che T.G. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di otto motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Venezia, depositato in data 23.4.08, con cui veniva rigettata la domanda di equo indennizzo ex lege n. 89 del 2001, per l’eccessiva durata di un procedimento svoltosi innanzi alla Corte dei Conti, iniziato il 17.12.97 e conclusosi con sentenza di rigetto del 27.5.06; che la P.D.C.M. ha depositato atto di costituzione.

OSSERVA IN DIRITTO
Il decreto impugnato ha rigettato la domanda di equo indennizzo sulla considerazione che il giudizio presupposto, iniziato dal ricorrente sulla falsariga di numerosi altri veicolati dalle associazioni di categoria, era stato proposto nella consapevolezza della infondatezza dell’azione stante la preesistenza delle pronunce delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti del 2.12.94 che avevano rigettato analoghe domande e l’evidente tenore normativo contrario al riconoscimento di quanto richiesto.
Con i primi sei motivi, sotto diversi profili, il ricorrente assume che nel caso di specie non sussisteva alcuna consapevolezza dell’infondatezza della domanda e che, comunque, l’equo indennizzo va riconosciuto a prescindere dall’esito negativo della domanda.
Con il settimo motivo sostiene che il riconoscimento del danno morale è conseguenza normale dell’eccessiva durata del processo e non necessita di prova specifica.
Con l’ottavo motivo sostiene che il danno morale va riconosciuto a prescindere dal fatto che altre numerose domande siano state proposte da altri soggetti sulla medesima questione.
Questa Corte,invero, ha ripetutamente ritenuto che le situazioni concrete in cui le conseguenze pregiudizievoli, sotto il profilo della sofferenza psicologica della pendenza del processo, vanno escluse, sono quelle in cui il protrarsi del giudizio risponde ad un interesse della parte o questo è comunque destinato a produrre conseguenze che la parte percepisce a sè favorevoli (Cass. 1338/04) mentre, più in generale, può dirsi che la piena consapevolezza nella parte processuale civile della infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità rende inesistente il danno non patrimoniale, perchè tale consapevolezza fa venire meno l’ansia ed il malessere correlati all’incertezza della lite, essendo con gli stessi incompatibile (v., in tal senso, Cass, 11 dicembre 2002 n. 17650; 18 settembre 2003 n. 13741).
La consapevolezza della infondatezza della propria domanda deve peraltro essere desunta sulla base di elementi indiziari precisi e concordanti.
La Corte d’appello si è attenuta a siffatti criteri.
Ha infatti riscontrato, con un attento esame della normativa vigente, che il nostro ordinamento non prevede la possibilità per il personale collocato a riposo di ottenere l’estensione dei benefici ottenuti dal personale in servizio poichè le norme vigenti prevedono che il trattamento pensionistico venga determinato sulla base della retribuzione spettante al momento del collocamento a riposo.
Il giudice di merito ha, a tale proposito, accertato che anche la normativa previdenziale del regolamento organico per i portuali e dell’Inpdap, applicabile alla fattispecie, è uniformata al predetto principio generale ed ha escluso che possa nel caso di specie farsi riferimento alla disciplina prevista per il personale scolastico, data la peculiarità di quest’ultima.
Ha, poi, osservato che fin dal 1996, prima ancora cioè che venisse proposto il ricorso alla Corte dei Conti, le Sezioni riunite di quest’ultima avevano escluso che in fattispecie analoga a quella del ricorrente potesse riconoscersi la chiesta estensione dei benefici.
Ha aggiunto, poi, che nel caso di specie si trattava di una iniziativa collettiva volta a presentare numerose domande giudiziarie al fine soprattutto di ottenere una modifica della normativa vigente.
La motivazione appare del tutto conforme all’orientamento espresso da questa Corte che ha già rigettato il ricorso avverso il decreto della Corte d’appello che aveva negato rilevanza alla durata del giudizio avanti alla Corte dei Conti, promosso in materia di riconoscimento di miglioramenti economici sulla pensione, non dovuti secondo "massiccia, pregressa ed anche recente e recentissima giurisprudenza" (Cass. 25595/08).
I primi sei motivi del ricorso vanno pertanto respinti, non rilevando nel caso di specie la circostanza che la domanda proposta nel giudizio presupposto sia stata rigettata, poichè la Corte d’appello ha respinto la domanda di equo indennizzo non già sulla base di tale circostanza, bensì, come già rilevato, in ragione della decisiva ratio decidendi basata sulla originaria consapevolezza della infondatezza della domanda di ottenimento della estensione dei benefici previdenziali.
Il settimo e l’ottavo motivo restano assorbiti.
Il ricorso va in conclusione rigettato.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2010