Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 16-1-71, la srl Montebarbaro City convenne in giudizio davanti al Tribunale di Napoli la SpA INFRASUD, poi divenuta “Tangenziale di Napoli” e, premesso di essere proprietaria di una vasta area, in territorio di Pozzuoli, sulla quale, previo rilascio di regolari licenze edilizie da parte del Comune, aveva iniziato, nel 1967-1968, i lavori per la costruzione di civili abitazioni e di un complesso alberghiero, esponeva che la società convenuta, dopo la redazione di uno stato di consistenza in data 19-4-68, aveva ottenuto, il 5-6-68, decreto di occupazione per una porzione di essa pari a mq. 5850, e il 14-12-70, dopo la scadenza del biennio, decreto di espropriazione con determinazione della relativa indennità in Lire 18.996.000, e di quella di occupazione in Lire 1.899.600, somme del tutto inadeguate al valore del terreno; e, messe in evidenza le pretese irregolarità nella procedura amministrativa, chiedeva la restituzione del suolo espropriato, o in difetto, l’integrale risarcimento del danno, aggiungendo che, in ogni caso, aveva diritto a conseguire il valore venale dei beni, proponendo, al riguardo, opposizione alla stima.

La convenuta, costituitasi, contestava il fondamento delle pretese avversarie.

Con sentenza non definitiva del 27-9-74, il tribunale disattendeva ogni questione attinente alla legittimità della procedura di esproprio, e stabilito che oggetto della lite era la liquidazione delle indennità spettanti, e il risarcimento del danno per la dedotta occupazione senza titolo di una porzione di terreno eccedente quella indicata nel relativo decreto, disponeva con separata ordinanza, la prosecuzione della causa.

Nella nuova fase istruttoria interveniva volontariamente in causa Alessandro Palmidoro (titolare di un’impresa che avev iniziato i lavoro di sbarcamento nell’area interessata dalla espropriazione), assumendosi creditore della somma di Lire 130.000.000 nel confronto con la Montebarbaro City la quale gli aveva regolarmente ceduto il proprio credito verso la “Tangenziale di Napoli”, chiedendone la condanna a pagare direttamente in suo favore quanto spettante alla Società attrice, fino a concorrenza di detta somma. Il Tribunale, con sentenza definitiva del 14-5-80, esclusa la dedotta occupazione di una maggiore area, valutava il terreno espropriato in regime di libero mercato secondo i criteri di cui alla legge N. 2359 del 1865 in Lire 12.000 a mq. per la parte pianeggiante di 3000 MQ destinabili a fini edilizi ed in Lire 275 a mq per la parte rimanente, non pianeggiante, suscettibile soltanto di utilizzazione agricola, determinando l’indennità di espropriazione in 36.783.750 e quella di occupazione in Lire 4.904.500. Ritenuto poi, che, in seguito alla costruzione della sede autostradale, si fosse verificata l’interclusione di una porzione dell’area residua, valutava il relativo danno il Lire 2.986.720, disattendendo la pretesa di rimborso delle spese per opere di sbancamento. Quanto al Palmidoro, pur dichiarandone ammissibile l’intervento, ne rigettava la domanda.

Avverso le due sentenze, definitiva e non definitiva, la Montebarbaro proponeva appello (principale) al quale la Tangenziale di Napoli resisteva, proponendo, a sua volta, gravame incidentale.

La Corte di Appello di Napoli, in parziale accoglimento dell’impugnazione principale, attribuito carattere edificatorio all’intero suolo espropriato, sul rilievo che tutta l’area, in base ai locali strumenti urbanistici, era suscettibile di utilizzazione edilizia ed in effetti stava per essere utilizzata in tal senso a seguito delle concesse licenze che trattandosi di complessi residenziali, avevano adottato i criteri volumetrici dettati allo art. 17 L. 6-8-67 N. 765, (tenendo presente la superficie complessiva per determinare, in base all’indice di edificabilità, il numero ed i volumi dei vani da costruire), rilevato che sul suolo in parola erano stati eseguiti lavori di sbancamento ei allacciamento idrico che inducevano ad elevarne il prezzo unitario da Lire 12.000 a Lire 14.000 per mq, determinava l’indennità di espropriazione in Lire 81.900.000 (mq 5850 per Lire 14.000) e quella di occupazione legittima in Lire 8.190.000. Rilevato, poi che il decreto di esproprio era intervenuto sei mesi dopo la scadenza del biennio di occupazione legittima, liquidava il relativo danno, con il criterio degli interessi legali, in Lire 2.047.500, portato a Lire 6.142.500 per effetto della svalutazione monetaria calcolata nel 300%; aumentava, inoltre, l’importo risarcitorio per l’interclusione del suolo residuo da Lire 2.986.720 a Lire 3.343.723 in considerazione della svalutazione (15%) verificatasi dopo la sentenza di primo grado. Infine, in parziale accoglimento dell’appello incidentale del Palmidoro, gli attribuiva, quale cessionario del credito vantato dalla “Montebarbaro City” nei confronti della “Tangenziale”, soltanto la somma di Lire 6.142.500 dovuta a titolo di risarcimento danni da occupazione illegittima, non riconducibile alla procedura espropriativa, osservando che, per il resto, tale procedura imponeva il deposito delle somme presso la Cassa DD.PP a tutela di coloro che vantassero eventuali diritti sul fondo espropriato.

La Corte, a proposito del disatteso appello incidentale della società espropriante, riteneva di non poter prendere in considerazione, per il principio “tantum devolutum quantum appellatum” la questione della pretesa eccessività del valore riconosciuto al terreno dai primi giudici, nel presupposto del carattere edificatorio, che rappresentava un inammissibile ampliamento dei motivi di gravame, nei quali si era discusso esclusivamente dell’utilizzazione edilizia dell’area espropriata.

Ricorre per Cassazione la srl MONTEBARBARO CITY deducendo due motivi di annullamento.

Resistono, con separati controricorsi, la SpA “Tangenziale di Napoli” e Alessandro Palmidoro, proponendo a loro volta ricorso incidentale, rispettivamente con quattro e due motivi.

Con il primo motivo del ricorso principale la Soc. Montebarbaro, denunziando violazione dell’art. 2043 C.C., in relazione all’art. 360 N. 3 CPC, difetto assoluto di motivazione e omesso esame di punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 N. 5 CPC, censura la sentenza impugnata per avere omesso di prendere in considerazione il motivo di appello, con il quale deduceva che l’occupazione di durata ultrabiennale era divenuta come tale illegittima facendo sorgere un suo diritto al risarcimento di tutti i danni subiti (valore venale del bene, degrado della zona residua, danno emergente e lucro cessante, per l’impossibilità di realizzare il complesso immobiliare, ecc), senza che potesse più avere alcuna incidenza su tale diritto il decreto di esproprio intervenuto il 24-12-1970, quando ormai l’illecito si era già cristallizzato e non era più possibile la restituzione del suolo per l’iniziata opera pubblica.

Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 40 Legge N. 2359 del 1865 e difetto assoluto di motivazione su punto decisivo della controversia, si censura la sentenza per avere ignorato il problema del degrado della zona residua, imprescindibile nel caso, come quello di specie, di espropriazione parziale, e per avere omesso, quindi, di procedere al calcolo differenziale, previsto dal citato art. 40 della Legge sulla espropriazione, tra il valore dell’intero comprensorio prima dell’esproprio e il valore della parte residua dopo il provvedimento ablativo che ne aveva compromesso totalmente e definitivamente la riconosciuta sfruttabilità edilizia, con un danno notevolissimo che andava ben al di là della semplice interclusione.

La SpA Tangenziale di Napoli, con il primo motivo del ricorso condizionato dall’eventuale accoglimento del primo motivo del ricorso principale avversario, denunziando violazione dell’art. 345 CPC e omesso esame della relativa eccezione, si duole che la Corte Napoletana abbia semplicemente disatteso nel merito la doglianza della Soc. Montebarbaro concernente la questione dell’occupazione divenuta illegittima e del conseguente diritto al risarcimento integrale del danno, mentre avrebbe dovuto esaminare pregiudizialmente l’ammissibilità di detta doglianza, la quale, come essa ricorrente aveva eccepito sin dalla comparsa di costituzione in appello, rifiutandosi di accettare il contraddittorio, contestava la formulazione di domande che, traendo origine dalla pretesa (avanzata per la prima volta) di considerare il decreto di esproprio tanquam non esset, rappresentavano inammissibile mutamento della causa petendi ed alteravano sostanzialmente i termini della controversia.

Con il secondo motivo, denunziando violazione dell’art. 39 della Legge N. 2359 del 1865, e die principi generali in tema di indennità di esproprio, anche in relazione alle disposizioni della Legge 6-8-67, violazione dell’art. 112 CPC e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, si lamenta l’avvenuto riconoscimento del carattere edificatorio del suolo espropriato e l’attribuzione allo stesso di un valore di Lire 14.000 a mq.

Osserva al riguardo la Società ricorrente che la proprietà Montebarbaro era costituita da una parte pianeggiante di soli 3000 mq e da un’altra zona, ben più ampia, completamente accidentata, impervia e montagnosa, del tutto inutilizzabile a fini edilizi, come avevano dato atto i consulenti tecnici e come risultava dalla stima amministrativa dell’ANAS; la stessa parte pianeggiante, essendo fuori della perimentazione del centro urbano di Pozzuoli, e ricadendo in zona rurale, era legalmente inedificabile; e a nulla rilevava che il Comune avesse rilasciato licenza edilizia, trattandosi di una licenza palesemente illegittima, la cui revoca era già stata sollecitata dalla sezione urbana del Provveditore alla OO.PP. di Napoli ed aveva ottenuto il parere favorevole della commissione edilizia del Comune di Pozzuoli.

La Corte partenopea, non aveva tenuto conto delle deduzioni contenute nei motivi di appello, estendendo all’intero suolo espropriato la qualità edificatoria ed addirittura elevando il valore unitario a L. 14.000 per mq, (laddove l’appellante principale aveva soltanto chiesto di estendere il valore di L. 12.000 a mq, determinato dai primi giudici, anche sulla parte pianeggiante).

Con il terzo motivo, denunziando violazione degli artt. 342 e 346 CPC, si censura l’impugnata sentenza per avere applicato in modo erroneo, ed ingiustamente rigoroso e formalistico il principio tantum devolutum quantum appellatum a proposito della doglianza riguardo l’eccessivo valore attribuito al suolo dai giudici di primo grado, senza considerare che dal complesso del motivo di appello, e dalle difese di primo grado, espressamente richiamate, risultava chiaramente la volontà della Società Tangenziale di riproporre non soltanto il punto della natura edificatoria o meno della zona, ma anche, in ogni caso, il tema del valore unitario della stessa; in tal modo la Corte era incorsa in un vero e proprio vizio di omessa pronuncia.

Con il quarto motivo, denunziando altra violazione degli artt. 39, 40 e 46 della Legge 2359-1865, anche in relazione all’art. 1224 C.C., la Tangenziale si duole che i giudici di appello, concedendo l’ulteriore svalutazione del 15% sulla somma liquidata dal Tribunale per l’interclusione della residua proprietà Montebarbaro, abbiano implicitamente rigettato il motivo di gravame col quale essa ricorrente aveva dedotto la non rivalutabilità di detta somma in quanto si trattava pur sempre di voce attinente all’indennità di espropriazione, costituente debito di valuta e non di valore. Né valeva obiettare che la questione era stata esaminata sotto l’angolazione dell’art. 46, dato che, trattandosi di espropriazione parziale, la fattispecie andava inquadrata nell’art. 40 della legge sulle espropriazioni e non nell’art. 46.

Il Palmidoro, col primo motivo del proprio ricorso incidentale, denunzia la violazione dell’art. 112 CPC, in rapporto agli artt. 360 N. 3 e 4 CPC. Premesso che i giudici di appello gli avevano riconosciuto il diritto di ottenere direttamente dalla Soc. Tangenziale quanto da essa dovuto alla Soc. Montebarbaro a titolo di risarcimento del danno, il ricorrente sostiene che, in caso di accoglimento del primo motivo del ricorso principale della Montebarbaro, raclamante il titolo risarcitorio derivante dall’occupazione illegittima, la sentenza impugnata deve essere annullata anche nella parte in cui non ha accolto la sua domanda di condanna della Tangenziale a pagare in suo favore del tutto quanto dovuto all’espropriata, cosicché il giudice di rinvio dovrà disporre tale condanna una volta riconosciuto che la responsabilità della Tangenziale deriva dal fatto illecito.

Col secondo motivo, denunziando violazione degli artt. 1260 e ss. C.C., 51 ss. L. 25-6-1865 N. 2359 in rapporto all’art. 360 N. 3 CPC, si lamenta che i giudici di appello abbiano escluso che la cessione di credito della Montebarbaro potesse avere conseguenze sul deposito dell’indennità da disporsi a nome dell’espropriato.

E’ arbitrario escludere la cessione del credito per indennità espropriativa, come pure rinviare la rilevanza dell’accordo inter partes al momento dello svincolo della somma depositata presso la Cassa DD.PP., potendosi benissimo effettuare tale deposito a nome del cessionario o anche a nome del cedente, ma con vincolo a favore del cessionario, ferma rimanendo l’imprescindibile fase di giurisdizione volontaria prevista dalla legge 2359-1865 a tutela dei terzi aventi diritto sul fondo.

Sia la Società Montebarbaro che la Soc. Tangenziale hanno presentato memoria.

Anche il Palmidoro ha illustrato con apposito scritto difensivo le ragioni fatte valere con il proprio ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1. A seguito di occupazione ultrabiennale e, come tale illegittima, e di sopravvenuto decreto di espropriazione quando si era già verificata la radicale trasformazione del fondo, con la costruzione dell’opera autostradale (tronco della tangenziale per Napoli cui l’occupazione era preordinata), la società che tale occupazione aveva subito, denunciando l’illegittimità della procedura, chiedeva in via principale la restituzione dell’area, ed in via subordinata l’integrale risarcimento del danno; precisando di avere diritto, in ogni caso, all’indennità di espropriazione in misura corrispondente al valore venale del bene, proponendo al riguardo opposizione alla stima.

