Con il decreto impugnato, depositato il 3/8/2007, la corte d’appello di Venezia, ritenuta la durata irragionevole del giudizio civile, avente ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità della tassa di posteggio imposta dal comune, per la durata di anni 12 ed 1 mese, a fronte della durata ragionevole di 3 anni, ha condannato il Ministero della Giustizia a corrispondere ai ricorrenti B., + ALTRI OMESSI la somma di Euro 6050,00 ciascuno; a L.L., erede di L.A., la somma di Euro 1033, 33; a P.D., P.G., P.R. e S., eredi di P.A., la somma di Euro 1300,00; a B.G., B.L. e Z.A., eredi di B.L., la somma di Euro 2500,00; ad A.E., Z.S. e Z.C., eredi di Z.G., la somma di Euro 4500,00; a L.L., L.A., L.G., eredi di L.G., la somma di Euro 1125,00; a P.R. e R. R., eredi di P.M., la somma di Euro 6050,00; oltre interessi legali dalla domanda al saldo.
Ricorrono per cassazione tutti i ricorrenti, sulla base di due motivi.
Il Ministero ha depositato controricorso con ricorso incidentale, avanzato sulla base di tre motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1.- Con il primo motivo, i ricorrenti impugnano il decreto della corte d’appello di Venezia ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 2056 e 1226 c.c., nonchè dell’art. 6, par. 1 della CEDU, e per difetto di motivazione, per avere la corte territoriale disatteso i parametri di liquidazione della CEDU adottando una determinazione del tutto arbitraria.
1.2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4, 5 e 6, difetto assoluto di motivazione, per avere la corte territoriale adottato una liquidazione dei diritti e degli onorari palesemente inferiore al minimi tariffari e senza applicare il coefficiente di aumento dovuto per il caso di patrocinio di più persone da parte dello stesso avvocato.
2.1.- Con il primo motivo dell’appello incidentale, il Ministero fa valere la nullità del decreto per violazione degli artt. 132 e 161 c.p.c., nonchè dell’art. 119 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere stato il decreto impugnato, pur reso in forma collegiale, firmato dal solo Presidente.
2.2. – Con il secondo motivo, in via subordinata, il Ministero deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per riguardare il giudizio presupposto la materia impositiva locale.
2.3.- Con il terzo motivo, in via ulteriormente subordinata, il Ministero denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per doversi avere riguardo,ai fini del decorso del termine di decadenza, nei casi di domanda azionata dagli eredi come tali, alla data del decesso del de cuius, quale dies a quo, in pendenza del processo presupposto.
3.1.- Nell’ordine logico delle questioni, devono essere prioritariamente valutati i motivi dell’appello incidentale, che l’Amministrazione ha fatto valere in via gradata.
3.2.- Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato, atteso che il provvedimento reso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, nella forma del decreto, immediatamente esecutivo ed impugnabile per cassazione, pur avendo forma collegiale e natura decisoria, deve essere sottoscritto, secondo quanto disposto dall’art. 135 c.p.c., comma 4, dal solo presidente del collegio, senza che sia necessaria la firma del relatore, come ritenuto dalle pronunce di questa corte, 2969/2006 e 27719/2009.
3.3.- E’ invece fondato il secondo motivo del ricorso incidentale, per le argomentazioni di seguito esposte.
Il giudizio presupposto svoltosi avanti al Giudice ordinario aveva ad oggetto la materia impositiva locale, e nella specie, la legittimità della c.d. tassa di posteggio, imposta ai ricorrenti dal comune di Cologno, e pertanto, trattandosi di materia tributaria, ne consegue l’improponibilità della domanda di equa riparazione, ex L. n. 89 del 2001, con assorbimento del terzo motivo del ricorso incidentale e del ricorso principale e la cassazione del decreto impugnato.
