che L.I. e V.C., con ricorso del 1 agosto 2009, hanno impugnato per cassazione – deducendo quattro motivi di censura -, nei confronti del Ministro dellleconomia e della finanze, il decreto della Corte ddAppello di Napoli depositato in data 23 gennaio 2009, con il quale la Corte ddappello, pronunciando sul ricorso delle predette ricorrenti volto ad ottenere llequa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 -, in contraddittorio con il Ministro dellleconomia e delle finanze il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per llinammissibilitaa o llinfondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare a ciascuna ricorrente la somma di Euro 8.333,00 a titolo di equa riparazione;
che il Ministro dellleconomia e delle finanze, benchee ritualmente intimato, non si ee costituito nee ha svolto attivitaa difensiva;
che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 27.000,00 per llirragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 30 luglio 2008, era fondata sui seguenti fatti: a) la L. e la V., asseritamente creditrici di differenze retributive e previdenziali nei confronti del Comune di Benevento, avevano proposto – con ricorso del 3 gennaio 1990 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania;
b) il Tribunale adito, al momento della proposizione della domanda di equa riparazione non aveva ancora deciso la causa, decisa successivamente con sentenza del 24 novembre 2008;
che la Corte ddAppello di Napoli, con il suddetto decreto impugnato:
a) ha ritenuto parzialmente fondata lleccezione di prescrizione sollevata dalllAmministrazione resistente, ritenendo estinto per prescrizione decennale il diritto di credito fatto valere concernente, a ritroso, il periodo di irragionevole durata fino al 30 luglio 1998; b) ha determinato in nove anni e quattro mesi circa il periodo eccedente la ragionevole durata; c) ha liquidato a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale la somma di Euro 8.333,00 calcolata in base ad un importo annuo di circa Euro 900,00, peroo ridotto per avere le ricorrenti proposto con ritardo specifica istanza di prelievo nel giudizio amministrativo presupposto e per la natura seriale del giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che con i quattro motivi di censura vengono denunciati come illegittimi: a) la affermata prescrizione parziale del diritto fatto valere; b) llapplicazione di un parametro di liquidazione delllindennizzo ingiustificatamente inferiore a quello i indicato dalla Corte europea dei diritti dellluomo; c) la considerazione del solo periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto (tre anni), anzichee llintera durata dello stesso; d) la omessa pronuncia sullleccezione di illegittimitaa costituzionale della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3 per assunta violazione delllart. 117 Cost., comma 1, in relazione agli artt. 41 e 13 della C.E.D.U., eccezione che viene nuovamente sollevata;
che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;
che, in particolare, la censura sub a) ee manifestamente fondata, perchee, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 nella parte in cui prevede la facoltaa di agire per llindennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre alllincompatibilitaa tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltaa pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilitaa della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchee il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che lloperativitaa della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, nel caso – quale quello di specie – di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 27719 del 2009, 1886 e 3325 del 2010);
che le censura sub b), sub c) e sub d) sono assorbite;
che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puoo essere decisa nel merito, ai sensi delllart. 384 c.p.c., comma 2;
che il processo presupposto de quo ee pacificamente iniziato in data 3 gennaio 1990 e si ee concluso con la sentenza del Tribunale amministrativo per la Campania in data 24 novembre 2008, durando complessivamente diciotto anni e piuu di dieci mesi, con la conseguenza che – detratto il periodo di tre anni di ragionevole durata – la eccedenza irragionevole va determinata in quindici anni e dieci mesi circa;
che, al riguardo – con riferimento alla censura sub c) – deve essere ribadito il costante orientamento di questa Corte, secondo il quale la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta non incoerente rispetto alle finalitaa sottese alllart. 6 della CEDU, impone di correlare llindennizzo al solo periodo eccedente la ragionevole durata di tale processo, eccedente cioee il periodo di tre anni per il giudizio di primo grado, quale quello di specie (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8714 del 2006, 14 del 2008, 10415 del 2009);
che la fattispecie ee inoltre caratterizzata dalla incontestata circostanza della ritardata presentazione, da parte delle ricorrenti, della cosiddetta "istanza di prelievo" nel corso del giudizio presupposto;
che questa Corte, sussistendo il diritto alllequa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, llindennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;
