Svolgimento del processo

Con atto notificato i l23 dicembre 1973, Cesira Buttignon in proprio e quale rappresentante legale dei minori Maria Federica ed Ettore Ferrari Frey, eredi del defunto Gina Giacomo Ferrari Frey, citava il Comune di Roma davanti al Tribunale di Roma per sentire dichiarare la retrocessione di un immobile espropriato, già di proprietà di Gian Giacomo Ferrari Frey, costituito da un’intera costruzione addossata alle Mura Aureliane, con fronte su Via Piave, ai numeri civici 69, 71 e 73, della città di Roma.

Detto immobile era stato espropriato, insieme ad altri contigui immobili, tutti di proprietà del su menzionato Gian Giacomo Ferrari Frey, con decreto del Prefetto di Roma del 31 dicembre 1965, ai sensi della legge n. 2359 del 1865, ma non era stato poi utilizzato per la esecuzione dell’opera pubblica, in vista della quale era avvenuta l’espropriazione, riguardante la sistemazione viaria di piazza Fiume e la realizzazione del verde pubblico nell’area espropriata.

Gli attori facevano presente, nell’atto di citazione, che l’espropriato, poi deceduto, aveva provveduto a notificare due atti di intimazione formale al Prefetto, l’ultimo dei quali in data 17 marzo 1967, perché determinasse con decreto i beni rimasti inutilizzati ai fini della loro conseguente retrocessione parziale; e che il Prefetto, con nota dell’8 gennaio 1970, in relazione alle richieste avanzate dall’espropriato, aveva precisato (1) che il bene in oggetto doveva stimarsi non più utilizzabile per l’esecuzione dell’opera pubblica che aveva giustificato l’espropriazione: con la conseguente applicazione dell’art. 63 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, e quindi senza alcun dovere per l’autorità amministrativa di provvedere, essendo in siffatta ipotesi la risoluzione della controversia rimessa al giudizio dell’A.G.O.

Il Comune di Roma eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, rilevando che la descritta situazione di fatto e di diritto del ben controverso era ascrivibile alla fattispecie prevista dagli artt. 60 e 61 della legge n. 2359 del 1865, riferentesi alla retrocessione parziale degli immobili espropriati che non abbiano ricevuto in tutto o in parte la prevista destinazione, e non a quella di cui all’art. 63 della stessa legge, riguardante l’ipotesi di decadenza dell’ottenuta dichiarazione di pubblica utilità in seguito all’inutile decorso dei termini stabiliti per l’esecuzione dell’opera, senza che questa sia stata realizzata.

Dopo la costituzione in giudizio di Maria Federica ed Ettore Ferrari Frey, divenuti nel frattempo maggiorenni, e dopo l’intervento volontario di Maria Maddalena e Maria Carolina Ferrari Frey, nella loro qualità di coeredi del defunto Gian Giacomo Ferrari Frey, l’adito Tribunale di Roma, con sentenza 10 – ottobre 1980 – 12 maggio 1981, dichiarava improponibile la domanda per difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Nella specie, invero, secondo il Tribunale, era risultato dalla documentazione in atti, dall’ispezione dei luoghi e dalle ammissioni contenute nell’atto di citazione e nelle due diffide inviate al Prefetto, che l’opera pubblica in vista della quale era avvenuta l’espropriazione – consistente nella sistemazione viaria di piazza Fiume e nella realizzazione del verde pubblico nella area espropriata

– era stata eseguita, utilizzando la consistenza di tutti i beni espropriati ed eccezione della sola area su cui insisteva la costruzione indicata nella domanda di retrocessione.

Pertanto, trattandosi di beni residuati all’esecuzione dell’opera pubblica la fattispecie integrava un’ipotesi di retrocessione parziale, rispetto alla quale può configurarsi a favore del privato soltanto un interesse legittimo e che la competente autorità amministrativa riconosca che i beni non utilizzati non servono più all’opera pubblica, con discrezionalità di apprezzamento che non può essere sostituito da un accertamento del giudice ordinario.

