Svolgimento del processo

Con sentenza 3.7-29.9.1981 la Corte di appello di Palermo in accoglimento della impugnazione proposta da Antonio Fici, Francesco Puglisi e Cono Favazzo nei confronti di Maria Antonietta Di Bella e Culicchia Giuseppa avverso la sentenza 27.11.1978-25.1.79 del Tribunale di Marsala, che aveva condannato la Di Bella e la Culicchia rispettivamente al pagamento della somma di L. 3.568.875 e di L. 3.244.441 erogate dai condomini attori per la esecuzione delle opere di consolidamento delle strutture dell’edificio in Marsala a Via XI Maggio oltre agli interessi legali dalla domanda, condannò le appellate al pagamento delle ulteriori somme di L. 3.838.899 e rispettivamente di L. 4.165.100 relativa ai lavori di consolidamento dello stess’edificio condominiale eseguiti per necessità strutturali dell’immobile negli appartamenti di proprietà di ciascuna e agli interessi bancari erogati sulle somme prelevate dall’amministratore del condominio presso la Banca Popolare di Marsala e tuttavia ridotti al 10% alla stregua dei tassi correnti all’epoca; dichiarava inammissibile come proposto oltre la prima udienza destinata alla costituzione delle parti l’appello incidentale proposto dalla Di Bella e condannava le appellate in solido alla rifusione delle spese del grado. Osservava la Corte che i motivi di impugnazione proposti dagli appellanti non costituivano domande nuove dovendosene ritenere il petitum e la causa petendi ricompresi nella “originaria ampia richiesta di condanna al pagamento delle opere di consolidamento” che doveva intendersi riferita anche a quelle resesi necessarie negli appartamenti delle convenute e a quanto erogato dal condominio per debiti contratti in dipendenza delle mancate rispettive contribuzioni.

Avverso la sentenza con sperati ricorsi hanno proposto impugnazione per cassazione la Culicchia con quattro e la Di Bella con otto motivi.

Resistono con controricorso il Fici, il Puglisi, ed il Favazzo.

Motivi della decisione

I ricorsi devono essere riuniti a norma dell’art. 353 c.p.c.. Preliminarmente devesi rilevare la tempestività delle impugnazioni come proposte con ricorsi notificati il 30.1.1982, ossia nel termine di 60 giorni dalla notifica della sentenza, avvenuta in data 1.12.1981 e non invece il 30.11.1981 come affermato dai resistenti.

Con il primo motivo di impugnazione denunciando violazione dell’art. 345 c.p.c. la Culicchia lamenta non avere i giudici di appello tenuto presente che la rifusione delle spese occorse per le opere eseguite nel suo appartamento e degli interessi bancari erogati dal condominio per sopperire alle pretese sue inadempienze era stata chiesta in prime cure solo all’udienza di precisazione delle conclusioni e che nella sua contumacia tali domande non le erano state neppure notificate sì da doversi qualificare più che come un “novum” nell’ambito del giudizio di primo grado addirittura come domande nuove proposte con l’atto di appello.

Il motivo è infondato.

Invero la Corte di appello ha avuto cura di rilevare che la domanda originaria era omnicomprensiva di ogni spesa occorsa per l’attuazione delle opere di consolidamento dell’edificio e come tale comprensiva non solo di quelle relative alle parti condominiali ma anche delle altre resesi necessarie allo stesso scopo nell’ambito degli appartamenti dei singoli condomini ed altresì comprensiva delle erogazioni resesi necessarie per affrontarle, ossia degli interessi bancari corrisposti a causa della mancata contribuzione delle condomine convenute.

