M.G., P.M. e I.V. ricorrono per cassazione con separati ricorsi nei confronti del decreto in epigrafe della corte d’appello che, liquidando Euro 950 per ciascuno per anni uno e mesi dieci di ritardo, ha accolto parzialmente il loro ricorso con il quale é stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al t.a.r. della Toscana a far tempo dal 22 dicembre 1999 e definito con sentenza del 26 ottobre 2004.
Resiste la sola Presidenza del Consiglio dei Ministri con controricorso.
La causa é stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Luigi Salvato con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..
Per il ricorrente M. é stata depositata memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi debbono preliminarmente essere riuniti in quanti proposti avverso lo stesso provvedimento.
Sempre in via preliminare deve essere rilevata d’ufficio l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del ministero dell’Economia e delle Finanze.
Giova osservare, in proposito, che alla data di presentazione della domanda (7 agosto 2006) la legittimazione passiva, per i procedimenti ex lege n. 89 del 2001 in cui il giudizio presupposto si era svolto avanti la Corte dei Conti, apparteneva in via esclusiva alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per espressa previsione della L. n. 89 del 2001, art. 3 e che la modifica intervenuta con la L. n. 296 del 2006 (cd. Finanziaria 2007) che invece ha attribuito la legittimazione al solo Ministero dell’Economia e delle Finanze si applica, per puntuale dettato normativo (art. 1, comma 1225), ai procedimenti iniziati dopo l’entrata in vigore della legge citata. Si configura pertanto l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, posto che tale ente, che non era parte nel giudizio di primo grado, é legittimato per i giudizi de quibus a far tempo dalla data indicata e nessuna successione si verifica nel diritto controverso per i procedimenti anteriori per i quali permane a pieno titolo la esclusiva legittimazione della Presidenza del Consiglio.
I tre motivi di ricorso, che per la sostanziale unitarietà delle censure che illustrano possono essere trattati congiuntamente, e con i quali si deduce violazione della L. n. 89 del 2001 e della Convenzione nonché difetto di motivazione in relazione alla quantificazione del danno non patrimoniale che i giudice del merito ha determinato in Euro 500 per ogni anno eccedente il periodo di tre anni ritenuto ragionevole sono manifestamente fondati.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 della Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facoltà di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purché in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340); in particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da R.P. e sul ricorso n. 64897/01 Z.), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000 ed Euro 1.500 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilità di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarità della fattispecie, quali l’entità della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1, 26 gennaio 2006, n. 1630).
Da tali principi consegue che non é giuridicamente rilevante, ai fini dell’attribuzione di una somma apprezzabilmente inferiore rispetto a detto standard minimo, il riferimento alla modestia della posta in gioco e all’esito negativo del giudizio.
I ricorsi debbono dunque essere accolti nei limiti di cui in motivazione. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che é pari a Euro 1.000 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri deve essere condannata al pagamento di Euro 1.375 a ciascuno dei ricorrenti a titolo di indennizzo per il periodo di anni uno e mesi nove di irragionevole ritardo quale determinato dal giudice del merito.
Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza e debbono essere poste a carico della Presidenza del Consiglio dei ministri. Non si deve provvedere nel rapporto tra ricorrenti e Ministero dell’Economia e delle Finanze in assenza di attività difensiva da parte di quest’ultimo.
P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibili quelli nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, accoglie quelli nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna quest’ultima a pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 1.375, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonché alla rifusione delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 1.029, di cui Euro 534 per diritti, Euro 445 per onorari e Euro 50 per spese, oltre spese generali e accessori di legge e di quelle di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.000, di cui Euro 900 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge; spese del giudizio di merito distratte in favore del difensore antistatario.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2010