Né in contrario poteva essere utilmente invocato il provvedimento che, in relazione alle intimazioni dell’espropriato, tendenti ad ottenere la declaratoria che l’immobile più non serviva alla realizzazione dell’opera pubblica, era stato emesso dal Prefetto di Roma, con la sua menzionata nota dell’8 gennaio 1970.

Il citato provvedimento, contraddittorio nella motivazione, era infatti palesemente illegittimo, laddove pur riconoscendo l’avvenuta parziale esecuzione dell’opera pubblica, aveva poi ritenuto – erroneamente – applicabile l’art. 63 della legge su indicata, riguardante la diversa ipotesi in cui l’intera opera pubblica sia rimasta ineseguita, omettendo ogni esame dello scopo per il quale l’espropriazione era intervenuta e del dato di fatto – peraltro pacifico tra le parti – che detto scopo era stato invece realizzato, anche se non tutti i beni avevano avuto la prevista destinazione.

L’errata valutazione della fattispecie – che avrebbe dovuto essere correttamente inquadrata nella previsione dell’art. 60 e non in quella dell’art. 63 e la cui errata qualificazione avrebbe dovuto formare oggetto di apposita impugnativa da parte dei privati interessati davanti al giudice amministrativo – non era quindi vincolante e doveva, pertanto, essere disapplicata, per la sua rilevata illegittimità, dal giudice ordinario.

Con riferimento alla su indicata sentenza, che ha statuito sulla sola giurisdizione, depositata il 12 maggio e notificata il 28 luglio 1981, hanno proposto regolamento di giurisdizione, con ricorso notificato il 10 ottobre 1981, articolato in un unico mezzo, Cesira Buttignon nonché Maria Maddalena ed Ettore Ferrari Frey. Il ricorso è stata successivamente notificato, in data 9 e 24 giugno 1983, anche ai litisconsorti Maria Carolina e Maria Federica Ferrari Frey, in esecuzione dell’ordinanza pronunciata da questa Corte all’udienza del 21 aprile 1983.

Il Comune di Roma resiste con controricorso, che è stato peraltro notificato il 13 settembre 1982.

Sia i ricorrenti che il resistente hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

Va preliminarmente rilevato che il regolamento di giurisdizione è ammissibile essendo la relativa istanza preclusa solo dall’intervenuta decisione di merito in primo grado o dall’avvenuto passaggio in casa giudicata formale della sentenza di primo grado che abbia deciso sulla giurisdizione; mentre, nella specie, esso è stato proposto il 10 ottobre 1981, in pendenza del termine legale per interporre appello avverso la medesima sentenza che ha statuito sulla sola giurisdizione, essendo stata tale sentenza notificata il 28 luglio 1981. (V. sent. nu. 3083 e 3441 del 29 ottobre e del 25 novembre 1971).

Va poi rilevato che il controricorso del Comune è inammissibile per essere stato notificato il 13 settembre 1982, e quindi oltre il termine stabilito dall’art. 370 cod. proc. civ., tenuto conto che il ricorso è stato notificato al Comune il 10 ottobre 1981.

Il ricorso è fondato.

Al riguardo occorre premettere che, con riferimento a un’istanza del 9 dicembre 1966 e a una successiva diffida del 17 marzo 1967 rivolte al Prefetto di Roma di Gian Giacomo Ferrari Frey (dante causa degli attuali ricorrenti), tendenti ad ottenere la dichiarazione di non utilizzabilità di una parte dei beni espropriati con il decreto prefettizio n. 16583 del 13 dicembre 1965, la Prefettura di Roma, con nota n. 19452-2.90.22 dell’8 gennaio 1970, diretta agli attuali ricorrenti e per conoscenza al Sindaco del Comune di Roma, dopo avere accertato che la zona in cui sorgeva il fabbricato, della cui retrocessione si controverte, già destinata a parco pubblico secondo il piano particolareggiato approvato con r.d. 14 settembre 1939, in esecuzione del p.r.g. approvato con la legge 24 marzo 1932 n. 355, non risultava interessata dalla variante bis al p.p. n. 89, approvata con d.p.r. 15 dicembre 1965 n. 1593, rilevava, da un lato, che secondo le previsioni del nuovo piano regolatore generale approvato con d.p.r. 16 dicembre 1965 n. 1642 l’immobile medesimo ricadeva in zona stralciata dall’approvazione e che, dall’altro, secondo le previsioni della variante al menzionato n. p.r.g., adottata dal Consiglio Comunale in data 17 ottobre 1967, l’intero comprensorio era stato destinato a zona C “ridimensionamento viario ed edilizio” con densità 400 ab-ha.

