Il relatore designato a norma dell’art. 377 c.p.c. ha depositato una relazione del seguente tenore:
"1. L’amministrazione delle finanze ricorre avverso il decreto emesso il 17 settembre 2009 dalla Corte d’appello di Bologna, con cui essa è stata condannata a corrispondere alla sig.ra F.G. la somma di Euro 2.000,00 (oltre agli interessi ed alle spese processuali), a titolo di equo indennizzo per l’eccessiva, durata di un giudizio protrattosi dinanzi alla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale dell’Emilia Romagna, dal settembre 2003 all’ottobre 2008.
L’amministrazione ricorrente censura l’impugnato decreto per aver ritenuto inapplicabile, nella specie, il disposto del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito in L. n. 133 del 2008, a tenore del quale la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio amministrativo della cui eccessiva durata la pare si duole non sia stata presentata la c.d. istanza di prelievo, a norma del R.D. n. 642 del 1907, art. 51, comma 2.
2. Il ricorso è suscettibile di essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., potendosene ipotizzare la manifesta infondatezza.
La corte d’appello ha escluso che possa farsi applicazione, nel caso in esame, della norma invocata dall’amministrazione per due ragioni:
perchè si tratta di una norma processuale non suscettibile di applicazione retroattiva e perchè essa si riferisce alle domande di equa riparazione per eccessiva durata dei giudizi dinanzi al giudice amministrativo e non anche di quelli dinanzi alla Corte dei conti.
In ordine a quest’ultimo rilievo la ricorrente si limita ad obiettare (richiamando un precedente giurisprudenziale non però in termini) che esisterebbe un indubbia analogia tra gli istituto processuali che regolano il giudizio dinanzi al giudice amministrativo e dinanzi a quello contabile.
Sembra però doversi osservare che detti procedimenti sono soggetti a regole proprie e che, in difetto di qualsiasi specifico richiamo, nulla consente di reputare applicabile al giudizio davanti alla Corte dei conti la citata disposizione del R.D. n. 642 del 1907, art. 51 (in tal senso Cass. n. 8156 del 2006), e tanto meno, quindi, la successiva previsione del pure citato D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, che pone limiti all’esercizio del diritto di azione ed è, pertanto, di stretta interpretazione.
Conclusivamente, la peculiare condizione di proponibilità del ricorso per equo indennizzo invocata dall’amministrazione ricorrente – come correttamente ritenuto dalla corte d’appello – non appare operante quando il giudizio della cui eccessiva durata di discute si sia svolto o sia pendente dinanzi alla Corte dei conti.
3. Se si condivide tale rilievo, assorbenti rispetto all’esame ogni altro profilo di censura, il ricorso potrebbe essere rigettato".
Nessuna memoria è stata depositata.
Il collegio, condividendo le osservazioni e le conclusioni della relazione, rigetta il ricorso.
Non v’è da provvedere sulle spese del giudizio di legittimità nel quale l’intimata non ha svolto difese.

P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2010