Svolgimento del processo

Con atto del 2 marzo 1988 Cammarata Salvatore conveniva davanti il Tribunale di Palermo la Casa di Cura Serena S.r.l. per sentirla condannare al risarcimento dei danni, quantificati in 150 milioni oltre rivalutazione monetaria e interessi, danni subiti a seguito di un intervento chirurgico di tiroidectomia al quale si era sottoposto presso la casa di cura l’8 giugno 1987 e che gli aveva determinato una paresi al braccio sinistro. La convenuta resisteva alla domanda attribuendo la responsabilità dei fatti al chirurgo prof. Giuseppe Brighina e all’anestesista prof. Antonino Sparacia scelti e pagati direttamente dall’attore; li chiamava in causa come legittimati passivi all’azione di danni e comunque per essere rilevata dalle conseguenze della lite. I due professionisti costituendosi in giudizio oltre ad opporsi alle richieste della casa di cura estendevano il contraddittorio, il Brighina, alla Società Assicuratrice Industriale (S.A.I.); lo Sparacia, all’Assitalia – le Assicurazioni d’Italia S.p.A. per essere tenuti indenni da ogni pretesa risarcitoria.

Entrambe le società, costituendosi, facevano proprie le difese dei loro assicurati. Con atto notificato il 10 novembre 1913 luglio 1989 la Casa di Cura rinunziava ad ogni pretesa nei confronti dei due professionisti; l’attore estendeva le proprie domande nei confronti di costoro e delle due società di assicurazione. Espletata una prova testimoniale ed una consulenza tecnica con sentenza 6 agosto 1994 il Tribunale condannava la casa di cura al pagamento, in favore del Cammarata, della somma di lire 50.723.000 oltre gli interessi; rigettava le domande proposte dall’attore nei confronti del Brighina e dello Sparacia nonché quelle di garanzia della casa di cura nei confronti dei due professionisti; dichiarava assorbite quelle proposte dagli stessi nei confronti delle rispettive società assicuratrici; compensava interamente le spese nei rapporti fra il Cammarata e i due professionisti; poneva a carico della casa di cura quelle anticipate dalle altre parti. Il Tribunale, in base alle valutazioni del consulente tecnico d’ufficio riteneva che le lesioni subite dall’attore non potevano ricollegarsi eziologicamente all’intervento chirurgico e, mancando la prova che il danno fosse dipeso da una cattiva posizione anestesiologica assunta dal paziente, ne individuava la causa nelle probabili manovre di stiramento effettuate dagli ausiliari nello spostare il Cammarata subito dopo l’intervento chirurgico dal tavolo operatorio alla barella e da quest’ultima al letto di degenza; riteneva la casa di cura obbligata al risarcimento ai sensi dell’art. 2049 c.c.

Proponeva impugnazione la soccombente lamentando per quanto ancora interessa, che mancava la prova di un rapporto di causalità fra la condotta dei suoi dipendenti e l’evento, che non era dovuto risarcimento del danno morale; che era illegittima la sua condanna alle spese in favore delle due società assicuratrici chiamate in causa dal Brighina e dallo Sparacia. Quest’ultimo rimaneva contumace; si costituivano invece le altre parti e resistevano al gravame. Il Brighina con appello incidentale condizionato ribadiva la domanda di garanzia nei confronti della SAI; il Cammarata, con analoga impugnazione, chiedeva la condanna al risarcimento del Brighina e dello Sparacia al quale notificava la propria comparsa di costituzione.

Con sentenza 30 gennaio 1998 la Corte d’Appello di Palermo in parziale riforma della decisione del Tribunale, riduceva a lire 42.200.000 oltre interessi la somma dovuta per risarcimento al Cammarata; compensava in parte le spese nei rapporti fra la casa di cura e il Cammarata ponendo quelle ripetibili a carico della prima; condannava la casa di cura alle spese in favore del Brighina, della SAI e dell’Assitalia.

Avverso la sentenza, notificata il 2 aprile 1997, ha proposto ricorso con atto del 30 maggio 1997 e con tre motivi di censura la Casa di Cura Serena S.r.l.; resistono con controricorso Brighina Giuseppe e l’Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.A.; non hanno svolto difese il Cammarata, lo Sparacia e la S.A.I..

Il controricorso dell’Assitalia è tardivo; l’impugnazione della Casa di Cura Serena risulta notificata alla società assicuratrice il 30 maggio 1997; il termine dell’art. 370 c.p.c. per proporre il controricorso scadeva il 10 luglio 1997; l’atto è stato invece notificato il 18 settembre 1997.

Motivi della decisione

Con il primo motivo denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ha attribuito le lesioni subite dal Cammarata a responsabilità del personale paramedico alle sue dipendenze pur mancando al riguardo prove specifiche che l’attore avrebbe dovuto fornire.

La sentenza è contraddittoria, perché dopo avere precisato sulla base degli accertamenti del consulente tecnico d’ufficio che si doveva escludere una correlazione dell’evento a preesistenti patologie del Cammarata e che le lesioni dipendevano da un mal posizionamento dello stesso ovvero da uno stiramento del braccio sinistro, ha affermato che poco importava disquisire della misura in cui secondo una legge di probabilità statistica l’evento poteva ricondursi al cattivo posizionamento del Cammarata durante l’intervento e, dall’altro, che bisognava seguire il procedimento per esclusione in quanto per l’appunto tendente ad individuare secondo regole di natura probabilistica quale tra i diversi possibili fattori avesse avuto effettiva (rectius: maggiore) incidenza causale per poi giungere alla conclusione, secondo un calcolo mutuato da leggi scientifiche, che l’evento era dipeso dalla condotta del personale infermieristico.