La diversa qualificazione data della domanda come contenente richiesta di indennità ex art. 936 c.c., in ordine alle opere sugli appartamenti dei singoli condomini, opere da eseguirsi da ciascuno e quindi non disponibili dal condominio, costituisce soltanto motivazione erronea emendabile in questa sede dovendosi confermare il precedente orientamento di questa Suprema Corte (v. tra le altre Cass. n. 1959-1965, n. 5511-1981 e n. 970-1983) secondo cui le disposizioni dettate dall’art. 936 c.c. per le opere fatte da un terzo con materiali propri si un fondo altrui non trovano applicazione con riguardo ai soggetti che siano legati da preesistenti rapporti giuridici sottoposti a specifica disciplina normativa sì da non potere essere considerati reciprocamente come terzi, onde in tema di condominio negli edifici deve escludersi l’operatività della citata norma tanto nel caso di costruzione eseguita dal condominio sul bene comune, quanto nel caso analogo di costruzione eseguita dal condominio sulla proprietà esclusiva di altro condominio.

In realtà la qualificazione a darsi della proposta azione è quella generale di indebito arricchimento ex art. 2042 c.c. azione addirittura proponibile in sede di gravame purché la situazione di fatto si cui si fonda e che ne integra la causa petendi, fermo restando il petitum, risulti dedotta in primo grado (v. in tal senso Cass. n. 2446-1976), il che nella specie gli stessi giudici di appello avevano accertato sia pure al diverso fine dell’applicazione della norma di cui all’art. 936 c.c., intesa come implicitamente invocata con la omnicomprensiva domanda originaria, così come la rifusione degli interessi bancari erogati.

A tale riguardo è opportuno chiarire che la domanda di indennizzo della spese occorsa sia per la esecuzione nei singoli appartamenti dei lavori necessari al consolidamento delle strutture dell’edificio, sia per far fronte mediante finanziamento bancario ai tassi correnti, alla mancata diretta attuazione degli stessi da parte delle convenute altre che alla mancata contribuzione in ordine agli altri relativi alle parti condominiali, conteneva la prospettazione di una causa di arricchimento da mancato tempestivo esborso delle occorrenti somme da parte delle convenute e di corrispondente impoverimento dei condomini diligenti. In quanto gl’interessi chiesti in rimborso costituivano oggetto della stessa proposta azione di arricchimento e non invece obbligazione accessoria di una indennità ex art. 936 C.C. limitata all’importo delle spese sostenute non richiedevano così come per una pretesa a tale diverso titolo (al quale riguardo v. Cass. n. 4970-1978) apposita specifica domanda.

La qualificazione della pretesa come azione generale di arricchimento comporta pure i rigetto nel secondo motivo di impugnazione con cui denunciando “violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c.” la ricorrente lamenta la mancata considerazione, ai fini dell’applicazione dell’art. 936 c.c., del fatto che i condomini non potevano essere considerati terzi nell’iniziativa dei lavori negli appartamenti di ciascuno data l’autorizzazione ad eseguirli loro concessa a ciò almeno dalla ricorrente Culicchia, il che equivaleva ad un preciso mandato che postulava l’applicazione relative norme. E’ necessario solo precisare che l’autorizzazione quale atto di mera facoltizzazione non può parificarsi al mandato costituente invece contratto da cui sorgono obbligazioni anche per il mandatario.

Per la stessa ragione della diversa qualificazione dell’azione appaiono poi inconferenti sia le doglianze in ordine alla impossibilità di esercizio del ius tollendi dei materiali posti in opera essendosi trattato di semplici demolizioni di strutture orizzontali (tetti e pavimenti) di cui l’unità immobiliare era già fornita ed in perfetta efficienza, sia la doglianza in ordine al mancato aumento di valore dell’appartamento per effetto delle dette demolizioni, che anzi costituivano danno per la ricorrente, posto che dagli atti processuali non ne emergeva affatto la necessità, a tal uopo non potendo valere “la contabilità dei lavori approntata dall’ing. Messina, peraltro neppure autenticata e carente di un verbale di asseveramento e comunque atto di parte sempre contestato dalla ricorrente.

