Con ricorso alla Corte d’appello di Brescia depositato il 13 ottobre 2001, V.R. e L.T.R. lamentarono la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in relazione a un giudizio, avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio, promosso il 26 marzo 1979 da L.T.G., rispettivamente coniuge e padre di essi ricorrenti, e definito, dopo sette gradi di giudizio, con sentenza della Corte di Cassazione del 16 novembre 2000.
Con decreto 17 luglio 2002, la corte bresciana dichiarò inammissibile la domanda, per il decorso del termine di sei mesi previsto, a pena di decadenza, dalla L. n. 89 del 2001, art. 4. La Corte suprema di cassazione, con sentenza 27 aprile 2005 n. 8770, cassò il decreto della corte di Brescia, e rinviò la causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, per violazione di norme di diritto in tema di decadenza dall’azione.
Le parti riassunsero il giudizio con atto notificato il 12 giugno 2006, e iscritto a ruolo il 5 luglio 2006. Il Ministero convenuto, costituendosi, eccepì la tardività della riassunzione. Il L. ricusò il giudice relatore, ma la ricusazione fu respinta con ordinanza 28 novembre 2006. Le parti riassunsero il procedimento ex art. 54 c.p.c., con ricorso depositato il 27 giugno 2007, e l’amministrazione, costituendosi, eccepì l’estinzione per La mancata riassunzione nel termine semestrale dal deposito dell’ordinanza.
Con decreto 3 ottobre 2007, depositato il 15 ottobre 2007, la Corte d’appello di Brescia dichiarò inammissibile la riassunzione del giudizio di rinvio, essendo stato l’atto di citazione depositato in data successiva alla scadenza del termine annuale, ancorchè la richiesta di notifica fosse stata presentata l’ultimo giorno utile.
Per la cassazione di questo decreto, non notificato, ricorrono i signori V. e T.L. con atto affidato ad otto motivi.
Il Ministero resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Pregiudiziale ad ogni altro motivo di ricorso è quello concernente la contestata estinzione del giudizio, dichiarata dal giudice del rinvio per la sua mancata tempestiva riassunzione a seguito della precedente sentenza pronunciata da questa corte nella medesima causa.
Con il sesto motivo, infatti, si denuncia la violazione dell’art. 307 c.p.c.: si deduce che l’estinzione del giudizio di rinvio, per tardività della riassunzione, doveva essere eccepita prima di ogni altra difesa a norma dell’art. 392 c.p.c., e che questo requisito, inizialmente soddisfatto dal ministero costituendosi, sarebbe venuto meno allorchè il ministero medesimo aveva eccepito la tardività della riassunzione del giudizio dopo il rigetto dell’istanza di ricusazione,anteponendola a quella precedentemente sollevata.
Al relativo quesito a questo proposito formulato dai ricorrenti, deve darsi risposta negativa. L’art. 307 c.p.c., comma 4, nel testo anteriore alla sua sostituzione operata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, richiedeva che l’estinzione fosse eccepita prima di ogni altra difesa, e tale requisito, una volta soddisfatto, non è vanificato dalla successiva formulazione di un’ulteriore eccezione di estinzione del giudizio per altra causa sopravvenuta, indipendentemente dalla precedenza che nell’esposizione delle successive difese sia data a tale seconda causa di estinzione. Il principio appena enunciato si base sulla considerazione che una tale precedenza espositiva non contraddice la priorità assegnata, dalla parte interessata, alla decisione sull’estinzione del giudizio, rispetto ad ogni altra questione di rito o di merito.
Con il settimo motivo, parimenti vertente sul rispetto del termine per la riassunzione del giudizio a seguito della cassazione con rinvio, si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 392 e 394 c.p.c., per il quale la riassunzione deve essere fatta con citazione. Si svolge un confronto tra il giudizio di rinvio ed i giudizi di revocazione e di opposizione di terzo, per i quali pure è prescritta la forma della citazione per l’atto introduttivo e la notifica alla parte personalmente, per approdare alla conclusione che il richiamo alle norme applicabili davanti al giudice del rinvio, nell’art. 394 c.p.c., non si estende alla forma dell’atto introduttivo. Si pone quindi il quesito se il giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c., non debba essere sempre introdotto con la forma della citazione, per la prevalenza della protezione del diritto di difesa del convenuto rispetto a qualsiasi altra esigenza.
