che F.R., con ricorso del 23 marzo 2009, ha impugnato per cassazione – deducendo numerosi motivi di censura, illustrati con memoria -, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, il decreto della Corte d’Appello di Napoli depositato in data 7 maggio 2008, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso della F. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Presidente del r Consiglio dei ministri – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso, ha condannato il resistente a pagare alla ricorrente la somma di Euro 5.750,00 a titolo di equa riparazione, nonché la somma di Euro 550,00 a titolo di spese del giudizio, oltre accessori;
che resiste, con controricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri;
che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 13.125,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 2006, era fondata sui seguenti fatti: a) la F., assumendo di essere creditrice di somme per benefici economici – con ricorso del 24 settembre 1992 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza 17 gennaio 2001;
che la Corte d’Appello di Napoli, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in tre anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del processo presupposto -, ha determinato il periodo eccedente la ragionevole durata in cinque anni e nove mesi circa ed ha liquidato a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale la somma di Euro 5.750,00 calcolata in base ad un importo annuo di Euro 1.000,00.

CONSIDERATO IN DIRITTO
che con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, vengono denunciati come illegittimi: a) la considerazione del solo periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto (tre anni), anziché l’intera durata dello stesso; b) l’applicazione di un parametro di liquidazione dell’indennizzo ingiustificatamente inferiore a quello indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; c) il mancato riconoscimento del diritto al supplemento di indennizzo per il danno non patrimoniale, in relazione al bonus forfetario dovuto in ragione della materia previdenziale trattata nel processo presupposto; d) la violazione dei minimi tariffari forensi nella liquidazione delle spese di giudizio di merito;
che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;
che, in particolare, la censura sub a) é infondata, perché, secondo il costante orientamento di questa Corte, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta non incoerente rispetto alle finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di correlare l’indennizzo al solo periodo eccedente la ragionevole durata di tale processo, eccedente cioé il periodo di tre anni per il giudizio di primo grado, quale quello di specie (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8714 del 2006, 14 del 2008, 10415 del 2009);
che la censura sub b) é infondata, perché i Giudici a quibus non si sono discostati dal consolidato orientamento di questa Corte che, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni, ed anzi hanno liquidato la somma di Euro 1.000,00 per ciascuno degli anni di ritardo, nonché la somma di Euro 750,00 per gli ulteriori nove mesi di irragionevole ritardo;
che la censura sub c) é infondata alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la liquidazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale possa giungere fino a 2000 euro per anno, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo, potendo il giudice, del merito tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura giuslavoristica della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 17684 del 2009);
che la censura sub d) é invece fondata, perché la tariffa applicata non é quella giuridicamente corretta;
che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.p., comma 2;
che, ai fini della liquidazione delle spese processuali, il processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, né rientra tra quelli speciali di cui alla tabelle A) e B) allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50, paragrafo 7 e voce 75, paragrafo 3), per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa allegata a detto decreto ministeriale, i procedimenti in camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 25352 del 2008);
che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Marra Alfonso Luigi, dichiaratosene antistatario, che le spese del presente grado di giudizio compensate per due terzi, in ragione dell’estremamente parziale accoglimento del ricorso – seguono la residua soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Presidente del Consiglio dei ministri al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.2 00,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosene antistatario, e, per il giudizio di legittimità, in un terzo dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dello stesso avv. Marra, dichiaratosene antistatario.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 15 luglio 2010.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2010