 16 della legge 22 ottobre 1971 n. 865 e motivazione contraddittoria in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. per avere i giudici del merito ritenuto illegittima la deliberazione consiliare di perimetrazione del centro abitato di Gaeta sulla base di fatti giuridicamente irrilevanti e del tutto disancorati dalle norme di legge disciplinanti la materia, tra cui in particolare l’art. 18 della legge n. 865 del 1971, cit.
Ed invero, secondo il ricorrente, malgrado al inequivoca formulazione di quest’ultima norma, la esclusione del terreno espropriato del centro edificato non poteva essere ritenuta illegittima solo in forza di un generico criterio di “prossimità al centro urbano, nonché per l’esistenza “in loco” dei servizi dell’acqua, energia elettrica e delle fognature, tenuto conto che tali servizi erano sorti contemporaneamente all’insediamento di edilizia pubblica per il quale era stato disposto l’esproprio e costituivano, quindi, un “posterius” rispetto alla procedura espropriativa.
Come è agevole rilevare i tre motivi di ricorso sono tutti preordinati a censurare, sotto molteplici profili, la statuizione relativa alla determinazione dell’indennità di espropriazione che nel caso concreto è stata liquidata dai giudici del merito in applicazione dell’art. 1 lettera b) della legge 29 luglio 1980 n. 385.
Con tale norma fu stabilito che fino all’entrata in vigore della legge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 5 del 1980, per tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte o per conto del dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali, la indennità avrebbe dovuto essere commisurata anche agli effetti degli artt. 12, 15 e 17 della legge 22 ottobre 1971 n. 865 e successive modificazioni, per le aree comprese nei centri edificati, al valore agricolo medio della coltura più redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricadeva l’area da espropriare, coprissero una superficie superiore al 5% di quella coltivata dalla stessa regione agraria, da moltiplicare per determinati coefficienti (da due a cinque e rispettivamente da quattro a dieci) a seconda che l’area espropriata ricadesse nel territorio di comuni con popolazione inferiore o superiore ai 100.000 abitanti.
Con la stessa norma fu inoltre sancito che l’indennità così determinata sarebbe stata soggetta a conguaglio, secondo i criteri che sarebbero stati stabiliti con la legge sostitutiva delle norme dichiarate incostituzionali: legge che avrebbe dovuto essere emanata entro un anno dall’entrata in vigore della stessa legge n. 385 del 29 luglio 1980.
Tale termine, prorogato dapprima al 16 agosto 1982 con il d.l. 28 luglio 1981 n.396 fu poi anticipato al 31 maggio 1982 con la legge di conversione 25 settembre 1981 n. 535 e venne quindi ulteriormente prorogato dapprima al 31 dicembre 1982 con il d.l. 29 maggio 1982 n. 298, convertito nella legge 29 luglio 1982 n. 481 e poi al 31 dicembre 1983 con la legge 23 dicembre 1982 n. 943.
Come è noto, con le citate norme era stato richiamato sia pure temporaneamente in vita il sistema accolto dal combinato disposto dagli artt. 16 e 18 della legge 22 ottobre 1971 n. 865 e 14 della legge 28 gennaio 1977 n. 10, in base al quale l’indennità di espropriazione era stata ancorata, nelle ipotesi sopra richiamate, al valore agricolo medio accertato entro il 31 gennaio di ogni anno dall’ufficio Tecnico Erariale, con riferimento al precedente anno solare, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati in atto nell’area da espropriare (4), da maggiorare o meno secondo determinati criteri e coefficienti a seconda che l’area espropriata fosse o meno compresa nei “centri edificati” che in applicazione dell’art. 18 della legge n. 865 del 1971 avrebbero dovuto essere determinati con apposita delibera dei consigli comunali (o in difetto delle Regioni) per ciascun centro o nucleo abitato, mediante una perimetrazione comprensiva di tutte le aree edificate con continuità e dei lotti interclusi e con esclusione degli insediamenti sparsi e delle aree esterne, anche se interessate dal processo di urbanizzazione.
E’ noto altresì che il sistema risultante dal coacervo delle norme su richiamate era stato dichiarato illegittimo con la sentenza n. 5 del 1980 della Corte Costituzionale, tenuto conto che i criteri ivi adottati riguardo alla determinazione dell’indennità di espropriazione dei suoli aventi comunque vocazione edificatoria (e quindi anche se non compresi nel perimetro dei centri edificati previsto dall’art. 18 della legge n. 865 del 1971, ma aventi, cionondimeno, in quanto immediatamente adiacenti al perimetro urbano, caratteristiche identiche a quelle incluse nel perimetro stesso in guisa da essere ugualmente interessate dal processo di urbanizzazione), facevano riferimento al valore agricolo dell’area espropriata introducendo un elemento di valutazione del tutto estraneo e disancorato dal valore del bene espropriato, che conduceva al risalto manifestamente incongruo di liquidare la indennità dovuta per le aree con destinazione edilizia senza tenere conto del valore effettivo del bene espropriato (non avente per le sue caratteristiche e per la sua destinazione economica alcuna correlazione con il valore agricolo delle colture praticate nella zona); con evidenti possibili sperequazioni e palese violazione dei principi consacrati negli artt. 3, 1° comma, e 42 3° comma, della Costituzione in relazione al diritto a un adeguato ristoro che quest’ultima norma intende assicurare all’espropriato.