Anche questo mezzo è infondato. Va premesso che l’analogia proposta dai ricorrenti tra il giudizio di rinvio – che è un giudizio di merito, sebbene chiuso, il quale prosegue un giudizio nel quale non si è formato il giudicato – e quelli di revocazione e opposizione di terzo che sono impugnazioni straordinarie, eccezionalmente idonee a vincere la cosa giudicata – è contraddetta dalla loro diversa natura; e che la circostanza che l’atto introduttivo del giudizio di rinvio debba essere notificato personalmente alla parte non implica necessariamente (per quel che può rilevare in questa sede, in relazione agli argomenti svolti in ricorso) il rilascio di una nuova procura al difensore che abbia rappresentato la parte nei precedenti gradi di merito (cfr. Cass. 8 agosto 1991 n. 8650; 29 marzo 2001 n. 4663; 6 ottobre 2004 n. 19937), nè quindi esclude la corrispondente possibilità per il convenuto di costituirsi attraverso il procuratore che l’aveva rappresentato nei precedenti gradi di merito, senza che ciò implichi una menomazione dei diritti di difesa della parte. Ciò posto, la giurisprudenza di questa corte è costante e consolidata nel senso che l’art. 392 c.p.c., comma 2, in forza del quale "la riassunzione si fa con citazione", è destinato ad avere applicazione quante volte non trovi deroga nel disposto dell’art. 394 c.p.c., comma 1, il quale richiama le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice al quale la corte ha rinviato la causa (in questo caso, le norme della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 2), alla stessa stregua di una norma di carattere generale rispetto ad un’altra di carattere speciale (principi di cui è stata fatta ripetuta applicazione in materia di rinvio conseguente alla cassazione di provvedimenti emessi dal tribunale fallimentare: Cass. 4 agosto 1975, n. 2973; Cass. 12 marzo 1982, n. 1603; in materia tributaria: Cass. 28 settembre 1979, n. 5001, Cass. 6 marzo 1999, n. 1919; nelle controversie soggette al rito del lavoro: Cass. 13 marzo 1995, n. 2871, Cass. 18 maggio 1995, n. 5480, Cass. 30 gennaio 1998, n. 932; e nelle controversie di divorzio: Cass. 20 luglio 2004 n. 13422); e che la tempestività della riassunzione del giudizio, in relazione al termine di decadenza fissato dall’art. 392 c.p.c., comma 1, deve essere riscontrata avuto riguardo alla data del deposito del ricorso nella cancelleria del giudice del rinvio, laddove la riassunzione del processo con citazione, anzichè con ricorso, non ne determina, in forza del già richiamato principio della conversione degli atti viziati nella forma, l’inammissibilità quando, nei termini perentori fissati dalla legge la citazione anzidetta, indipendentemente dalla sua notificazione alle altre parti nei termini appena riferiti, sia stata altresì depositata in cancelleria, potendo il rapporto processuale ritenersi tempestivamente instaurato solo se un simile deposito risulti intervenuto nella pendenza dei termini sopra menzionati (da ultimo, Cass. 20 luglio 2004 n. 13422).
Il motivo deve essere pertanto rigettato in forza del seguente principio di diritto:
in tema di giudizio per l’equa riparazione del danno cagionato dall’irragionevole durata del giudizio, che deve essere introdotto con ricorso, anche la riassunzione in sede di rinvio va fatta nella medesima forma e, laddove sia fatta in forma di citazione anzichè in quella di ricorso, il giudizio risulta tempestivamente incardinato, secondo quanto previsto dall’art. 393 cod. proc. civ., soltanto qualora l’atto sia stato altresì depositato in cancelleria entro il termine di decadenza stabilito dalla legge.
Il rigetto di questi motivi, confermando la legittimità della dichiarazione di estinzione processo, pronunciata dal giudice di rinvio, assorbe ogni altra questione sollevata con gli altri motivi di ricorso, i quali sono logicamente posposti a quelli esaminati e necessariamente dipendenti dal loro preventivo accoglimento, riferendosi a vicende del processo che postulano l’avvenuta riassunzione. E’ altresì assorbito il ricorso incidentale del Ministero, che era espressamente condizionato.
Le spese del giudizio di legittimità sono a carico dei ricorrenti principali, soccombenti, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti principali in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.000,00.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 23 settembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2010