In realtà l’arricchimento conseguito dalla Culicchia non consisteva affatto nelle modifiche apportate all’appartamento bensì soltanto nella mancata esecuzione diretta dei lavori necessari in rapporto alle precarie condizioni statiche dell’edificio. Quanto alla risultanza specifica di detta necessità i giudici di appello hanno avuto cura non solo di precisare che in mancanza di altri elementi poteva essere utilizzata la contabilità in discorso il che evidenziava il dato indiziario che la spese per lavori inutili non sarebbe stata approntata ma di valutare il merito espungendo le spese relative ad opere non eseguito negli appartamenti delle convenute Culicchia e Di Bella bensì su parti condominiali dell’edificio. Tali valutazioni risultano, in quanto in definitiva correttamente motivate, insindacabile in questa sede di legittimità.

Con il terzo motivo di impugnazione denunciando “violazione e falsa applicazione della normativa di cui all’art. 1224 c.c.” la ricorrente lamenta oltre che la mancata proposizione della domanda relativa agli interessi la avvenutane liquidazione al di là dal giorno della costituzione in mora e la mancata prova del presupposto del maggior danno già smentito dalla corresponsione da parte sua dell’anticipo della somma di L. 1.000.000 e comunque apoditticamente affermato sulle semplici attestazioni della Banca Popolare di Marsala che non indicavano affatto la destinazione delle somme prelevate; lamenta poi la erronea calcolazione degli interessi al 10% per cinque anni nella misura di L. 2.466.216 invece che di L. 1.977.000.

Il motivo è infondato.

Invero la Corte ha chiarito che con la domanda originaria gli attuali resistenti avevano onnicomprensivamente chiesto il rimborso di tutte le somme da loro erogate a causa del comportamento inerente della Culicchia e della Di Bella, somme tra e quali rientravano gli interessi corrisposti a nella limitata misura del 10% alla Banca Popolare di Marsala. Inoltre, quale debito capitale oggetto della proposta azione di arricchimento, detti interessi non richiedevano per la decorrenza alcuna costituzione in mora delle debitrici.

Devesi poi rilevare che la Corte ha in realtà calcolato l’anticipo di contribuzione fatto dalla Culicchia e che la determinazione degli interessi erogati è stata attuata secondo l’anatocismo corrente nei rapporti di credito bancario, in rapporto cioé a quelli “composti” e non invece quelli “semplici” come invece preteso dalla ricorrente.

Dell’ultima doglianza relativa alla mancata compensazione delle spese processuali devesi rilevare che trattandosi di potere discrezionale il mancato esercizio da parte del giudice di merito risulta insindacabile in questa sede di legittimità.

Il ricorso proposto dalla Culicchia deve essere dunque rigettato con la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente procedimento.

Passando all’esame del ricorso della Di Bella se ne deve rilevare la infondatezza con riguardo a ciascuno dei proposti motivi.

Infatti, con il primo motivo la ricorrente denunciando “violazione degli artt. 349, 343, 163, 277 c.p.c.” lamenta in ordine alla declaratoria di inammissibilità del suo appello incidentale non essere stato tenuto conto del fatto che la prima udienza era stata di semplice differimento.

In realtà questa Suprema Corte ha ripetutamente chiarito (v. tra le altre Cass. n. 4896-1978 e n. 2843-1980) che la caratterizzazione in concreto della prima udienza come udienza di semplice differimento non ha alcun rilievo ai fini della dilazione del termine di proposizione dell’appello incidentale in quanto a detta udienza la impugnazione può bene essere proposta indipendentemente dalla istanza di rinvio dell’altra parte, essendo in definitiva necessario allo scopo che l’udienza stessa non sia stata affatto tenuta.

Con il secondo motivo la Di Bella denunciando “violazione degli artt. 273, 274, 277 c.p.c. “lamenta avere la Corte di appello non tenuto conto del fatto che i due processi originari non potevano essere riuniti data la diversità di parti e di oggetto e data la incompatibilità tra pretese e posizioni processuali”; lamenta altresì la unitarietà non solo materiale della sentenza.

