Con ricorsi depositati nel giugno 2006 davanti alla Corte d’appello di Roma, T.T., F. e M.A. – quali eredi di M.E., D.D.F., G. L. e M.A. – premesso che avevano convenuto in giudizio con atto del 30 settembre 1983 davanti al Tribunale di S.M. Capua Vetere P.G. e la soc. Latina Renana per il risarcimento dei danni da questi cagionati; che erano intervenute nel giudizio stesso D.D.F., G.L. e M. A.; che detto giudizio era stato definito il 21 dicembre 2005 chiesero ai sensi della L. n. 89 del 2001 nei confronti del Ministero della giustizia il ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Il Ministero, costituitosi, eccepì la inammissibiltà del ricorso, la prescrizione della pretesa e concluse comunque per il rigetto della domanda.
La Corte d’appello, riuniti i ricorsi, attribuì a titolo di danno non patrimoniale, con gli interessi, a T.T. ed a F. e M.A. – tutti quali eredi di M. E. – la somma di Euro 8.000.00; a D.D.F. e a G.L. la somma di Euro 14.000,00; ad M.A., infine, la somma di Euro 14.000,00.
Rigettata l’eccezione di prescrizione, la Corte ritenne non ragionevole il periodo di tempo di 14 anni e, quanto a T. T., ed a F. e M.A. (che avevano agito solo come eredi) valutò tale periodo in otto anni considerando che il decesso del de cuius M.E. era avvenuto il (OMISSIS) e che essi avevano diritto ad ottenere il risarcimento patito dal dante causa fino a quella data.
Avverso questo decreto il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi. Gli intimati non hanno resistito.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo si denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4. Secondo il ricorrente i ricorsi proposti da T. T. e da F. e M.A. avrebbero dovuto essere dichiarati inammissibili L. n. 89 del 2001, ex art. 4, in quanto il deposito dei ricorsi stessi è avvenuto tardivamente cioè il 5 giugno 2006, dovendo il decesso del loro dante causa, risalente al 25 gennaio 1999, considerarsi come dies a quo.
La censura è infondata perchè la legge configura la sola definitività della decisione come dies a quo per la proponibilità della domanda a pena di decadenza, mentre il diritto dell’erede di agire in tale qualità dopo la morte del dante causa si prospetta come possibilità di esercitare quel diritto. E questa Corte ha già chiarito che la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, nella parte in cui precede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo articolo 4 per la proposizione della domanda (Cass. n. 27719 del 30 dic. 2009).
Il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo – denunciando ancora la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, nonchè dell’art. 2934 c.c. e degli artt. 11 e 12 preleggi – ripropongono sotto diversi profili il tema della rilevanza dell’eccezione di prescrizione quinquennale del credito risarcitorio in relazione alla violazione del termine di ragionevole durata del processo; tema sul quale questa Corte si è pronunciata recentemente con la sentenza n. 27719 del 30 dicembre 2009 già richiamata, alle cui ampie e articolate argomentazioni si rinvia.
La Corte ha, in particolare, osservato che anche dalla verifica della coerenza sistematica e concettuale si evince (…) l’inammissibilità del concorso simultaneo di termini di decadenza e di prescrizione correlati alla medesima attività richiesta; e che postulare l’operatività della prescrizione in corso di causa presupposta imporrebbe (…) il frazionamento della pretesa indennitaria:
destinata alla rinnovazione in ipotesi di un ritardo più che decennale. Tanto più se si acceda al principio di cristallizzazione dell’an e del quantum al momento della domanda di equa riparazione;
con conseguente esclusione dall’indennizzo dell’ulteriore danno maturato fino alla decisione.
Col sesto motivo si pone, infine, la questione della rilevanza della eccezione di prescrizione decennale nell’ambito del giudizio pregresso, che avrebbe comunque consentito nella specie, secondo il ricorrente, una limitazione della disamina della durata del processo presupposto.
L’esame di quest’ultimo motivo (indipendentemente dalla ammissibilità della censura) resta assorbito dalle considerazioni svolte in relazione alle censure precedenti.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Nessun provvedimento sulle spese.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 settembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2010