Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 2.9.1976 il condominio (OMISSIS) in persona dell’amministratore pro-tempore convenne in giudizio innanzi al Pretore di Padova S.G., condomino di tale stabile, chiedendo che il convenuto fosse condannato ad eliminare i serramenti in alluminio anodizzato che lo stesso aveva, applicato alle finestre del proprio appartamento, in difformità dalle precise disposizioni del regolamento condominiale.

Il convenuto, costituitosi, contestò la domanda.

L’adito Pretore, con sentenza 28.9.1977, rigettò la domanda sul rilievo che non risultava allegata agli atti del regolamento condominiale che si assumeva violato.

Tale decisione, gravata di appello dal condominio (OMISSIS), venne riformata dal Tribunale di Padova che, con sentenza degli 11.12.1979 – 29.1.1980, condannò lo S. a rimuovere gli infissi posti in opera nelle aperture del proprio appartamento i giudici di appello osservarono che era pacifico che lo S. aveva posto in essere nelle aperture del proprio appartamento degli infissi in metallo anodizzato all’esterno degli infissi di cui era dotato, sin dalla costruzione ed al pari degli altri enti, l’appartamento stesso; che il regolamento del condominio già all’epoca vigente prescriveva l’obbligo del condomino di rispettare le decisioni dell’assemblea allo scopo di non alterare con innovazioni l’estetica originaria dell’edificio con riferimento ad avvolgibili, finestre, serrande, poggioli e parapetti; che tale norma, pertanto, subordinava ad autorizzazione condominiale l’esecuzione di opere idonee ad alterare l’estetica dell’immobile anche se relative ai descritti oggetti di proprietà esclusiva dei singoli condomini; che nel corso dell’assemblea 18 giugno 1973, deliberando sulla richiesta del condomino F. di installare doppi vetri, l’assemblea aveva respinto tale richiesta suggerendo ai condomini interessati di applicare i doppi vetri sulle porte in douglas interne degli appartamenti e che tale deliberazione equivaleva a decisione di carattere generale di non autorizzare opere del tipo di quella poi eseguita dallo S.; che era quindi evidente l’illiceità del comportamento dell’appellato per la descritta violazione della norma ci regolamento; che tale regolamento era stato approvato (vedi verbali del 22 e 25 settembre 1972) con maggioranze largamente superiori a quelle minime di legge; che la disposizione non poteva ritenersi illegittima perchè posta in violazione dei diritti dei singoli condomini in quanto invece conteneva una limitazione dei poteri dei proprietari perfettamente giustificata e lecita a norma dell’art. 1138 c.c. dov’è disposto che il regolamento di condominio contiene tra lo altro disposizioni a tutela del decoro dell’edificio e la norma in questione rientrava in tale categoria; che erano altresì infondate le considerazioni dell’appellato in ordine alla pretesa illegittimità della Delib. 20 febbraio 1976 con cui l’assemblea aveva deciso di agire nei suoi confronti, delibera che era stata poi confermata con altra del 12 marzo 1976; che era irrilevante l’argomentazione dell’appellato che la condomina Fr. non sarebbe mai stata convocata in assemblea in quanto lo S. non aveva interesse alla deduzione e comunque la Fr. era moglie del F. per cui era evidente che le convocazioni recapitate a quest’ultimo al domicilio coniugale dei F.- Fr. avevano raggiunto lo scopo di mettere entrambi i proprietari in grado di partecipare alle assemblee anche se formalmente indirizzate al solo Fr.; che infine andava rammentato l’onere di impugnativa delle Delibere assembleari posto dall’art. 1137 c.c. onere che non risultava essere stato tempestivamente assolto dall’appellato.

Avverso tale decisione lo S. ha proposto ricorso, chiedendone la cassazione per un motivo, illustrato con memoria.

Il condominio (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

In controricorso il condominio resistente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, non essendo state indicate espressamente, nei motivi di ricorso, le norme di legge su cui i motivi stessi si fondano e in che consista la violazione di legge denunciata.

Tale eccezione è però, infondata, in quanto il ricorrente, appunto nel corso della esposizione dell’unico motivo di gravame, ha denunciato la violazione degli artt. 1102, 1120 e 1122 c.c. ed ha ampiamente enunciato – come subito si dirà – in che consista tale violazione e come essa abbia influito sulla soluzione accolta dalla decisione impugnata.