Il Tribunale, disattesa la tesi sull’illegittimità della procedura di occupazione, fissava l’oggetto della lite nella liquidazione delle indennità, (sia di espropriazione, sia di occupazione legittima ed illegittima) spettanti da determinare alla stregua della legge che governava l’espropriazione, rigettando la pretesa al risarcimento dei danni.

La società espropriata ha censurato la sentenza impugnata, sostenendo che, per effetto della scadenza del biennio, era sorto il diritto al risarcimento del danno, sul contenuto economico del quale nessuna incidenza poteva spiegare il decreto di esproprio intervenuto “quando ormai l’illecito si era cristallizzato”, con l’esecuzione dell’opera pubblica, avvenuta nella specie subito dopo l’occupazione.

Conseguentemente alla medesima società sarebbe spettato: a) il controvalore del bene, calcolate con riferimento alla scadenza del biennio di occupazione legittima (5 giugno 1970) e rivalutate all’attualità; b) il degrado di valore della zona residua calcolato con gli stessi criteri; c) il danno emergente ed il lucro cessante per l’impossibilità di realizzazione del complesso immobiliare; d) gli interessi composti al tasso bancario del 15% e di quello stabilito dal giudice, sulla base della media dei tassi degli anni scorsi.

La società Tangenziale aveva eccepito l’inammissibilità per novità della domanda, trascendente i limiti di una più esatta formulazione di quelle dedotte in primo grado, in cui si era parlato di nullità della procedura di occupazione, senza ulteriormente insistere sul punto e richiedendosi, all’atto della precisazione definitiva della conclusioni, la revisione dell’indennità di esproprio, l’indennità di occupazione per il periodo legittimo ed il risarcimento danni per quello illegittimo.

Nella presente fase di cassazione la società Montebarbaro City lamenta anzitutto che la Corte di Appello le abbia negato il risarcimento globale, attribuendole solo le indennità di espropriazione attraverso una interpretazione riduttiva del mezzo inteso come se fosse stato limitato a richiedere i danni solo con riferimento al periodo di occupazione illegittima, sanata dal sopravvenuto, se pur tardivo, decreto di espropriazione (1° motivo del ricorso principale).

A sua volta, con motivo di ricorso incidentale condizionato, la società Tangenziale ribadisce la tesi dell’inammissibilità della buona prospettazione in appello volta a sostenere la radicale riconducibilità della specie nella sfera dell’illecito.

Sono questi i due poli sui quali si incentra il fondamentale discorso interpretativo cui dà luogo la vicenda in esame, la quale, dopo un faticoso, e non sempre univoco, procedere della giurisprudenza di questa Corte di Cassazione ha finalmente trovato il suo ubi consistam nella sentenza a S.U. 26 Febbraio 1983 N. 1164, che accoglie una soluzione collimante con la tesi del ricorrente principale.

2. Si è precisato nella richiamata sentenza che nelle ipotesi in cui la Pubblica Amministrazione occupi un fondo altrui per la costruzione di un’opera pubblica e tale occupazione si presenti illegittima ab origine per mancanza di provvedimento autorizzativo, o divenga tale per decorso dei termini, che la legge stabilisce in proposito, acquista determinante rilievo la circostanza dell’attuazione o meno dell’opera cui l’occupazione medesima era preordinata, nel senso che basta che si sia posto mano a radicali trasformazioni del suolo, con l’irreversibile sua destinazione del diritto di proprietà del soggetto che ha subito l’occupazione non seguita da tempestivo decreto di espropriazione, con la contestuale acquisizione, a titolo originario, della proprietà in capo all’ente costruttore. Tale intervenuta trasformazione del fondo occupato costituisce, peraltro, nel contempo un atto illecito istantaneo, sia pure con effetti permanenti, che abilita il privato a chiedere, nel termine prescrizionale di cinque anni dal momento in cui la trasformazione del fondo diviene irreversibile, la condanna dell’occupante a risarcire il danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà, mediante il pagamento di una somma pari al valore che il fondo aveva il quel momento, con la rivalutazione per l’eventuale diminuzione del potere di acquisto della moneta fino al giorno della liquidazione.

Si è precisato, altresì, che il provvedimento di espropriazione tardivamente intervenuto, quando già si era verificata la trasformazione irreversibile del fondo, si deve considerare del tutto provo di rilevanza, sia ai fini dell’assetto proprietario sia ai fini della responsabilità da illecito. La circostanza che l’irreversibilità della trasformazione si compia durante il periodo di legittimità dell’occupazione del fondo, ovvero dopo che tale termine sia scaduto, non spiega determinante riflesso per la qualificazione della fattispecie che resta circoscritta nella area del risarcimento da illecito (e non già in quella di indennizzo da atto legittimo) sempreché sussista la concorrenza di trasformazione irreversibile e di decorso del termine prefissato per l’occupazione, operando detta scadenza come momento di verificazione dell’illecito che, ove l’irreversibilità sia avvenuta già nella pendenza del termine di occupazione legittima ovviamente non si può ancora ipotizzare, dovendosi avere riguardo all’istante in cui, scaduto tale termine, l’occupazione diviene illegittima.

Tutti gli effetti della fattispecie, in tale ipotesi, vanno ricondotti a questo momento, al quale deve farsi riferimento, tanto per il trasferimento della proprietà, quanto per l’accertamento del valore (rivalutabile) del bene e per l’inettitudine del decreto di esproprio ad innestare una vicenda indennitaria, venendo detto decreto ad incidere su una situazione proprietaria già cristalizzatasi per effetto della intervenuta accessione invertita coeva al verificarsi dell’illecito scaturente dall’essere decorso il periodo di occupazione legittima senza che il procedimento ablatorio si sia perfezionato.

In altre parole non assume alcuna rilevanza la circostanza che la trasformazione del suolo in funzione della costruzione dell’opera pubblica sia anteriore o posteriore alla scadenza del periodo di occupazione legittima se non al fine di individuare il momento di verificazione dell’illecito, che coincide con la trasformazione stessa quando questa si caratterizza come irreversibile a periodo di occupazione legittima già scaduto, mentre ogni trasformazione in atto risulta illegittima durante il periodo legale di occupazione, cessando di esserlo quando tale periodo sia ormai decorso, dovendosi riportare a tale momento gli effetti dell’accessione invertita con correlativa pretesa risarcitoria ed inidoneità del decreto a spiegare gli effetti traslativi di una proprietà che già si appartiene all’ente espropriante.

Se la proprietà è passata, per effetto della irreversibilità della trasformazione correlata ad una occupazione originariamente illegittima o divenuta tale a decorrere dalla scadenza del periodo legale, non si vede a che titolo posa ipotizzarsi la sopravvenienza di un decreto che manca di oggetto poiché pretende di operare un trasferimento di proprietà già avvenuto.

Il Collegio non condivide, pertanto, l’isolata pronuncia n. 383-85 che ha preteso di distinguere l’ipotesi di irreversibile destinazione verificatasi prima della scadenza di efficacia del termine di occupazione, ovvero successivamente a tale scadenza, e ritiene che soltanto in questa seconda ipotesi scatti il meccanismo messo a fuoco dalla nota sentenza della S.U., mentre nella prima dovrebbe ritenersi legittimo il decreto di espropriazione posteriore alla scadenza del biennio di occupazione legittima, ma rientrante nel termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.

