Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione delllart. 6 par. 1 C.E.D.U., violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1, 2 e 3 e dipendente e contestuale violazione e/o falsa applicazione delllart. 41 C.E.D.U., con riferimento alla complessitaa della causa ai fini del riconoscimento del diritto alllequa riparazione da irragionevole durata di un processo, il tutto in relazione al disposto di cui alllart. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Deducono i ricorrenti che il giudice a quo, ritenendo che la affermata complessitaa della procedura portasse ad escludere una durata irragionevole del processo, sarebbe pervenuto a tale conclusione senza effettuare una analisi globale di una vicenda processuale che si protraeva da oltre 17 anni.
Nelllescludere una durata eccessiva il giudice a quo avrebbe preso in considerazione: 1) llelevato numero, circa 300, dei creditori ammessi al passivo fallimentare; 2) il collegamento della procedura fallimentare "principale" con altre due procedure fallimentari; 3) la necessitaa di procedere alla predisposizione di quattro piani di riparto parziali nel periodo compreso tra il 2002 ed il 2007.
Risulterebbe accertato che la verifica dei crediti si ee chiusa il 15.5.1992 con la dichiarazione di esecutivitaa dello stato passivo;
che il problema concernente la sovrapposizione di tre procedure fallimentari ee stata definita nel 1995, vale a dire dopo quattro anni dalla prima declaratoria di fallimento; che i quattro piani di riparto parziale sono stati predisposti nel periodo compreso tra il 2002 ed il 2007, solo dopo dieci anni dalllapprovazione dello stato passivo, eventi tutti che non varrebbero a giustificare il perdurare della procedura fallimentare per oltre diciassette anni.
Il giudice a quo avrebbe pertanto affermato erroneamente che la complessitaa della procedura porta ad escludere il diritto alllequa riparazione, non avendo verificato, in concreto e considerato nella sua interezza lliter procedurale, se ed in che modo la ritenuta complessitaa abbia dato causa alla eccessiva lungaggine processuale.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione al disposto di cui alllart. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Deducono i ricorrenti la insufficienza e contraddittorietaa della motivazione. I giudici nisseni, pur movendo dalla corretta premessa che ai fini della valutazione della irragionevolezza o meno della durata del procedimento presupposto debba aversi riguardo allliter processuale cosii come si ee concretamente sviluppato, avrebbero poi escluso la eccessiva durata del processo sulla base della sola considerazione di alcuni aspetti di complessitaa della procedura stessa, senza motivare in che modi tali aspetti porterebbero a conferire il carattere della ragionevolezza ad una lungaggine procedurale di oltre 17 anni.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione delllart. 6 par. 1 C.E.D.U., con contestuale violazione delllart. 112 c.p.c. e della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1, 2 e 3 il tutto in relazione al disposto di cui alllart. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Deducono i ricorrenti che la Corte ddAppello avrebbe erroneamente affermato, per giustificare il rigetto della domanda, che il prolungamento dei tempi di definizione della procedura, lungi dal rappresentare un danno, risulta essersi risolto a favore dei creditori istanti.
Il giudice non avrebbe potuto rilevare ddufficio tale circostanza impeditiva del riconoscimento del diritto alllequa riparazione, spettando alla controparte, in ossequio al principio delllonere della prova, addurre e provare llesistenza di detto presunto vantaggio.
Detto giudice avrebbe, pertanto, reso una pronuncia ultra petita, violando cosii llart. 112 c.p.c. Propongono infine i ricorrenti la questione di legittimitaa costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a) nella parte in cui riconosce il diritto alllequa riparazione per i soli anni di irragionevole durata del processo, invece che per tutti gli anni di durata, per contrasto con llart. 117 Cost. con riferimento agli artt. 41 e 13 C.E.D.U., cosii come interpretati dalla Corte Europea dei diritti dellluomo.
La questione di legittimitaa costituzionale, avendo carattere pregiudiziale, deve essere esaminata per prima.
La questione ee manifestamente infondata.