Ora in relazione al ricorso che è stato proposto il 13 maggio 1983 dal Comune di Gaeta per censurare i criteri che sono stati adottati dai giudici del merito nel quantificare l’indennità di espropriazione (e conseguentemente l’indennità di occupazione) che è stata dagli stessi determinata facendo applicazione dell’art. 1 lettera b) della citata legge 29 luglio 1980 n. 385, non può non darsi atto che, dopo la proposizione del ricorso, la Corte Costituzionale, con la sentenza 19 luglio 1983 n. 223 ha dichiarato illegittimi, per violazione degli artt. 42, 3° comma, e 136, 1° comma, della Costituzione, gli artt. 1, 1°, 2°, 3°, 4° e 5° comma, 2 e 3 della legge n. 385 del 1980, nonché gli articoli unici delle leggi 25 settembre 1981 n. 535, 29 luglio 1982 n. 481 e 23 dicembre 1982 n. 943, per avere tali leggi ripristinato sostanzialmente gli stessi criteri di commisurazione dell’indennità di espropriazione che la stessa Corte aveva già dichiarato incostituzionali con la citata sentenza n. 5 del 1980, tenuto conto che tale ripristino non poteva ritenersi giustificato dall’asserito carattere “provvisorio” dell’indennità, una volta che non erano stati neppure enunciate le caratteristiche essenziali e i criteri informatori del conguaglio (che avrebbe dovuto essere disposto con l’emananda legge, ai sensi del 2° comma dell’art. 1 della legge n. 385 del 1980) né previste le conseguenze connesse all’inutile scadenza del termine (già più volte prorogato) contro cui avrebbe dovuto essere emanata quest’ultima legge, sostitutiva delle norme, che erano state già dichiarate illegittime con la precedente sentenza n. 5 del 1980.
Pertanto per effetto dell’avvenuta caducazione dei criteri normativi già stabiliti dalle disposizioni su richiamate per la determinazione dell’indennità di espropriazione dei suoli aventi comunque vocazione edificatoria e quindi anche se non compresi nel perimetro dei centri edificati di cui all’art. 18 della legge n. 865 del 1971), che sono stati applicati dai giudici del merito nella presupposta natura edificatoria che è stata dagli stesi riconosciuta al suolo espropriato – e contro cui si appuntano le censure che sono state proposte dal Comune di Gaeta per dimostrare la errata applicazione nel caso concreto – non può non conseguire che, in attuazione ei principi che regolano lo jus superveniens (che impongono, tra l’altro, al giudice di disapplicare anche di ufficio la disciplina espunta dall’ordinamento per effetto della dichiarazione di incostituzionalità e di applicare, in luogo di essa, il diverso precetto che lo ordinamento è in grado di esprimere una volta depurato della norma dichiarata incostituzionale) l’accertamento della possibile destinazione edificatoria del suolo espropriato (indipendentemente dall’essere esso compreso o meno nel perimetro del centro edificato) e la liquidazione della relativa indennità dovranno essere effettuati secondo le regole stabilite dalla legge 25 giugno 1865 n. 2359, restando salva la perdurante operatività dei criteri di liquidazione della indennità, previsti dall’art. 16, comma 5°, della legge 22 ottobre 1971 n. 865 (come modificato dallo art. 14 della legge 28 gennaio 1977 n. 10) – richiamati dall’art. 1 lett. a) della legge 29 luglio 1980 n. 385 – solo riguardo alle aree con destinazione agricola, e non interessate comunque dal processo di urbanizzazione, le cui oggettive caratteristiche sono specificamente contemplate dalle citate norme per una liquidazione dell’indennità non svincolata dal valore effettivo del bene espropriato: non potendo le medesime norme considerarsi colpite sotto tale particolare aspetto dalla declaratoria di incostituzionalità delle sentenze n. 5 del 1980 e n. 223 del 1983, interpretate al lume delle relative motivazioni, come queste Sezioni Unite hanno già avuto occasione di precisare (V. sent. n. 5401 del 24 ottobre 1984).
Dal carattere generale che, in materia di espropriazione per pubblica utilità, va riconosciuto alla citata legge n. 2359 del 1865
– rimasta come tale in vigore per tutte le opere non fatte oggetto di normative particolari, anche dopo l’emanazione delle varie leggi speciali che ad essa hanno derogato limitatamente alle materie da esse specificamente regolate – discende invero che una volta venuta meno la norma derogatrice (con i particolari effetti, anche di ordine temporale, che conseguono alle sentenze della Corte Costituzionale) riprende vigore, riespandendosi, l’ambito di operatività della sua richiamata normativa di carattere generale, come pure è stato recentemente evidenziato da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 4091 dell’8 luglio 1985.
Pertanto, pronunciando sul ricorso proposto dal Comune di Gaeta in relazione alla sopravvenuta mutata situazione normativa applicabile alla fattispecie, come sopra venutasi a determinare in conseguenza della citata sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 19 luglio 1983, deve provvedersi di ufficio alla cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, a cui stimasi opportuno rimettere anche la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione pronunciando sul ricorso proposta dal Comune di Gaeta, cassa, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
Così deciso nelle camere di Consiglio del 20 giugno e del 10 luglio 1985 delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione.
(1) sull'(2) ai fini della determinazinoe dell’indennità (3) era(4) espropriare(5) o meno
Si approvano le precedenti cinque postille
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 GENNAIO 1986