Alla base di questa soluzione sta la non approfondita puntualizzazione della logica sottesa della soluzione adottata dalle S.U., il cui fondamentale pregio sta nella linearità dell’impostazione e della soluzione la quale ripesa sulla corrispettività l’illegittimità della occupazione accompagnata dalla irreversibile trasformazione del suolo e d’estinzione del diritto di proprietà del soggetto che ha subito l’occupazione non seguita da “tempestivo” decreto di espropriazione, ovvio essendo che la tempestività va rapportata alle vicende dell’occupazione e non a quella del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.

La scadenza del termine di occupazione legittima rende l’occupazione stessa illegittima e tale illegittimità rappresenta la matrice dell’illecito che si è perpetrato trasformando irreversibilmente il fondo senza che l’iter espropriativo sia stato portato a compimento nel periodo stabilito, determinandosi quella impossibilità di restituzione che fa acquistare, sia pure illecitamente, all’espropriante inerte la proprietà del suolo, ponendo a suo carico l’obbligo risarcitorio.

La trasformazione del suolo durante il biennio che era pienamente legittima (tanto che proprio in funzione di essa era stata consentita l’occupazione stante l’urgenza ed indifferibilità delle opere), cessa di essere tale allo scadere del biennio; tale scadenza comporta l’illiceità della trasformazione che, peraltro, produce il trasferimento della proprietà. Anche quando la trasformazione irreversibile si verifica durante il periodo di occupazione legittima. L’illegittimità scaturente dalla scadenza del termine occupazionale coloro ex nuovo da quel momento l’attività svolta qualificandola contro legem e riportandola de plano nell’alveo della fattispecie disciplinata dalla sentenza a S.U. N. 1464-83. La non condivisibile soluzione adottata dalla sentenza N. 383-85 oblitera la circostanza fondamentale che l’attività di trasformazione legittima in pendenze del periodo di occupazione previsto dalla legge, diviene illegittima per scadenza del periodo stesso, comportando, a partire da quel momento, gli effetti canonizzati dalle sezioni unite di questa Corte:

Argomentare, quindi, nel senso che la trasformazione era originariamente legittima, potendosi con essa saldare un decreto di espropriazione non emesso in carenza di potere, essendo ancora aperti i termini di efficacia della dichiarazione di P.U., significa dimenticare che con la scadenza del termine l’occupazione è divenuta illegittima, riverberandosi tale illegittimità sulle opere (irreversibili o meno compiute nel frattempo) e giocando l’irreversibilità della trasformazione nel senso di far scattare il meccanismo della accessione invertita. La circostanza, pacifica in causa, che la costruzione autostradale interessante il fondo de quo abbia assunto i caratteri della trasformazione irreversibile durante il biennio di occupazione legittima non è impeditivo dell’applicazione degli effetti dell’accessione invertita determinando il correlativo illecito da risarcire una volta che, e dal momento in cui, scaduto il biennio senza che fosse intervenuto il decreto di espropriazione, l’occupazione è divenuta illegittima.

Sussistono, perciò, i presupposti perché la presente vicenda sia valutata in termini risarcitori e non indennitari; e giustamente la società Montebarbaro City si duole che le sue deduzioni in tal senso non siano presi in considerazione.

3. La sentenza impugnata presenta una palese discrasia fra la parte in cui si riassumono i motivi di gravame e la trattazione del merito volta esclusivamente alla determinazione della giusta indennità.

Il raffronto fra l’orientamento della giurisprudenza della S.U. di questa Suprema Corte e la sentenza impugnata comporta de plano l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale. E qui si innesta il motivo del ricorso incidentale condizionato dalla Tangenziale la quale effettivamente mentre aveva interesse a negare ingresso alla domanda in grado di appello, poiché dal suo accoglimento le sarebbe derivato notevole aggravio economico, una volta che la domanda risarcitoria è stata accantonata dal giudice di appello, non ha censure da muovere sotto questo aspetto se non in quanto, a seguito del motivo di ricorso principale, venga reimmessa nel circuito decisionale la problematica risarcitoria quale enucleabile nei principi giuridici appena richiamati. L’interesse all’impugnazione nasce con l’accoglimento e quindi il condizionamento appare legittimo. Solo in quanto si apre un decorso sul profilo risarcitorio globale ha ragione d’essere la dedotta preclusione da novità.

Il motivo di ricorso incidentale della società Tangenziale, ammissibile in rito, è infondato nel merito. In effetti la Montebarbaro City, ha adito il Tribunale di Napoli per ottenere testualmente in via principale: a) condanna dell’INFRA SUD spa (poi Tangenziale) alla restituzione delle aree di proprietà della istante occupata illegittimamente ed al risarcimento dei danni per la abusiva occupazione; b) in subordine, qualora i beni non possano essre restituiti per la avvenuta esecuzione di opera pubblica, condannare la INFRA SUD spa al risarcimento dei danni comprensivo del valore venale dei beni (illegittimamente espropriati, od addirittura non espropriati, occupati dall’opera; delle perdite per i lavori di costruzione già effettuati e per mancati utili relativi, del mancato reddito per il periodo di occupazione, della diminuzione di valore per le aree residuate, in conseguenza della loro inedificabilità;

3) ancor più in subordine, ritenuta l’illegittimità e l’invalidità della stima, ed in ogni caso la non corrispondenza tra le indennità determinate ed il valore effettivo dei beni, anche in relazione alla mancata considerazione della inedificabilità dei suoli residui, condanna della INFRA SUD al pagamento del valore venale dei beni espropriati, al risarcimento dei danni per quelli occupati in più e di tutti gli altri danni sub 2)”.

L’ultimo capo delle conclusioni riguardava questioni di legittimità costituzionale degli artt. 46 comma 3 L. N. 2359 e comma 40 1 L. N. 1150 del 1942.

Vale la pena di precisare che la citazione è successiva all’emanazione del (tardivo) decreto di espropriazione; che l’illegittimità dell’occupazione si faceva discendere dalla circostanza che gli stati di consistenza erano stati redatti senza l’assistenza di testimoni e non risultavano approvati dagli organi di controllo dell’ANAS, sicché la società doveva ritenersi occupante senza titolo;che nell’atto introduttivo della lite 16 Gennaio 1971 non si faceva questione espressa di illegittimità della occupazione perché protrattasi oltre il biennio e di inefficacia del decreto di esproprio perché intervenuto dopo la scadenza del termine di occupazione.

Va pure sottolineato che il processo di primo grado si è scisso in una prima fase attinente alla legittimità della procedura di esproprio ed in una seconda fase riguardante la liquidazione dell’indennità ed il risarcimento dei danni per il periodo di occupazione illegittima. Vi fu riserva di gravame contro la sentenza non definitiva; ed in appello la pretesa al risarcimento del danno venne puntualizzata con riferimento al mancato intervento del decreto di espropriazione nel biennio di occupazione legittima.

Rispetto alla situazione di fatto, che il Collegio rileva ex actis, avvalendosi dei poteri che pacificamente gli spettano in tema di vizi in procedendo, la Tangenziale deduce la violazione dell’art. 345 CPC perché, a suo dire, le domande di danno riproposte dalla Montebarbaro City in sede di appello costituirebbero un inammissibile mutamento della causa petendi integrante una domanda nuova.