Questa Suprema Corte ha giaa avuto occasione di affermare orientamento giurisprudenziale che il collegio ritiene di poter condividere – che la questione di costituzionalitaa della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), secondo cui, ai fini della liquidazione delllindennizzo per la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, non deve aversi riguardo ad ogni anno di durata del processo stesso, ma solo al periodo eccedente il termine ragionevole – ee manifestamente infondata, non essendo ravvisabile alcuna violazione delllart. 117 Cost. e, in particolare, della norma interposta di cui alllart. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dellluomo e delle libertaa fondamentali (resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848), sia perchee la contraria interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo (nelle sentenze 10 novembre 2004) sui criteri da utilizzare per determinare llammontare del risarcimento ee stata verisimilmente elaborata in applicazione di norme della Convenzione diverse dal citato art. 6, sia perchee il suddetto criterio adottato dal legislatore italiano, che ee vincolante per il giudice nazionale, non tocca la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare llobbiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, dunque, non autorizza dubbi sulla sua compatibilitaa con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui alllart. 6, par. 1, della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) (cfr. cass. n. 1354 del 2008; cass. n. 14 del 2008; cass. n. 8714 del 2006). I motivi di ricorso sono fondati.
Questa Suprema Corte ha piuu volte affermato che la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo in materia fallimentare va accertata distintamente con riguardo alla procedura prefallimentare, volta alla dichiarazione del fallimento, ed a quella fallimentare volta alla realizzazione della esecuzione concorsuale;
che con riguardo a questtultima il dies a quo coincide con la sentenza dichiarativa di fallimento ed il dies ad quem con il momento in cui si verifica il soddisfacimento integrale del credito ammesso al passivo, oppure, nelle ipotesi di soddisfacimento parziale o di totale inadempimento, quando sia intervenuto il decreto di chiusura del fallimento o perchee ee stata compiuta la ripartizione delllattivo o perchee la procedura non puoo essere utilmente continuata per insufficienza ddattivo e tale decreto sia divenuto definitivo per non essere stato impugnato nei termini di legge (cfr.
cass. n. 9922 del 2005; cass. n. 24040 del 2006).
La L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, stabilisce che nelllaccertare la violazione il giudice deve considerare la complessitaa del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonchee quello di ogni altra autoritaa chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione. Per stabilire in tema di esecuzione concorsuale in materia fallimentare se via stata violazione del termine ragionevole di durata della procedura, il disposto della norma summenzionata impone di considerare che la esecuzione concorsuale si articola in una serie di sub-procedimenti riguardanti (tra quelli indefettibili e maggiormente ricorrenti) llaccertamento dello stato passivo; la acquisizione di beni al fallimento (rilevano in particolare le revocatorie fallimentari), la vendita delle attivitaa fallimentari, la effettuazione di piani di riparto parziali e del piano di riparto definitivo. Ognuno di questi sub – procedimenti impegna ovviamente del tempo. EE necessario allora accertare analiticamente quale sia stato il tempo impiegato per portare a conclusione ciascuno di questi sub – procedimenti, se – in considerazione della obbiettiva difficoltaa ed alla mole dei necessari incombenti – la durata di ciascun sub – procedimento sia stata ragionevole o meno e nella ipotesi di durata da ritenersi eccessiva, quanta parte sia imputabile al comportamento delle parti e quanta al comportamento del giudice o di altri organi della procedura o a disfunzioni delllapparato giudiziario. La durata da ritenersi ragionevole va poi detratta dalla durata totale della esecuzione concorsuale, da individuarsi secondo i criteri sopra enunciati e, se residua un qualche periodo oltre la ragionevole durata, in questo va individuata la durata non ragionevole della procedura. In mancanza di tale esame analitico, con llenunciazione soltanto dei vari sub procedimenti che si sono succediti (come avvenuto nel caso in esame) o di altre evenienze processuali (quale quella enunciata, nel caso di specie, della sovrapposizione di tre diverse procedure fallimentari) non puoo ritenersi soddisfatto il dettato normativo della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, che impone di considerare, ovviamente con riferimento alla procedura che viene in considerazione nel processo presupposto, la complessitaa del caso.
Con riferimento alla affermazione che il protrarsi della procedura anzichee rappresentare un danno, si sarebbe risolto in un vantaggio per i contraenti, il collegio osserva che llesito favorevole del processo ee irrilevante ai fini del riconoscimento del danno non patrimoniale, atteso che tale esito non condiziona il diritto alla ragionevole durata del processo nee incide di per see sulla pretesa indennitaria della parte che abbia dovuto sopportare lleccessiva durata della causa; in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto alllequa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica o dalllimportanza sociale della vicenda (cfr. cass. n. 21088 del 2005; cass. n. 24107 del 2009). Per tutte le considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto il decreto impugnato deve essere cassato e la causa deve essere rinviata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimitaa, alla Corte ddAppello di Caltanissetta, che per il giudizio si atterraa ai principi di diritto sopra enunciati.
 
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte ddAppello di Caltanissetta in diversa composizione.
Cosii deciso in Roma, il 3 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011