Sulla base di tali premesse la Prefettura di Roma, con la nota su richiamata, escludeva quindi che lo immobile richiesta in retrocessione potesse riguardarsi come sopravvanzo (relitto) dopo il compimento dell’opera prevista dal p.p. n. 89: e ciò in quanto tale opera non era stata né poteva essere più compiuta a seguito dello stralcio della zona “de qua” dal nuovo p.r.g. e della nuova destinazione per essa prevista dalla variante al detto n.p.r.g. approvata il 17 ottobre 1967; e riteneva pertanto che, dovendo la fattispecie ricondursi nella previsione dello art. 63 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, il diritto alla retrocessione per effetto dell’avvenuta decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, già inerente al precedente p.r.g. e al p.p. n. 89, non fosse condizionato a pronuncia dell’autorità amministrativa, pervenendo in tal modo alla conclusione che, non ricorrendo l’ipotesi di cui agli artt. 60 e 61 della citata legge 25 giugno 1865 n. 2359, non vi fossero provvedimenti da adottare da parte della Prefettura sulle istanze del su menzionato Gian Giacomo Ferrari Frey.

Tale conclusione veniva adottatta con espresso riferimento al principio affermato da questa Corte con la sentenza n. 2693 del 18 novembre 1961, secondo cui “la differenza tra le due forme di retrocessione, previste rispettivamente negli artt. 60, 61 e 63 della legge 25 giugno 1865 n. 2359 non è data dal carattere parziale o totale della retrocessione, ma è costituita dalla natura della situazione sopravvenuta” cosicché “se la variante contenuta in un nuovo piano particolareggiato incide sulla destinazione di alcuni dei beni espropriati, in base al piano particolareggiato originario, ai beni stessi è applicabile l’art. 63”.

Al lume degli elementi di fatto e di diritto concretamente acquisiti e vagliati dalla Prefettura di Roma – di cui alla su richiamata nota dell’8 gennaio 1970 – appare evidente che la domanda che è stata proposta dagli attuali ricorrenti si riferisce alla retrocessione di un bene che era stato espropriato (2) in base a un piano particolareggiato non suscettibile di essere più realizzato ed attuato, sia pe la sua rilevata incompatibilità col nuovo assetto urbanistico che sarebbe stato impresso alla zona in cui si trova il bene espropriato in base alla variante deliberata dal Consiglio Comunale il 17 ottobre 1967, sia – e quindi anche a prescindere dalla prescritta approvazione di tale ultima variante – per essere stato comunque detto piano particolareggiato privato definitivamente della sua efficacia il 31 dicembre del 1972 (data di scadenza dell’ultima proroga dell’efficacia dei piani particolareggiati relativi al piano regolatore generale di Roma del 1931, disposta dapprima con il d.l. 29 marzo 1966 n. 128 convertito nella legge 26 maggio 1966 n. 311 e quindi con la legge 26 febbraio 1969 n. 31, pur dopo l’approvazione, con d.p.r. del 16 dicembre 1965, n. 1642, del nuovo piano regolatore generale, nei limiti della conformità alle linee e alle prescrizioni di zona da questo stabilite; (V. sent. n. 3353 del 9 ottobre 1976; (3) n. 3632 del 30 ottobre 1968; n. 1679 del 28 giugno 1966) con conseguente impossibilità di dare più concreta attuazione alla destinazione in vista della quale era stata disposta la espropriazione dell’immobile, di cui era stata domandata la retrocessione.