La pretesa risarcitoria in primo grado traeva spunto esclusivamente dall’assunto dell’irregolarità degli stati di consistenza, discendendone l’illegittimità del procedimento di occupazione, ma tale tesi era stata poi abbandonata nel corso del giudizio di primo grado, esclusivamente impostato in termini di revisione dell’indennità di esproprio.

Solo in appello si era preteso, ex novo, di discutere di risarcimento danni.

E’ esatto che la pretesa risarcitoria globale, alla quale si accompagnava una narrazione di fatto, da cui emergevano i tempi dell’occupazione e del sopravvenuto (dopo sei mesi) decreto di espropriazione, non faceva leva su tale modalità del procedimento sebbene sulla irregolarità iniziale dell’occupazione.

Ma esatto non è che la società espropriata si sia disinteressata delle suddette prospettazioni. In realtà era accaduto che, esauritasi la prima fase del giudizio davanti al Tribunale, in cui vennero disattese le deduzioni in termini di risarcimento, la vicenda si polarizzò residualmente sul problema indennitario, venendo ad emersione, per effetto della riserva di impugnazione, l’assunto risarcitorio soltanto nella formulazione dell’atto di appello, alla luce dell’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale verificatasi nell’arco del decennio 1971-81 e più specificamente dal 1974 (epoca della sentenza non definitiva di primo grado) al 1981 (epoca della citazione di appello).

Sembra che il Collegio che alla scansione temporale debba essere dato congruo rilievo in quanto di fronte ad una impostazione chiarissima nella individuazione di un petitum di impronta esclusivamente risarcitoria (deducendosi l’illegittimità della procedura ed allegando tutti i fatti salienti che le vicende avevano caratterizzato), risulta corretta la sottolineatura specificante del titolo giuridico, discendente dalla (diversa) qualificazione di fatti già allegati in funzione di una ricostruzione della vicenda che tenga conto dell’assestamento in fieri della giurisprudenza.

Notazione questa con la quale non si intendono sovvertire le costanti della giurisprudenza processuale interpretativa dell’art. 345 CPC ma ci si limita a tener conto della evoluzione degli orientamenti della giurisprudenza medesima, per quanto attiene alla più raffinata qualificazione dei fatti storici che erano stati prospettati ab origine a sostegno della pretesa al risarcimento integrale del bene che non poteva essere restituito, nonostante l’illegittimità dell’occupazione con trasformazione del fondo, diretta alla realizzazione dell’opera.

E’ fuori dubbio, risultando dalla trascrizione delle conclusioni nella citazione introduttiva che ab initio, in congiunzione e in alternativa alla restituzione del bene, venne chiesto l’integrale risarcimento del danno comprensivo del valore dell’immobile; la causa petendi fu individuata (esattamente) nella occupazione senza titolo e nella destinazione del bene ad opera pubblica (che rendeva impossibile la restituzione). Alla mancanza di titolo dell’occupazione, in presenza di un decreto di espropriazione, si perveniva chiedendo la disapplicazione di tale decreto, accampando ab origine vizi della procedura di occupazione che si riverberavano sull’intero iter procedimentale; e precisando in appello che il decreto si presentava del tutto privo di rilevanza in quanto emesso dopo la scadenza del termine di occupazione legittima.

Vi è dunque, sicuramente una modificazione della causa petendi, che non altera tuttavia, i presupposti di fatto e l’essenza della domanda posto in primo grado; che non sposta “interamente” i termini della controversia su un piano diverso e più ampio; che non trasforma obiettivamente l’oggetto sostanziale dell’azione, ma comporta l’aggiustamento qualificatorio dei fatti esposti, cospiranti ab origine nel senso dell’illegittimità posti a fondamento della pretesa risarcitoria, venendo ora a campeggiare la tardività del decreto di espropriazione intervenuto a termini di occupazione già scaduti.

Comunque è significativo, nella prospettiva della garanzia del principio del contraddittorio e della tutela del doppio grado di giurisdizione che la società espropriata, sin dalla comparsa di risposta del 30 Marzo 1971, mostrò di avere inteso quella causa petendi nel massimo delle sue potenzialità (inclusiva dei profili che poi vennero esplicitati in appello), in quanto non si limitò ad obiettare che gli atti del procedimento di occupazione erano perfettamente regolari, che la domanda di sostituzione non poteva essere accolta, perché i beni erano stati ormai trasformati ed irreversibilmente destinati all’opera pubblica, ma soggiunse altresì che la circostanza che il decreto di espropriazione non fosse intervenuto nel biennio nono ne comportava l’illegittimità, riferibile solo al semestre di occupazione ultrabiennale, con il correlativo diritto risarcitorio, in quanto la tardività del decreto non aveva determinato di per sé nessuna ragione particolare di danno. Significativamente si tratta della stessa linea difensiva sviluppata in questa sede di legittimità rapportata all’integrale valore del bene in ragione dell’impossibilità della restitutio in integrum e rispetto ad una situazione in cui pacificamente il decreto era intervenuto a biennio scaduto.

Ciò posto, resta esclusa, nel caso di specie, quella modificazione della causa petendi la quale intanto è vietata in grado di appello in quanto comporti, attraverso la prospettazione di nuove circostanze e situazioni giuridiche, il mutamento e situazioni giuridiche, il mutamento dei fatti costitutivi del diritto di fatto valere in giudizio ove il raffronto si ponga fra la citazione introduttiva ed il motivo di appello, giacché sarebbe manifestatamente scorretto pretendere di instaurare la comparazione con le conclusioni prese in sede di sentenza definitiva di primo grado in cui il thema decidendum restava circoscritto alla prospettiva indennitaria, essendo già state esaminate in precedenza le questioni risarcitorie collegate all’illegittimità della procedura, con sentenza non definitiva gravabile per effetto della riserva, così come è avvenuto, esclusivamente insieme alla sentenza definitiva.

NOn si è avuta, pertanto, l’introduzione di una nuova causa petendi fondata su circostanze fattuali non dedotte precedentemente, ma fermi i fatti, si è prospettata diversamente l’incidenza di taluni di essi nell’ambito dell’originaria pretesa all’integrale risarcimento, alla luce dell’evoluzione del “diritto vivente” quale si era andato formando sul punto.

Non importa, quindi, che non vi sia stato accertamento di controparte rispetto alla più penetrante ed esatta formulazione del titolo della pretesa basata su fatti già dedotti, poiché l’eventuale accettazione, se effettivamente di domanda nuova si fosse trattata, non avrebbe fatto venir meno l’inammissibilità, operando una sanatoria non contemplata dalla legge processuale; mentre esclusa la novità della domanda, non è certo la resistente formale a negarle ingresso nel processo e ad operare al livello di preclusione per la presa in esame, da parte del giudice, della domanda stessa.

