Svolgimento del processo

Il giudizio fu promosso davanti al Pretore di Minturno da F.M. contro R.F., ciascuno proprietario nell’edificio in condominio di un appartamento rispettivamente sotto e sovrastante.

Con riferimento allo stato del fabbricato, abbisognevole di urgenti interventi constatati con perizia preventiva ex art. 696 c.p.c., l’attrice chiese la condanna del convenuto ad eseguire i previsti lavori, salva la proporzionale ripartizione della spesa, e, in difetto di adempimento, l’autorizzazione ad eseguirli direttamente anche in danno dell’altro.

L’adito Pretore, nel contraddittorio delle parti, accolse le domande attrici, ma sull’appello del R. il Tribunale di Latina le respinse riformando così la prima sentenza in data 22 dicembre 1975 e compensando interamente le spese processuali del doppio grado.

Per quanto qui interessa il giudice d’appello rilevò che non è ipotizzabile un obbligo per il condominio di effettuare la riparazione delle parti comuni dell’edificio, ciò che esclude la possibilità di una di lui condanna all’esecuzione diretta.

Essendo prevista la ripartizione della relativa spesa (artt. 1123 e 1125 c.c.), se ne può solo chiedere l’accertamento previa la determinazione delle opere da compiere. Nè poteva essere mantenuto il capo della sentenza con il quale il Pretore, in caso di inadempimento da parte del R. al giudiziale obbligo di fare, aveva autorizzato la F. a provvedere con rivalsa della quota di spesa a carico dell’altro.

Vi ostava sia il carattere condizionale della statuizione rispetto a quella di condanna nei confronti del R. sia il difetto di prova che la facoltà riconosciuta alla F. fosse contestata.

Avverso la sentenza 26 marzo – 17 aprile 1979 la suddetta ha proposto ricorso per cassazione, sorretto anche da memoria.

Il R. si è costituito.

Motivi della decisione

La ricorrente deduce che il Tribunale non ha adeguatamente valutato la prospettata situazione, inquadrabile anche nei diversi schemi legali del danno temuto e dell’illecito extracontrattuale (primo motivo). Aggiunge che comunque l’accoglimento delle sue domande non era di ostacolo la disciplina della comunione in generale e del condominio in particolare, se correttamente applicata (secondo motivo).

Premesso che quest’ultima censura va per ragioni logiche esaminata con precedenza, si osserva:

E’ opportuno chiarire preliminarmente che non si percepisce perchè, una volta esclusa la possibilità di condannare il condomino all’esecuzione diretta, il giudice d’appello ha ritenuto che con la suddetta statuizione dovesse cadere anche quella successiva, concernete l’autorizzazione alla F. di provvedere in vece dell’altro alla riparazione delle parti comuni. Invero il rilevato collegamento fra i due capi della sentenza avrebbe giustificato la soluzione solo se il vincolo fosse stato tale da togliere ogni e qualsiasi autonomia alla statuizione dipendente, ciò che non è assolutamente deducibile dalla fornita motivazione. E questa è del tutto inadeguata anche quando mostra di negare l’interesse della F. a conseguire la certezza giuridica del rapporto sull’apodittico rilievo dell’assenza di prova circa la contestazione del di lei diritto ad eseguire anche per il R. i lavori in argomento.

Peraltro neppure può essere condiviso il giudizio di diritto posto a fondamento della prima statuizione. Traspare che, al rigetto della domanda per la condanna del R. all’esecuzione diretta delle riparazioni, il giudice di secondo grado è pervenuto considerando che il corrispondente obbligo non è dalla legge previsto, dato che il condomino è unicamente tenuto a contribuire alle relative spese secondo la regolamentazione fissata negli artt. 1123 e 1125 c.c..

Ma dalle suindicate norme in materia di condominio, conformi alla disposizione dettata per la comunione in generale (art. 1104 c.c.) si desume soltanto quali sono le obbligazioni personali di dare in parte dei condomini di fronte ai provvedimenti adottati in sede di amministrazione, ma non si evince affatto la ritenuta esclusione di un loro obbligo a carattere reale di eseguire le opere necessarie alla manutenzione delle parti comuni.

Al contrario il fondamento dell’obbligo di contribuzione alle spese deliberate collegialmente e disposte dall’amministratore giace nel diritto – dovere di ciascun condomino al mantenimento ed, occorrendo, alla ricostruzione (art. 1128 c.c.) della cosa comune, nei limiti di legge.

Questo diritto – dovere – legislativamente presupposto e strutturalmente legato alla figura giuridica della comproprietà – comporta, da un canto, non solo l’obbligo di contribuire alle spese ma anche tutti gli obblighi di fare e di patti connessi alle modalità – esecutive, perchè se l’organo esecutivo del condominio è l’amministratore, l’obbligo di fare in veste tutti i condomini ed è coercibile nei confronti di ciascuno.

Analogamente, se le opere necessarie al mantenimento o ricostruzione della cosa comune non sono deliberate ovvero vi è stata una deliberazione negativa, ciascuno dei condomini ha diritto ad agire in giudizio per la condanna del condominio allo adempimento dell’obbligo comune di fare, obbligo che sarà, poi, assolto, in caso di accoglimento della domanda, dall’amministratore (con la cooperazione di tutti i condomini). Ove, poi, manchi un amministratore (e non sia intervenuto provvedimento ex art. 1105 c.c.) ovvero non vi sia stata costituzione formale del condominio (meno di quattro condomini: art. 1129 c.c., comma 1) oppure l’opera interessi soltanto alcuni condomini (come nel caso di solaio interpiano), il diritto del condomino per l’adempimento dell’obbligo comune di fare trova tutela diretta nei confronti degli interessati obbligati al facere comune, le modalità del quale potranno esser determinate a piani (se richiesto) ovvero lasciate in tutto od in parte alle determinazioni del giudice della esecuzione (art. 612 c.p.c.) ove difetti lo adempimento, concorde e spontaneo, dopo la condanna.

In sostanza il giudizio del Tribunale è stato fuorviato dal mancato rilievo che, se non è previsto dalla legge un obbligo esclusivo di compiere le opere necessarie a carico di un condomino determinato, ciò si deve al fatto che tale obbligo è comune ed investe tutti, non già che difetti; ma la condanna all’adempimento dell’obbligo comune di facere è del tutto legittima, mentre l’esigenza pratica della determinazione dei compiti di ciascuno attiene alla esecuzione e non può, certamente, indurre a negare la giusta tutela del dominio.

Il secondo motivo del ricorso è dunque fondato, ed il suo accoglimento assorbe l’esame del primo motivo.

Per il riesame della causa si designa il Tribunale di Velletri, che si atterrà ai suesposti rilievi e principi provvedendo altresì sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese al Tribunale di Velletri.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 1981.
Depositato in Cancelleria il 11 marzo 1982