1. Con decreto del 6 giugno 2008, la Corte ddAppello di Campobasso ha rigettato la domanda di equa riparazione proposta da A. N. nei confronti del Ministero della Giustizia per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio promosso dal ricorrente nei confronti di As.
N. per ottenere il rendiconto ed il risarcimento dei danni per inadempimento di un contratto di societaa.
Premesso che il giudizio presupposto, introdotto nelllanno 1986 dinanzi al Tribunale di Pescara, si era concluso dinanzi alla Corte ddAppello di LLAquila nelllanno 2006, la Corte ha ritenuto che, essendo la causa complessa e di non semplice soluzione, il periodo di tempo eccedente la durata ragionevole, non giustificabile in quanto dipendente da problemi organizzativi di carattere generale, fosse stimabile in dodici anni, nove mesi e cinque giorni. Cioo posto, ha ritenuto tuttavia insussistente il danno non patrimoniale, osservando che llansia ed il malessere correlati alllincertezza sulllesito della lite erano esclusi nella specie dalla piena consapevolezza del ricorrente in ordine alllinfondatezza della pretesa azionata, chiaramente emergente dalle sentenze di primo grado e di appello, con cui la domanda era stata rigettata. Per lo stesso motivo, ha escluso la sussistenza di un danno patrimoniale, dedotto peraltro in termini generici e rimasto comunque indimostrato.
2. Avverso il predetto decreto ll A. propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo ddimpugnazione, il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 osservando che la Corte ddAppello, pur avendo riconosciuto llirragionevole durata del processo, ha erroneamente escluso la sussistenza del danno in virtuu delllesito della controversia, sfavorevole ad esso ricorrente, laddove llart. 2 cit. considera del tutto ininfluente, ai fini delllequa riparazione, che la parte abbia vinto o perso la causa, ove per ottenerne la definizione sia stata costretta ad attendere per un tempo irragionevole.
Essa, inoltre, dopo aver affermato che la causa era complessa e di non semplice soluzione, e pur avendo rilevato che nel corso del giudizio vi era stata la riunione di due procedimenti, era stato disposto un sequestro conservativo ed erano state espletate piuu c.t.u.. ha ritenuto che la domanda fosse palesemente infondata, pur in assenza di circostanze dalle quali potesse desumersi la temerarietaa dellliniziativa giudiziaria, la cui prova sarebbe stata peraltro a carico del Ministero.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto di non dover liquidare alcuna somma a titolo di danno non patrimoniale, sebbene lo stesso debba considerarsi conseguenza normale della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, a causa delllincertezza e dello stato di prolungata ansia derivante dalllattesa delllesito del giudizio.
3. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione delle censure sollevate, sono fondati.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimitaa, il diritto alllequa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta infatti a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, in quanto lleccessiva durata del giudizio comporta a carico delle stesse quanto meno ansia e sofferenza, quali riflessi psicologici del perdurare delllincertezza in ordine alle posizioni giuridiche coinvolte, fatta eccezione per il caso in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza (cfr.
Cass., Sez. 1^, 20 agosto 2010, n. 18780; 26 aprile 2010, n. 9938).
Al di fuori di queste circostanze (la cui prova ee a carico delllAmministrazione, non essendo sufficiente la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata), llesito sfavorevole della lite non ee di per see idoneo ad escludere la fondatezza della pretesa indennitaria azionata dalla parte che abbia dovuto sopportare lleccessiva durata della causa, ma puoo soltanto incidere in senso riduttivo sulla misura delllindennizzo, allorchee la domanda sia stata proposta in un contesto tale da renderla, se non temeraria, comunque fortemente aleatoria (cfr.
Cass., Sez. 1, 30 agosto 2010, n. 18875; 13 novembre 2009. n. 24107).
3.1. Quanto alla prova del danno non patrimoniale, questa Corte ha ripetutamente affermato che esso costituisce una conseguenza normale, ancorchee non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata de processo, di cui alllart. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti delllUomo, e che pertanto, pur dovendo escludersi la configurabilitaa di un danno non patrimoniale in re ipsa, ossia di un pregiudizio automaticamente e necessariamente insito nelllaccertamento della violazione, il giudice, una volta accertata e determinata llentitaa della stessa secondo le norme della L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno in questione, salvo che non ricorrano nel caso concreto circostanze tali da far positivamente escludere che il ricorrente lo abbia subito, come tipicamente avviene, ad esempio, nelllipotesi in cui la parte sia fin dalllorigine consapevole delllinconsistenza delle proprie tesi, ovvero quando il protrarsi del giudizio appaia rispondente ad uno specifico interesse della parte o sia comunque destinato a produrre conseguenze che la parte stessa percepisce come a see favorevoli (cfr. Cass., Sez. 1, 26 settembre 2008, n. 24269; 18 giugno 2007, n. 14053).
3.2. La Corte ddAppello, pur mostrando di conoscere i predetti principi, non vi si ee poi attenuta nella decisione, in quanto, dopo aver preso atto dellleccessiva durala del giudizio presupposto, ha rigettato la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale in virtuu della mera constatazione che la domanda giudiziale proposta dal ricorrente era stata rigettata sia in primo grado che in appello.
A fondamento di tale rilievo, dal quale ha desunto che il ricorrente era pienamente consapevole delllinfondatezza della propria pretesa, ha riportato alcuni passaggi delle sentenze emesse nel giudizio presupposto, dai quali peroo non si evince affatto che la domanda proposta dalll A. fosse temeraria, ma solo che le sue tesi difensive erano rimaste del tutto sfornite di prova. La stessa Corte ddAppello ha peraltro rilevato che in primo grado il ricorrente aveva chiesto ed ottenuto un sequestro conservativo, poi non convalidato, ma la cui autorizzazione, presupponendo llaccertamento del fumus boni juris, si pone in contrasto con le conclusioni cui ee pervenuto il decreto impugnato.
4. EE invece infondato il terzo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha negato llequa riparazione del danno patrimoniale, in mancanza della prova del pregiudizio da lui subito, e sostenendo che il diritto alllequa riparazione ee ancorato alllaccertamento della violazione delllart. 6, par. 1, della CEDU, la quale si configura come evento ex se lesivo del diritto della persona alla definizione del procedimento in una durata ragionevole.
4.1. La L. n. 89 del 2001, nel ricollegare llequa riparazione alla mera constatazione delllavvenuto superamento del termine di ragionevole durata del processo, attribuisce alla relativa obbligazione natura indennitaria, la quale esclude la necessitaa di una verifica in ordine alllelemento soggettivo della violazione. non vertendosi in tema di obbligazione ex delicto, ma non comporta alcun automatismo attributivo in favore del soggetto che lamenti llinosservanza delllart. 6, par. 1, della CEDU, non configurandosi il pregiudizio indennizzabile come danno evento, riconducibile al fatto in see delllirragionevole protrazione del processo, con la conseguenza che al ricorrente incombe llonere di fornire la prova della lesione della propria sfera patrimoniale prodottasi quale conseguenza diretta ed immediata della violazione, sulla base di una normale sequenza causale (cfr. in riferimento a danno non patrimoniale, Cass., Sez. 1^, 8 maggio 2006. n. 10485; 11 marzo 2006, n. 5386; Cass., Sez. 1^, 30 marzo 2005, n. 6714).
5. Il decreto impugnato va pertanto cassato, in relazione ai motivi accolli, con il conseguente rinvio della causa alla Corte ddAppello di Campobasso, che provvederaa, in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese relative alla presente fase.

P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di Appello di Campobasso. in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese relative alla presente fase.
Cosii deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 26 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2011