La infondatezza del motivo consegue alla insindacabilità del potere discrezionale della riunione delle cause (v. Cass. n. 2042-1976) e consegue altresì alla assoluta inconsistenza del rilievo che nella sentenza impugnata non siano state tenute distinte l’una dall’altra le diverse situazioni delle parti, essendosi anzi all’opposto ecceduto con la formalistica separata considerazione ripetitiva svolta malgrado la identità dei fatti a ciascuna comuni.

Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente denunciando “violazione degli artt. 82, 83, 99, 85, 306 c.p.c. “lamenta non essere stato tenuto conto che mentre nel processo n. 480-1969 l’avv. Pipitone aveva il mandato conferitogli dai condomini Fici e Di Bella contro Trapani e Sutera, per l’altro processo n. 175-1973 iniziato dagli attuali resistenti contro la Di Bella detto avvocato non aveva affatto il mandato dei nuovi rappresentati Fici, Puglisi e Favazzo, non potendo valere allo scopo quello conferito per il ricorso ex art. 700 dinanzi al Pretore il 16.9.1969.

In realtà oblitera la ricorrente che il processo n. 175-1973 dinanzi al Tribunale di Marsala costituendo un unicum in riassunzione del precedente di merito instaurato dinanzi al Pretore a seguito del procedimento di urgenza non richiedeva giusta il disposto dell’art. 125 n. 2 disp. att. c.p.c. la reiterazione del mandato (v. in tal senso Cass. n. 671-1972).

Con il quarto motivo la Di Bella denunciando violazione degli artt. 1103, 1105, 1106, 1108, 1109, 1110, 1117, 1120, 1122, 1128, 1131, 1134, 1137 c.c. “lamenta avere la Corte di appello fondato la decisione sulle delibere condominiali del 1971 radicalmente nulle e quindi disapplicabili senza necessità di specifica impugnazione per mancata costituzione del condominio, mancata determinazione delle quote millesimali e conseguente impossibilità di formazione delle maggioranze legali, mancata convocazione di tutti i partecipanti alla comunione e mancata comunicazione della delibera agli interessati e non avere considerato conseguentemente che in difetto di un valido accordo dei proprietari l’unica via legittima per imposizione ai condomini dissenzienti o assenti era la richiesta di provvedimento camerale dell’autorità giudiziaria.

Rilevava che il condominio uti singulus e non l’assemblea ha per l’urgenza potere di iniziativa di spese.

Il motivo si rileva in ogni caso pretestuoso perché come risulta dalla sentenza impugnata l’azione è stata proposta dai singoli condomini essendo stata la spesa comune da loro individualmente sopportata a causa delle diffide da parte del sindaco del Comune di Marsala a provvedere di urgenza alla eliminazione del dissesto dell’immobile a pena di demolizione del palazzo, dissesto confermato dal consulente tecnico, dal che consegue addirittura la superfluità di ogni delibera assembleare e la irrilevanza delle prospettate questioni di nullità ed altresì della esclusiva, pretesa competenza a provvedere in sede camerale dell’autorità giudiziaria, e ciò addirittura per fattispecie radicalmente diverse da quelle tassativamente previste dall’art. 1105, comma 3, c.c. Infondato si rivela pertanto anche il quinto motivo di impugnazione con cui la ricorrente denunciando violazione degli artt. 1105 c.c., 700, 9, 38, 613 e 615 c.p.c. ” lamenta la mancata considerazione della incompetenza del Pretore ex art. 700, essendo nella specie – ossia per il provvedimento di urgenza – “la competenza funzionale del giudice ordinario in sede camerale ex art. 1105 c.c.” e sostiene quindi essere indebita la convalida del provvedimento pretorile, quasi che il giudizio successivo al provvedimento ex art. 700 non dovesse considerarsi autonomo e non già convalidato del provvedimento stesso (v. tra le altre Cass. m. 5157 del 1983).