A ragione, quindi, nella memoria la difesa della società Montebarbaro City osserva che,a tuttora concedere, la novità della deduzione della tardività del decreto di espropriazione quale (corretto e puntuale) fondamento dell’azione risarcitoria, doveva ritenersi ammissibile, soggiungendo, col sostegno di qualificata dottrina, in sintonia con la posizione della giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, che è possibile modificare gli elementi di fatto da cui derivano gli elementi di diritto della fattispecie, specie quando questi elementi siano già acquisiti al processo come fatti storici anche se su di essi non si è fatto espressamente leva per giustificare la pretesa.

In conclusione, deve escludersi che nel caso di specie vi sia stata in appello immutazione radicale del fatto costitutivo del diritto azionato in primo grado.

L’eccezione di novità della domanda risarcitoria fondata sulla tardività del decreto di espropriazione intervenuto dopo che i termini dell’occupazione erano già scaduti, essendosi verificata la trasformazione irreversibile del bene, deve essere, pertanto, respinta.

4. Sulla base dell’inquadramento della fattispecie dei danni vanno esaminati i restanti motivi sia del ricorso principale che di quello incidentale.

ciò comporta innanzitutto che la normativa dettata in tema di espropriazione non può venire in considerazione ai fini del decidere, operando invece i principi generali che disciplinano il risarcimento danni da illecito.

Tali danni dovranno essere calcolati con riferimento puntuale al momento in cui si è verificato l’illecito, che nel caso in esame, come si è già avuto modo di rilevare, coincide con la scadenza del termine di occupazione legittima (mentre ai fini espropriativi veniva presa in considerazione la data del decreto di espropriazione).

Inoltre, pur con riferimento al parametro del valore venale, è appena il caso di ricordare che mentre l’indennità costituisce debito di valuta, insensibile come tale alla svalutazione monetaria, il risarcimento, mira all’integrale reintegrazione patrimoniale, implica automaticamente la rivalutazione.

L’accolta impostazione comporta che debba essere dichiarata assorbito il secondo motivo del ricorso principale, con cui si addebita alla sentenza della Corte di Appello la violazione dell’art. 40 della Legge sulla espropriazione del 1865 per mancata applicazione di tale norme che disciplina le espropriazioni parziali. Sembra del tutto evidente, che, ricondotta la fattispecie nello ambito del danno aquiliano non vi è spazio per censure che riguardano la mancata applicazione di norme disciplinari della fattispecie espropriativa.

Pertanto la misura del risarcimento dovrà essere valutata ex novo in sede di rinvio muovendo esclusivamente dai principi che regolano il danno aquiliano. Il significato del disposto assorbimento è quello, perciò, di ratificare che la vicenda deve essere riesaminata esclusivamente con ottica risarcitoria; ed in questa ottica si dovrà stabilire se il “danno” asseritamente subito della zona residua sussiste, ed in che limite debba essere risarcito in quanto immediato e diretto.

5. Non influisce, invece, sulla nuova impostazione in termini risarcitori il discorso sulla natura edificatoria o meno del suolo di cui la società Montebarbaro è stata privata per effetto della trasformazione del suolo destinato ad opera pubblica. Infatti la qualificazione medesima costituisce presupposto sia della indennità espropriativa, ove tale indennità debba essere integralmente riportata a tale valore, e debba comunque parametricamente confrontarsi con esse, sia del risarcimento danni rispetto al quale il valore effettivo del bene rappresenta l’imprescindibile referente della reintegrazione patrimoniale perseguita.

Viene, pertanto, in considerazione il secondo motivo del ricorso incidentale della società Tangenziale la quale si duole che la Corte di Appello abbia riconosciuto carattere edificatorio all’intera superficie di 5850 metri (di cui solo 3000 pianeggianti), e ne abbia fissato il valore venale, con riferimento all’epoca dell’espropriata si era limitata a domandare la liquidazione in ragione di Lire 12.000. Sono stati dedotti al riguardo due profili: l’uno attinente alla pretesa extrapetizione; l’altro riguardante la qualificazione edificatoria sia della parte pianeggiante, sia a fortiori di quella impervia e montagnosa.

Ritiene questa Corte che l’impugnata sentenza non si sottragga a critiche laddove postula la globale edificabilità del suolo considerato; e che l’accoglimento della censura sul punto, richiedendo che si proceda alla violazione ex novo del valore venale dell’area, faccia venire meno la censura di extrapetizione che si muove nell’orbita di una edificabilità sulla quale la motivazione dell’impugnata sentenza risulta tutt’altro che soddisfacente.

E’ opportuno premettere che la società Montebarbaro City, come è pacifico, in causa risultava proprietaria di un’area di 67.500 mq costituita per la massima parte da zona montagnosa impervia ed inaccessibile (donde il nome “Montebarbaro”) di cui solo 3000 pianeggianti e 2850 in declivio, e che tutta l’area era venuta in considerazione per giustificare, ai sensi dell’art. 17 della Legge 765 del 1967, un volume di cubatura tale da consentire, nella parte pianeggiante, l’edificazione di 370 vani.

Il Tribunale aveva riconosciuto la natura edificabile della sola parte pianeggiante, stabilendo di conseguenza differenziati prezzi di stima. Entrambe le parti avevano appellato sostenendosi da un lato l’integrale edificabilità e dall’altro l’integrale inedificabilità.

La Corte di Appello ha dato ragione alla società Montebarbaro City, che ne difende la decisione arrecandosi sulla trincea dell’insindacabilità degli apprezzamenti di merito. Ma è noto che tale insindacabilità presuppone la congruità degli apprezzamenti che sorreggono la relativa motivazione che deve risultare altresì corretta in linea di diritto. Nella specie il procedimento logico giuridico seguito al riguardo presta il fianco alle critiche che, sotto diversa angolazione, vengono messe nel ricorso e nella memoria della Tangenziale.

Tali critiche cologno nel segno.

L’edificabilità è riconosciuta per la concorrente qualificazione discendente dagli strumenti urbanistici locali e dal criterio oggettivo rappresentato dall’inizio dei lavori preparatori per la costruzione delle villette che la società si proponeva di edificare.

Orbene è fuori discussione che soltanto 300 mq di terreno erano pianeggianti mentre le consulenze tecniche convergono nella sottolineatura del carattere montagnoso e impervio della restante area, la cui attitudine all’edificazione era stata inclusa perciò dal Tribunale. In una situazione siffatta era preliminare l’indagine del regime legale dei suoli che pacificamente ricadevano nella zona “rurale” del Comune di Pozzuoli e sui quali, legalmente non si sarebbe potuto edificare.

La circostanza che ciò nonostante il Comune avesse rilasciato”licenza”, la cui revoca era stata sollecitata dalla Sezione Urbanistica del Provveditorato alle opere pubbliche di Napoli, non poteva essere pretermessa dal giudice, il quale dispone, come è notorio, del potere-dovere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi. Da un lato, quindi, la conseguita licenza non valeva automaticamente a giustificare la conclusione di edificabilità senza un previo raffronto con la qualificazione rurale della area stessa. Dall’altro la constatazione di una edificabilità di fatto contro la destinazione prevista dagli strumenti urbanistici è consentita dalla giurisprudenza solo quando sussista un complesso di elementi certi ed obiettivi, relativi all’ubicazione del suolo stesso, alla sua accessibilità, allo sviluppo edilizio della zona e alla presenza di servizi che conclamino la sussistenza di una concreta ed attuale edificabilità, specificamente desumibile dall’esistenza di strade pubbliche nelle immediate adiacenze del terreno di collegamento col centro urbano, nella zona e dall’impianto di servizi pubblici. Ma nella specie erano state effettuati solo lavori di sbancamento e non esistevano costruzioni avviate, e meno che mai completate, mentre il terreno, nella sua massima estensione, si presentava impraticabile e inadatto a costruzioni che, infatti, erano state progettate con riguardo alla sola zona pianeggiante.