che questa Corte, inoltre, ha giaa piuu volte affermato il principio secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui alllart. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dellluomo e delle libertaa fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dalllinstaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza delllistanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, secondo cui llinnovazione, introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in legge con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1 (per il quale la domanda non ee proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata llistanza di prelievo ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51), non puoo incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in mancanza di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere, e secondo cui -tuttavia – la mancata o ritardata presentazione delllistanza di prelievo puoo incidere, entro i limiti delllequitaa, sulla determinazione delllentitaa delllindennizzo, con riferimento alllart. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni unite, 24901 del 2008, 14753 del 2010);
che tale orientamento giurisprudenziale ha ottenuto sostanziale avallo dalla Corte EDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi contro Italia) la quale, con due recentissime decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia; 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiaritaa, somme complessive ddimporto notevolmente inferiore a quella di mille euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolaritaa della fattispecie, a liquidazioni delllindennizzo piuu riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 14753 del 2010 cit.);
che, nella specie – caratterizzata, come giaa detto, anche dalla ritardata presentazione delllistanza di prelievo -, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati, nonchee dei recepiti correttivi consentiti dalla giurisprudenza della Corte EDU, il diritto alllequa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 va equitativamente determinato, per ciascuna delle ricorrenti, in Euro 9.500,00 per i diciotto anni e dieci mesi circa di irragionevole ritardo (Euro 500,00 annui), oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;
che, quanto alla sollevata eccezione di legittimitaa costituzionale, analoga eccezione ee giaa stata dichiarata manifestamente infondata con la sentenza di questa Corte n. 10415 del 2009;
che con tale condivisa pronuncia, infatti, si ee affermato che in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ee manifestamente infondata la eccezione di costituzionalitaa della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a), nella parte in cui stabilisce che, al fine delllequa riparazione, rileva soltanto il danno riferibile al periodo eccedente il termine di ragionevole durata, non essendo ravvisabile alcuna violazione delllart. 117 Cost., comma 1, in riferimento alla compatibilitaa con gli impegni internazionali assunti dalllItalia mediante la ratifica della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti delllUomo e delle libertaa fondamentali, cioo in quanto, qualora sia sostanzialmente osservato il parametro fissato dalla Corte EDU ai fini della liquidazione delllindennizzo, la modalitaa di calcolo imposta dalla norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine della legislazione interna ad assicurare llobiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto in argomento, non comportando una riduzione delllindennizzo in misura superiore a quella ritenuta ammissibile dal giudice europeo, mentre, diversamente opinando, poichee le norme CEDU integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello subcostituzionale, dovrebbe valutarsi la conformitaa del criterio di computo desunto dalle norme convenzionali, che attribuisce rilievo alllintera durata del processo, rispetto al novellato art. 111 Cost., comma 2, in base al quale il processo ha un tempo di svolgimento o di durata ragionevole, potendo profilarsi, quindi, un contrasto delllinterpretazione delle norme CEDU con altri diritti costituzionalmente tutelati;
che queste argomentazioni valgono tanto piuu, in quanto il su richiamato orientamento della Corte EDU in tema di entitaa delllindennizzo liquidabile dal giudice nazionale comporta llinsussistenza di contrasti al riguardo tra la giurisprudenza di questa Corte e quella della Corte di Strasburgo;
che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4^, e B, paragrafo 1^, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127,, relative ai procedimenti contenziosi, previa compensazione per la metaa, in ragione delllaccoglimento solo parziale del ricorso -, per llintero, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovanni Romano e Paola Genito, dichiaratisene antistatari; che le spese del presente grado di giudizio compensate per la metaa, in ragione delllaccoglimento solo parziale del ricorso – seguono la residua soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dellleconomia e delle finanze al pagamento a ciascuna delle ricorrenti della somma di Euro 9.500,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresii al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, nella metaa delllintero, intero liquidato in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovanni Romano e Paola Genito, dichiaratisene antistatari, e, per il giudizio di legittimitaa, nella metaa delllintero, intero liquidato in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dello stesso avv. Giovanni Romano, dichiaratosene antistatario.
Cosii deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per llesame preliminare dei ricorsi civili, il 23 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2011