Questa corte ha già avuto modo di approfondire il profilo qui rilevato nella sentenza n. 19367 del 2008, che nella parte rilevante della motivazione si è così espressa: "(La)… simmetria tra i due piani (interno ed internazionale) di tutela dei diritti dell’uomo coessenziale, come detto, all’attuazione del principio di sussidiarietà che deve ricondurli a sistema – si realizza, appunto, conformando la fattispecie violativa cui è ricollegata l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 a quella disegnata dalla norma comunitaria di riferimento, come in concreto (quest’ultima) vive attraverso l’esegesi della Corte di Strasburgo. Come rammentato nei richiamati arresti delle S.U., infatti, poichè il fatto costitutivo del diritto attribuito dalla L. n. 89 del 2001, consiste in una determinata violazione della CEDU, spetta al Giudice della CEDU individuare tutti gli elementi di tale fatto giuridico, che, pertanto, finisce per essere "conformato" dalla Corte di Strasburgo, la cui giurisprudenza si impone, per quanto attiene all’applicazione della L. n. 89 del 2001, ai giudici italiani. Con riguardo specifico alla questione posta nei motivi di ricorso in esame, la Corte dei Diritti dell’Uomo, dopo aver premesso che la nozione di controversia in materia civile e di controversia in materia penale (in relazione e nei limiti delle quali è tutelato dall’art. 6, p. 1 CEDU il diritto alla ragionevole durata del processo) va determinata "in modo autonomo" da essa Corte, poichè qualsiasi altra soluzione rischierebbe di portare a risultati incompatibili con l’oggetto e la portata della Convenzione (vd. sentenze in cause Konig. C. R.F.T. del 28.6.78 – Baraona c. Portogallo del 8.7.87 – Maaonia c. Francia n. 39652/98 Pierre Bloch c. Francia del 21.10.97), ha già avuto a tal fine occasione di escludere che rientrino nella sfera di applicazione della Convenzione le controversie relative ad obbligazioni – pur di natura patrimoniale – che "risultino da una legislazione fiscale" ed attengano, invece che a diritti di natura civile, a doveri civici imposti in una società democratica (vd. decisione in causa Schontene Meldrum c. Paesi Bassi del 9.12.94). Del resto, nella più recente sentenza in causa Ferrazzini c. Italia del 12.7.2001 quella stessa Corte -ripropostasi di (e dopo aver provveduto a) "verificare", alla luce dei cambiamenti intervenuti nella società con riguardo alla tutela concessa agli individui nei loro rapporti con lo Stato, se il campo di applicazione dell’art. 6, p. 1 CEDU dovesse o meno estendersi alle vertenze relative alla legittimità dei provvedimenti dell’amministrazione finanziaria – ha ancora una volta ribadito la estraneità ed irriducibilità delle suddette vertenze al quadro di riferimento delle liti in materia civile, cui ha riguardo il più volte citato art. 6 CEDU, ed ha all’uopo sottolineato che "le evoluzioni verificatesi nelle società democratiche non riguardano la natura essenziale dell’obbligazione per gli individui di pagare le tasse" poichè "la materia fiscale fa parte ancora del nucleo duro delle prerogative della potestà pubblica". Da ciò, quindi, la conclusione, per quel che qui rileva, che l’equa riparazione prevista dalla legge nazionale per le violazione dell’art. 6, p. 1 CEDU non è riferibile alla eventuale eccessiva protrazione della durata di controversie, involgenti la potestà positiva dello Stato: che dal quadro di tutela della norma comunitaria restano – per come visto – escluse. Nè è sostenibile (come fa parte ricorrente) che siffatta conclusione sia contraddetta dalla previsione della L. n. 89 del 2001, art. 3 che include, tra i soggetti legittimati passivi rispetto all’azione di riparazione, anche il Ministero delle Finanze quando si tratti di procedimenti tributari.
Detta ultima disposizione – che per la sua natura di norma processuale attinente alle forme di esercizio del diritto non potrebbe immutare ed ampliare i contenuti della tutela, quale definita e circoscritta dalla normativa di portata sostanziale di cui al precedente art. 2 della stessa Legge – va infatti letta in modo assolutamente coerente con il complessivo impianto sistematico della legge nazionale e della Convenzione, nel senso della sua riferibilità a quelle (e soltanto a quelle) controversie di competenza del giudice tributario, che siano riferibili: A) alla materia civile, in quanto riguardanti pretese del contribuente che non investano la determinazione del tributo ma solo aspetti a questa consequenziali, come, esemplificando, nel caso del giudizio di ottemperanza ad un giudicato del giudice tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 70 od in quello (anch’esso di competenza di quel Giudice come rammentato da S.U. 18208/03) del giudizio vertente sull’individuazione del soggetto di un credito di imposta non contestato nella sua esistenza; B) alla materia penale, intesa quest’ultima – secondo la "nozione autonoma" elaborata anche per tal profilo dalla giurisprudenza della CEDU, di cui il giudice nazionale deve tenere conto come comprensiva anche delle controversie relative alla applicazione di sanzioni tributarie, ove queste siano commutabili in misure detentive ovvero siano, per la loro "gravità", assimilabili sul piano della afflittività ad una sanzione penale (vd. Affare Janoseviv c. Suede del 23.7.2002)".
Le spese del giudizio di merito e di legittimità, liquidate come in dispositivo,seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi rigetta il 1^ motivo del ricorso incidentale, accoglie il 2^ motivo del ricorso incidentale, assorbito il 3^ motivo ed assorbito il ricorso principale; cassa il decreto impugnato e dichiara l’improponibilità della domanda.
Condanna i ricorrenti a rifondere al Ministero della Giustizia le spese di lite, determinate per il giudizio di merito, in Euro 5000,00 per onorari ed Euro 2000,00 per diritti, oltre le spese prenotate a debito, e per il giudizio di legittimità, in Euro 5000,00, oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2011