Con il sesto motivo di impugnazione denunciando “violazione degli artt. 1105, 1117, 1110, 1128, 1134, 1138, 2041, 2043, 926 c.c.” lamenta la Di Bella che si sia tratta ragione di indennizzo da una illecita ingerenza nella cosa di proprietà individuale del singolo condominio, unico interessato e sovrano dispositore, e ciò senza considerare il danno a lei recato attraverso la tompagnatura della apertura esterna della casa, bastando all’uopo soltanto architravi di cemento armato nella parte superiore delle aperture che ne conservassero la permanente funzionalità.

Il motivo, che presenta profili di inammissibilità con riguardo alla pretesa valutazione di merito dell’opera in questa sede di legittimità, si rileva manifestamente infondato dato che i lavori furono disposti per provvedimento ex art. 700 c.p.c. come necessari alla stabilità dell’edificio, il che esclude ogni illecita ingerenza nella resa del singolo condominio.

Con il settimo motivo di impugnazione denunciando “violazione degli artt. 345, 163, 267 c.p;c., 118, 133, disp. att. c.p;c., 2697 c.c. “la ricorrente lamenta non essere stato tenuto conto che i lavori erano terminati ancor prima della citazione 20.3.1973 del Puglisi e del Favazzo senza neppure essere stati richiesti da parte del Fici e che non era stata fornita la prova delle singole erogazioni delle somme da parte degli attori. Il motivo appare chiaramente infondato posto che per un verso la pretesa di rimborso delle somme erogate postula proprio l’avvenuta esecuzione delle opere in antecedenza alla introduzione del giudizio e, per altro verso, la mancata richiesta del provvedimento dispositivo delle opere non esclude affatto in capo al diverso condominio che alla spesa abbia partecipato successivamente il diritto al rimborso nei confronti dei condomini inerenti. Quanto alla prova delle singole erogazioni la Corte con il riferimento alle risultanze della contabilità dei lavori e ai prelievi attestati dalla banca finanziatrice ha fornito ragione del proprio convincimento che rimane quindi insindacabile in questa sede di legittimità.

Con l’ottavo ed ultimo motivo denunciando “violazione degli artt. 1224, 1284 c.c. nonché delle norme citate al superiore motivo n. 4″ la Di bella lamenta non essere stati limitati gl’interessi esclusivamente a quelli decorsi dopo la citazione se non addirittura a decorrere dalla sentenza, trattandosi di credito per spese non certo, né liquido né esigibile e comunque maturati detti interessi in base al un gravoso contratto bancario non mai da alcuno autorizzato.

Anche quest’ultimo motivo è infondato.

Invero, allorché gli interessi costituiscono oggetto di rimborso per pagamento effettuatone ad un altro soggetto che ne sia creditore in base ad un diverso rapporto, quale nella specie la banca finanziatrice richiesta da alcuni condomini per sopperire alle mancate contribuzioni degli altri, assumendo essi natura di credito capitale nel diverso rapporto (di rimborso spese o indennitario o di altra specie) risulta inapplicabile la normativa propria degli interessi quale obbligazione accessoria disciplinata dall’art. 1224 c.c., sicché, al contrario, quale spesa, ne è dovuto il rimborso per la intera avvenuta erogazione. Non ha poi senso la doglianza circa la mancata autorizzazione alla conclusione del contratto bancario, poiché la conclusione ne è stata necessitata come mezzo al fine della realizzazione delle opere necessarie all’imprenditore del crollo dell’immobile.

Il rigetto del ricorso comporta anche per la Di Bella ed in solido con la Culicchia la condanna alla rifusione delle spese del presente procedimento.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi; condanna le ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di questo giudizio liquidate in lire 128.400 oltre lire un milione per onorari
Roma, 22.10.1985

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 11 GIUGNO 1986