L’influenza dell’area complessiva sugli indici di cubatura è argomento meramente suggestivo che in tanto potrebbe essere valorizzato in quanto si riconosce la qualificazione edificatoria legale, della quale sembrava lecito dubitare dato la destinazione agricola della zona e sulla quale in ogni caso il giudice si sarebbe dovuto soffermare, mentre la motivazione sul punto risulta del tutto carente. Il carattere edificatorio della zona pianeggiante non poteva desumersi né dal rilascio della licenza di legittimità contestata (senza che il giudice spendesse una parola a giustificazione della operata opzione contro la circostanza incontestata che l’area sorgeva al di fuori della zona edificata di Pozzuoli), né da una edificazione di fatto di cui esulavano chiaramente i presupposti, giacché gli elementi riscontrati erano riconducibili alla suddetta licenza e riguardavano semplici lavori propedeutici all’edificazione; né risultavano in alcun modo insediamenti viciniori. La giustapposizione delle due concorrenti argomentazioni non potrebbe valere a sanare l’intrinseca debolezza di ciascuna di esse perché nel caso in esame un’azione concomitante delle rationes decidendi non è ipotizzabile muovendosi l’una sul piano del diritto, l’altra sul piano del fatto.

se una qualche plausibilità si potrebbe riconoscere alla conclusione del senso dell’edificabilità, rispetto alla zona pianeggiante, la soluzione onnicomprensiva cui hanno acceduto i giudici di secondo grado dipende da un insufficiente approfondimento del dato rappresentato dalla licenza edilizia cui quei giudici hanno creduto sino in fondo, valorizzando l’area impervia per conseguire una maggiore volumetria della porzione intrinsecamente edificabile.

Orbene un ragionamento siffatto si dimostra poco persuasivo alla luce del buon senso (giacché paradossalmente porterebbero ad edificare un grattacielo in un fazzoletto di terra pianeggiante assistito da estesa, inaccessibile montagna); ma non regge nemmeno alla luce dei principi giuridici giacché enfatizza l’errore commesso dai giudici napoletani che non si sono soffermati a valutare se la licenza fosse legittima, rispondendo alla destinazione urbanistica della zona cui si riferiva, pur essendo stati messi sull’avviso circa la pendenza di un ricorso e circa la discrasia fra l’ubicazione in zona rurale come tale legalmente inedificabile, ed il rilascio per un complesso edilizio di notevoli proporzioni. Pertanto, quantomeno sotto il profilo del difetto di motivazione su circostanza decisiva, la postulata edificabilità non potrà essere riconosciuta de plano in sede di rinvio per gli aggiustamenti di valore relativi all’epoca di riferimento della valutazione, da farsi coincidere con la data di scadenza del biennio di occupazione legittima, e si dovrà comunque valutare la legittimità della licenza anche per quanto attiene alla inservienza ai fini dell’applicazione degli indici di edificabilità di area intrinsecamente insuscettibile di edificazione.

Venendo a cadere l’intera motivazione sulla qualificazione edificatoria dell’area, restano assorbite le doglianze che si appuntano contro la valutazione che muove da siffatta qualificazione.

Ovviamente il giudice di rinvio resta libero di procedere alla qualificazione, ma non potrà far discendere l’edificazione, ma non potrà far discendere l’edificazione dai due indici che si sono appena criticati (la “mera” circostanza del rilascio della licenza senza previa deliberazione della sua legittimità; l’effettuazione di semplici lavori di sbancamento in zona nella quale non risultavano essersi verificati insediamenti abitativi).

6. Pure a una pronuncia di assorbimento si deve giungere al terzo motivo del ricorso incidentale della società Tangenziale con la quale si solleva la questione del valore del terreno espropriato, indipendentemente dal carattere edificatorio o meno dello stesso.

Sembra chiaro che, venendo meno i parametri di qualificazione del valore unitario collegati alla quantificazione edificatoria, cade la statuizione che si riferiva al valore agganciato a tale qualificazione; né potrebbe parlarsi di un giudicato interno alla stregua della logica che ha informato la pronuncia della Corte, giusta il principio tantum devolutum quantum appellatum, di cui pertanto non occorre verificare la corretta applicazione, dal momento che il capo sulla quantificazione deve considerarsi dipendente da quello sulla qualificazione, cosicché il venir meno di questo comporta la conseguenziale caducazione di quello.

Il giudizio di rinvio resta, pertanto, aperto sia pregiudizialmente alla qualificazione della area, sia e conseguentemente alla quantificazione del danno come operazione di aestimatio rei.

Il valore venale, indipendentemente dalle raggiunte conclusioni in sede di rinvio sul “se” e sul “quantum” della edificabilità, dovrà essere nuovamente calcolato nella sua assolutezza, non potendo venire in considerazione, ai fini risarcitori, i condizionamenti e le limitazioni che tal valore potrebbe incontrare nel contesto del procedimento espropriativo.

7. A conclusione di rigetto deve pervenirsi de plano per quanto attiene al IV motivo la cui epigrafe richiama norme del procedimento espropriativo che più non possono essere invocate nell’ottica puramente risarcitoria che governa la fattispecie e la cui violazione non è pertanto deducibile per ottenere la cassazione della sentenza.

Si lamenta l’avvenuta rivalutazione della spesa sostenuta per la creazione della strada di accesso alla residua proprietà Montebarbaro, sostenendo che, trattandosi di componente dell’indennità di espropriazione, la rivalutazione non era giuridicamente corretta. E’ evidente che la rivalutazione spesa ove si ragioni, come si deve in termini risarcitori, muovendosi sul piano della riparazione di tutti i danni conseguiti all’illecito. Sul punto, quindi, non avrà ragione di pronunciare ulteriormente il giudice di rinvio, trattandosi di componenti del danno sul cui ammontare non c’é discussione e la rivalutazione che, quale che fosse la corretta soluzione da adottare alla stregua delle leggi sulla espropriazione, è ratificata dall’inquadramento della fattispecie in termini risarcitori.

8. Resta da esaminare la posizione del Palmidoro. Costui, appaltatore dei lavori che la società Montebarbaro intendeva effettuare, vantando un credito di Lire 130.000.000 verso la società stessa, si era reso cessionario sino alla concorrenza della suddetta somma, dei crediti che discendevano dall’intervenuta espropriazione, e-o illecito verso la società Tangenziale. Ed in tale qualità è intervenuto in giudizio. Il Tribunale, pur dichiarando ammissibile l’intervento, ne ha rigettato la domanda. La Corte di Appello ha distinto indennità di espropriazione e risarcimento danni da occupazione illegittima, attribuendogli solo la somma liquidata a favore del cedente a tale titolo.