la domanda proposta dai ricorrenti ha quindi per oggetto l’accertamento di una pretesa fondata su di una situazione giuridica, obiettivamente rilevabile indipendentemente da qualsiasi valutazione discrezionale della pubblica amministrazione, a cui non può non riconoscersi – avuto riguardo all’assetto normativo astrattamente riservato dal nostro ordinamento alla fattispecie in cui deve essere inquadrato il rapporto dedotto in giudizio – quella particolare consistenza di diritto soggettivo che per essa è stata, invece, esclusa dai giudici del merito per negare la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Ed invero, a differenza della retrocessione ex art. 60 e 61 della legge 25 giugno 1865 n. 2359 – che nell’ipotesi di inutilizzabilità del bene espropriato e al fine di contenere il sacrificio dei proprietari espropriati nei limiti richiesti dall’interesse generale, qualora la inutilizzabilità consegue all’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica e riguardi un singolo bene o una sua parte, laddove si richiede un apprezzamento discrezionale autoritativo della pubblica amministrazione circa la utilità del relitto, a fronte del quale l’espropriato può vantare solo una posizione di interesse legittimo – nel caso in cui la inutilizzabilità dipende da un evento sopravvenuto che, escludendo con certezza la possibilità di destinare il bene espropriato alla realizzazione dell’opera in vista della quale fu emessa la dichiarazione di pubblica utilità, renda giuridicamente ineseguibile l’opera programmata sui beni espropriati, viene meno il presupposto del provvedimento ablatorio ed in privato diventa per ciò stesso titolare di un diritto soggettivo alla restituzione (V. sent. 4 marzo 1966 n. 634, 30 ottobre 1968 n. 3632; 20 maggio 1969 n. 1757; 31 luglio 1969 n. 2908).

Ciò comporta che nelle espropriazioni disposte in attuazione di un piano particolareggiato o di una variante, l’approvazione di una successiva variante che incida sulla destinazione dei beni espropriati, ma non utilizzati, liberandoli da ogni vincolo espropriativo o destinandoli a un’opera affatto diversa ovvero la sopravvenuta scadenza del termine di efficacia dello stesso piano particolareggiato o della variante, in base a cui fu decretata la espropriazione e la conseguente impossibilità di dare ai beni espropriati la prevista destinazione, fanno venire meno rispetto a tali beni la specifica causa di interesse pubblico per la quale sono stati appresi.

La variante o la sopravvenuta inefficacia del piano originario, in base a cui fu disposta la espropriazione, comportano infatti la revoca della precedente dichiarazione di pubblica utilità in ordine alle previsioni del piano sostituite o caducate, con la conseguenza che, non essendo più possibile dare agli immobili la destinazione prevista nel decreto di espropriazione e non attuata, si determina una situazione di giuridica inutilizzabilità degli stessi che attribuisce al privato il diritto di pretenderne la retrocessione, ai sensi dell’art. 63 della citata legge n. 2359 del 1865, salva la facoltà della pubblica amministrazione di promuovere una nuvola e diversa espropriazione in base al mutato assetto urbanistico della zona in cui ricadono i beni espropriati (V. Sent. 6 febbraio 1984 n. 870; 7 maggio 1965 n. 836).

Pertanto, in accoglimento della instanza, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.

Il resistente Comune di Roma va conseguentemente condannato alle spese del regolamento – nella misura indicata nel dispositivo – e ai relativi onorari che si liquidano in lire un milione e cinquecentomila lire.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione Sezioni Unite Civili dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e condanna il Comune di Roma alle spese – che si liquidano in lire 202.920 – nnoché al pagamento di lire 1.500.000 a titolo di onorari.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 1985.
(1) precisato
(2) espropriato
(3) (V. sent. n. 3353 del 9 ottobre 1976;

Si approvano le tre postille che precedono
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 16 GENNAIO 1986