Come si è accennato, il motivo di ricorso è, unico ma esso contiene in effetti tre di stinte censure e cioè:

a) i giudici di merito hanno erroneamente interpretato il regolamento condominiale nel senso che esso vieti l’opera creata dallo S.: invece, il regolamento si limita a vietare innovazioni che possano compromettere l’estetica dello edificio ed affida, all’assemblea, in proposito, un giudizio tecnico, all’esito del quale tale organo può vietare la specifica opera ove la ritenga contraria all’estetica dell’edificio; nella fattispecie tale giudizio tecnico non è stato affatto espresso dall’assemblea;

b) nemmeno è esatto che l’applicazione delle doppie finestre sia illegittima perchè vietata dall’assemblea dell’8.6.1973: infatti tale assemblea non deliberò alcunchè in ordine alle doppie finestre dello S. ma si limitò a vietare tale opera ad altro condominio;

c) incomprensibilmente i giudici di merito hanno rilevato che la Delibera su indicata non era stata impugnata nei termini di cui all’art. 1137 c.c.: infatti all’epoca lo S. non era ancora condomino e quindi non poteva impugnare tale Delibera.

Le censure del ricorrente non sono fondate.

Va premesso che i giudici di merito, interpretando il regolamento condominiale approvato con le maggioranze di legge dai condomini dello stabile de quo nonchè la Delib. 8 giugno 1973, hanno ritenuto che il regolamento abbia rimesso ad autorizzazione dell’assemblea l’esecuzione di opere idonee ad alterare l’estetica dell’immobile anche se relative ad avvolgibili, finestre, serrande, poggioli e parapetti di proprietà esclusiva dei condomini e che l’assemblea dell’8.6.1973, deliberando sulla richiesta di installazione di doppi vetri fatta dal condomino F., abbia deciso, oltre che di respingere tale richiesta, di stabilire una norma di carattere generale e cioè di vietare la creazione dei doppi vetri cioè appunto l’opera che poi è stata realizzata dal ricorrente.

I giudici di appello, quindi, non hanno affatto affermato che tale opera fosse vietata direttamente dal regolamento condominiale, ma hanno affermato che il regolamento delegò all’assemblea il relativo potere e che tale potere venne esercitato, in linea generale e preventiva, con la Delib. 8 giugno 1973.

Orbene, la tesi del ricorrente che il regolamento abbia subordinato il divieto di nuove opere relative alle finestre ed agli altri manufatti “esterni” ad un giudizio tecnico da emettersi di volta involta dall’assemblea cozza contro la diversa interpretazione del regolamento operata dai giudici di merito e, non essendo indicati vizi di motivazione nè violazione di canoni ermeneutica, non costituisce critica prospettabile come motivo di ricorso in sede di legittimità, trattandosi di indagine di fatto.

Inoltre il ricorrente non censura nemmeno l’affermazione (anch’essa frutto di valutazione di puro fatto) dei giudici di merito che la Delib. 8 giugno 1973 stabilì un principio di carattere generale, valevole anche per il futuro: in conseguenza, resta vana la doglianza del ricorrente che siano mancate, in ordine alla opera da lui creata, un’indagine nonchè una valutazione specifica da parte dell’assemblea, in quanto tutto ciò non occorreva, avendo a priori tale organo condominiale vietato qualsiasi opera del genere ai condomini.

Ciò premesso, si rileva che in base all’art. 1138 c.c., comma 1, rientra nell’ambito del contenuto del regolamento condominiale l’emanazione di norme che attengono all’amministrazione delle cose e dei servizi comuni nonchè alla tutela del decoro dell’edificio.

Tale ultima tutela in realtà non esorbita affatto dall’ambito dell’ordinaria amministrazione dei beni comuni poichè il decoro dell’edificio è esso stesso un bene alla cui conservazione sono interessati tutti i condomini (tanto è che l’art. 1120 c.c. vieta espressamente qualsiasi innovazione che alteri il decoro architettonico dell’edificio), ma il fatto che la legge abbia espressamente menzionato tale particolare bene dimostra che essa ha voluto che specificamente sia tutelato nel regolamento condominiale il decoro architettonico dello stabile.

Orbene, la realizzazione di tale tutela implica necessariamente l’insorgenza di limiti riguardanti l’uso ed il godimento non solo delle parti comuni ma anche delle parti di proprietà elusiva site nell’edificio: ben può avvenire infatti che lo svolgimento di attività che un condomino compia entro i limiti degli ambienti di sua esclusiva proprietà si ripercuota al di là di tali limiti ed incida sugli interessi di tutti ed è proprio questa l’ipotesi di modifiche o installazioni che vengano create da un condomino sulle aperture (finestre, balconi, verande) od altri accessori esterni (avvolgibili, serrande) di sua proprietà esclusiva e che possano turbare la linea estetica dell’edificio, così come può avvenire in relazione a modifiche o installazioni create da uno o più condomini sui muri esterni dello stabile, corrispondenti o meno ai vani di proprietà esclusiva.