Col primo motivo del ricorso incidentale l’appaltatore spiega sostanzialmente adesione al primo motivo del ricorso della Montebarbaro, mirando a conseguire l’integrale soddisfazione della parte residua del credito ceduto, una volta acclarato che il titolo di tale credito è risarcitorio, attraverso una pronuncia che formalmente ed espressamente riconosca tale suo diritto.

Col secondo motivo, che deve ritenersi logicamente condizionato al mancato accoglimento del primo, anche se tale condizionamento non risulta formalmente esteriorizzato si censura la sentenza per avere negato l’azionabilità della pretesa rispetto all’indennità espropriativa vincolata intangibilmente per effetto dell’avvenuto deposito presso la Cassa depositi e prestiti.

Si pone, anzitutto, al riguardo un problema di ammissibilità del ricorso non tanto per quanto attiene all’autonomia delle censure, trattandosi di sentenza non notificata rispetto alla quale la data notifica del ricorso principale funge da dies a quo, sicché entro i quaranta giorni è possibile spiegare l’intero ventaglio delle censure (ed in tal senso non si è dubitato di poter prendere in esame i motivi di ricorso autonomo della società Tangenziale NAPOLI) quanto piuttosto in relazione alla verifica della sussistenza dell’interesse al ricorso.

Tale interesse va riconosciuto sub specie di adesione alla tesi sostenuta dal ricorrente principale circa la natura risarcitoria della pretesa fatta valere in giudizio, poiché in tale caso il capo di decisione che attribuisce al Palmidoro il credito ceduto, sino alla concorrenza di 130.000.000,soltanto limitatamente alla componente risarcitoria, incontrerebbe più ampia estensione satisfattiva, risultando insoddisfatto solo nell’eventualità che i danni liquidati a favore della società Montebarbaro non raggiungessero tale ammontare. In effetti anche a volere ravvisare un nesso di necessaria dipendenza fra il capo che liquida i danni in un certo ammontare e quello che il relativo ammontare devolve al creditore del danneggiato, sembra fuori dubbio, proprio in dipendenza di questo nesso, che al cessionario deve essere consentito di battersi per fare accogliere la tesi per lui più favorevole, chiedendo al giudice di pronunciare in ordine alla necessaria correlazione fra l’ammontare dei danni che saranno riliquidati in sede di rinvio, e la corrispondente, dilatazione sino alla concorrenza del credito residuo di L. 123.857.000. Né potrebbe riduttivamente negarsi interesse a questo ulteriore profilo del motivo, che intende attualizzare una relazione implicita nella logica della decisione impugnata. Sembra, infatti, al Collegio che l’accrescimento di una eventuale condanna per danni a carico della Tangenziale, di cui il Palmidoro verrebbe ad avvantaggiarsi, non avrebbe modo di operare senza incertezze al livello di interpretazione del titolo esecutivo se il relativo capo non venisse attaccato e rimosso di dipendenza che nel caso di specie dovrebbe paradossalmente acquistare efficacia sostitutiva, il che esula dalla logica della dipendenza che comporta sempre e solo un nesso educatorio.

Correttamente, pertanto, il Palmidoro prende le mosse, quale necessario presupposto, dalla adesione al primo motivo del ricorso principale, traendone illazioni che specificano la sua censura volta all’applicazione del principio risarcitorio al capo di sentenza che pure riconoscendo la validità della cessione per tutta l’estensione della condanna, tale condanna circoscrive a poco più di sei milioni (questo essendo l’ammontare dei danni riconosciuti dal giudice di appello). Il cessionario, per non correre il rischio di una interpretazione del giudicato contrario all’estensione sostitutiva della pretesa, non si limita ad aderire al motivo di ricorso altrui, ma formula un conseguenziale motivo di ricorso proprio e chiede che “l’estensione” sia formalizzata da questa Corte, nel senso che alla cassazione della sentenza della Corte di Appello di Napoli, laddove estende il risarcimento globale (anzi meglio, laddove riconduce l’intera fattispecie nella sfera dell’illecito), faccia corrispondere anche la cassazione del capo che specificamente lo concerne, laddove limita poco più di sei milioni il quantum della cessione, tale essendo il quantum della condanna della Tangenziale a titolo di danni.

Tanto basta a giustificare in termini di interesse il ricorso, poiché un margine di rischio non potrebbe negarsi alla futura soddisfazione del maggior credito in ipotesi riconosciuto dal giudice a titolo di risarcimento dei danni.

Ne consegue che il ricorso del Palmidoro è tempestivo ed è ammissibile per quanto riguarda l’interesse alla proposizione del gravame. La fondatezza della censura è evidente perché si tratta e di portare la cassazione della sentenza alle sue logiche implicazioni conseguenziali. La decisione di omettere in sede di rinvio, nell’armonia dei suoi capi, dovrà comportare corrispondenza fra l’ammontare del risarcimento danni ed il tetto della cessione che di tale futuro risarcimento è stata operata.

Del tutto scontata appare, infine, l’assorbimento del secondo motivo del ricorso incidentale.

In effetti in tanto ha senso lamentarsi che la cessione non sia stata ritenuta operativa rispetto all’indennità di espropriazione in quanto la vicenda venga impostata lasciando spazio all’indennità medesima in funzione del decreto espropriativo tardivamente intervenuto; ma accolta la soluzione indicata della S.U. di questa Corte (la quale priva di un qualsiasi effetto il decreto intervenuto a termine di occupazione scaduta già si è verificata la modificazione irreversibile del fondo con la costruzione dell’opera pubblica) e ricondotta tutta la fattispecie nell’alveo dell’illecito, non vi è ragione di muovere una doglianza ormai priva di base, avendo il ricorrente principale già conseguito il suo scopo che era quello di soddisfarsi sul risarcimento, e indennizzo, fino al tetto della cessione operata a suo favore.

9. In conclusione, riuniti i ricorsi che riguardano tutti la medesima sentenza, ai sensi dell’art. 335 CPC, deve essere accolto il 1° motivo del ricorso principale della società a responsabilità limitata Montebarbaro City srl, con assorbimento del 2° motivo; del ricorso incidentale della spa Tangenziale Napoli ha accolto il 2° motivo, con assorbimento del 3° e rigetto del 1° e 4° mezzo.

Egualmente fondato risulta il primo motivo del ricorso incidentale del Palmidoro, con assorbimento del secondo.

In relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata viene cassata, con rinvio della causa ad altra sezione della medesima Corte di Appello di Napoli che, in relazione all’esito finale del giudizio, provvederà alla liquidazione delle spese, anche per quanto riguarda la presente fase di cassazione.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione:
1. riunisce i ricorsi N. 9069-82, 456-83 e 788-83 sotto il numero più antico;
2. accoglie il primo motivo del ricorso principale della srl Montebarbaro City, dichiarando assorbito il 2° motivo del ricoso medesimo;
3. accoglie il 2° motivo del ricorso incidentale della spa Tangenziale Napoli, rigettando il 1° motivo e il 4° motivo e dichiarando assorbito il terzo;
4. accoglie il 1° motivo del ricorso incidentale Palmidoro, dichiarando assorbito il 2° motivo.
5. cassa l’impugnata sentenza, in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli cui demanda altresì la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
Roma, 8-7-85 DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 GENNAIO 1986