La sentenza, ritenendo che il convincimento espresso avesse puntuale ed esauriente riscontro in tutti i dati obiettivamente emergenti dalla documentazione clinica in atti, non ha considerato che l’unica cosa certa riferita dal consulente tecnico d’ufficio è che nella cartella clinica non era descritta la posizione assunta dal paziente durante l’intervento operatorio, né si conosceva quale fosse stata, in particolare, in quel momento la posizione del braccio sinistro del Cammarata. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata nell’attribuire a responsabilità del personale del personale paramedico alle dipendenze della ricorrente la menomazione subita dal Cammarata segue due linee fondamentali:

a) richiama per relationem la motivazione della pronunzia del Tribunale pervenuta al convincimento, in base ai risultati della consulenza tecnica d’ufficio, che il braccio sinistro del Cammarata non poteva avere assunto durante l’intervento chirurgico una posizione anestesiologica tale da determinare gli effetti che ne erano seguiti; la motivazione per relationem era consentita perché la sentenza impugnata confuta le censure mosse contro quella di primo grado (v. Cass., 23 aprile 1998, n. 4185; Cass., 14 ottobre 1995, n. 10768);

b) ritiene, alla stregua dei principi affermati da questa Corte con la sentenza 16 novembre 1993, n. 11287 e con altre due in materia penale 6 dicembre 1990 e 12 luglio 1991, che quando il ricorso alle norme di patologia medica e medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta sul rapporto di casualità fra lesione personale ed intervento chirurgico, la ricorrenza di tale rapporto non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica.

Questa Corte già con le sentenze 21 aprile 1977 n. 1476 e 13 maggio 1982 n. 3013 aveva avuto occasione di puntualizzare che l’individuazione del rapporto di causalità che attiene ad un evento lesivo collegato all’esecuzione di terapie mediche o di interventi chirurgici deve essere effettuata, non solo con criteri giuridici, ma anche tenendo conto delle nozioni della patologia medica e della medicina legale, per cui la possibilità teorica di un margine inevitabile di relatività non può, di per sé sola, invalidare un accertamento basato sulla corrispondenza di alcune affezioni ad un determinato meccanismo causale, in assenza di qualsiasi altra causa patogena.

Infatti, nel campo biopatologico, essendo estremamente difficile raggiungere un grado di certezza assoluta, la sussistenza del nesso causale tra un determinato antecedente e l’evento dannoso ben può essere affermata in base ad un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, soprattutto quando manchi la prova della preesistenza, della concomitanza o della sopravvenienza di altri fattori determinanti.

La sentenza impugnata si pone in questa falsariga: accertata l’inesistenza di precedenti patologie nel Cammarata; stabilito che durante l’intervento la posizione del braccio del paziente era, come affermato dal consulente tecnico d’ufficio solitamente quella addotta, le lesioni dallo stesso riportate si dovevano attribuire alle manovre dei dipendenti della Casa di Cura per spostarlo dal tavolo operatorio alla barella e da quest’ultima al letto di degenza.

Con il secondo motivo denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ha liquidato il danno morale senza che fosse stato accertato a carico dei suoi dipendenti un fatto reato; si è limitata ad affermare che in base a leggi di probabilità statistica una responsabilità per colpa dei dipendenti doveva ammettersi; e, si è contraddetta quando ha precisato che la condotta colposa dei dipendenti della clinica era stata individuata con certezza, senza che questo rispondesse a verità, dal consulente tecnico d’ufficio.

Anche questo motivo è infondato. La sentenza impugnata ha in modo comprensibile indicato le ragioni per le quali i dipendenti della clinica dovessero considerarsi responsabili di un reato colposo; a pag. 14 della sua relazione il consulente tecnico d’ufficio aveva precisato che le manovre per spostare il Cammarata dal tavolo operatorio alla barella e da questa al letto di degenza erano state compiute in violazione dei più elementari doveri professionali correlati all’attività di infermiere; la probabilità statistica richiamata dalla sentenza non riguarda lo spostamento del Cammarata dal tavolo operatorio, non negato dalla ricorrente ma le modalità in cui era avvenuto tali da conferire un grado di certezza ad un fatto altamente eventuale.

Con il terzo motivo denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata confermando la sua condanna alle spese in favore della SAI e dell’Assitalia in quanto la chiamata in garanzia di questi ultimi era stata resa necessaria dalla tesi da lei sostenuta e respinta e nel giudizio di appello la ricorrente non aveva ribadito le sue richieste contro i due professionisti, non ha considerato che l’Assitalia e la SAI erano state chiamate in causa dallo Sparacia e dal Brighina con atti del 22 luglio 1989 dopo che ad entrambi era stata notificata la rinuncia incondizionata alle domande proposte nei loro confronti; la chiamata in garanzia era pertanto inutile; se poi il Brighina e lo Sparacia avevano ritenuto di avvalersene ugualmente nei confronti del Cammarata, le spese dovevano essere poste a carico di quest’ultimo, né rilevava che nessuna domanda fosse stata proposta in appello nei riguardi dei due professionisti.

Il motivo dev’essere accolto. Fermo il principio che le spese sostenute dal terzo chiamato in causa a titolo di garanzia propria o impropria vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato l’azione di garanzia stessa (v. Cass., 27 aprile 1991, n. 4634) non ha la sentenza impugnata fornito una motivazione sul rilievo della ricorrente secondo cui la chiamata in garanzia delle società assicuratrici da parte del Brighina e dello Sparacia era stata successiva alla rinunzia da parte della Casa di cura alle domande proposte nei confronti dei due professionisti; gli effetti di tale rinunzia non sono stati presi in esame dalla Corte d’Appello.

Accogliendosi in questi limiti il ricorso, la sentenza dev’essere cassata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della stessa Corte d’Appello che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso; accoglie il terzo; cassa e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo.

Così deciso in Roma il 24 giugno 1999.