Pertanto, allorchè, al fine della tutela del decoro estetico dell’edificio, si disciplinano le facoltà che ogni condomino ha in relazione al suo piano o porzione di piano (così come quello che egli ha in relazione ai beni comuni), non si violano affatto i diritti dei condomini quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, diritti che (vedi art. 1138 c.c., u.c.) il regolamento non può violare ma si resta nell’ambito dei limiti delle norme regolamentari: infatti il diritto del singolo condomino all’utilizzazione dei beni comuni e dei beni in proprietà esclusiva trova il suo fondamento nonchè il suo limite nel combinato disposto degli artt. 1102, 1120 e 1122 c.c. (dei quali l’ultimo fa espresso divieto di porre in essere sulla cosa propria opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio), che escludono che il singolo possa con i suoi atti pregiudicare quegli interessi comuni che la legge, in tema di condominio, espressamente tutela e tra i quali è espressamente indicato l’interesse alla conservazione del decoro dell’edificio.

Stabilito quindi che legittimamente il regolamento condominiale può disciplinare, nell’interesse comune, ed in particolare a tutela del decoro estetico dell’edificio, le facoltà dei singoli condomini in relazione all’uso ed al godimento sia delle parti comuni che delle parti in proprietà esclusiva, si pone il problema di accertare se il regolamento debba necessariamente fissare in modo diretto le norme in materia ovvero possa delegare tale compiuto all’assemblea del condominio.

Orbene, la risposta non può essere se non nel senso dell’ammissibilità di tale delega, dato che, in base agli artt. 1105, 1135 e 1139 c.c., rientra appunto nei compiti dell’assemblea la gestione delle cose e dei servizi comuni e quindi la disciplina della conservazione e manutenzione di tali cose e servizi, del modo in cui deve esercitarsi da parte di ciascuno il godimento di essi, degli atti necessari per la tutela di comuni interessi (tra i quali quello del decoro dell’edificio), delle modifiche e nuove opere che abbiano per scopo di migliorare le parti comuni e renderne per tutti più comodo e redditizio l’uso; in tale ambito, poichè il godimento dei beni (e servizi) comuni può venire pregiudicato anche da atti compiuti dal singolo condomino nell’ambito della sua proprietà esclusiva, rientra nei poteri dell’assemblea la disciplina di tali atti ove essi possano incidere su interessi comuni tutelati dalla legge.

Infatti con sentenza n. 2904 del 22.7.1976 questa Suprema Corte ha escluso che una norma di regolamento condominiale, secondo cui era richiesto il consenso dell’assemblea per l’apposizione di insegne sui muri perimetrali dell’edificio, costituisse una menomazione dei diritti dei singoli condomini, rilevando che tale norma atteneva all’uso ed al godimento di una parte comune dell’edificio, per cui la legge prevede la disciplina mediante deliberazione dell’assemblea: tale principio è ovviamente valido anche in tema di opere che, pur incidendo su beni in proprietà esclusiva, mettano in pericolo interessi comuni tutelati dalla legge, tra cui quello al decoro dell’edificio, interesse che in effetti costituisce un particolare aspetto del godimento dei beni e servizi comuni.

Poichè quindi rientra nei poteri dell’assemblea il disciplinare, al fine della tutela del decoro dell’edificio, l’uso delle parti esterne dell’edificio stesso (siano tali parti di proprietà condominiale o particolare), ne consegue che l’eventuale impugnativa, da parte del condominio che contesti la valutazione dell’assemblea che abbia ritenuto la contrarietà al decoro di una data opera e l’abbia vietata, va proposta nei termini di cui all’art. 1137 c.c., trattandosi di delibera che rientra nei poteri dell’assemblea e non lede i diritti di godimento dei singoli condomini (essendo tali diritti esercitabili fino e non oltre il limite del loro contrasto con il rispetto del decoro dell’edificio).

Orbene, nella fattispecie, la Delib. 8 giugno 1973, con la quale venne posto il divieto generale e preventivo di porre doppi vetri alle finestre, non venne affatto impugnata nei termini sopra indicati e quindi appare improponibile l’attuale azione dello S., e nulla rilevando la circostanza che all’epoca della delibera il predetto non fosse ancora condomino in quanto è ovvio che gli aventi causa dagli originari condomini restano vincolati dalle delibere che concernono gli interessi comuni del condominio e che sono state prese a suo tempo, legittimamente, dall’assemblea del condominio.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Consegue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in L. 306.900, di cui L. 300.000 per onorario.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 1982.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 1982