G.E., D.G.A., D.G.E.L. e D.G.E., con ricorso per cassazione notificato il 30 aprile 2008 ed affidato a quattro motivi, hanno impugnato il decreto della Corte d’appello di Campobasso depositato il 15 marzo 2007 che in parziale accoglimento della loro domanda di equa riparazione, formulata in relazione a processo civile ad oggetto il pagamento dell’indennità d’espropriazione, introdotto innanzi al Tribunale di Pescara con atto 18.3.87 e definito in appello con sentenza 17.2.2004, ha liquidato il danno non patrimoniale in Euro 2.235,00 in favore di ciascuna delle ricorrenti. Stimato in anni 6 e mesi 7 il segmento eccedente il limite di congruità apprezzabile per il processo presupposto, e rilevato che la causa era stata promossa tra le tre ricorrenti in vista di un risarcimento suddivisibile secondo le quote di comproprietà del bene espropriato, la Corte territoriale ha ripartito tra di loro l’importo del ristoro, equitativamente valutato nel suo intero ammontare in Euro 6.700,00 sulla base di Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo.
Il Ministero della Giustizia ha proposto a sua volta ricorso incidentale, in base a due motivi non dalle ricorrenti principale.

MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto hanno ad oggetto la stessa decisione.
Col primo motivo le ricorrenti richiamano l’obbligo del giudice nazionale di uniformarsi alla giurisprudenza CEDU vincolante in sede nazionale e, citando i principi ricavabili dai precedenti richiamati che riconoscono indennizzo per la durata irragionevole nella misura compresa fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per ciascun anno di ritardo, lamentano inadeguata liquidazione del danno.
Formulano quadruplice quesito di diritto pertinente alla censura svolta, con cui si chiede se l’applicazione nell’ordinamento interno di norma della Convezione possa discostarsi dall’interpretazione del giudice europeo che ha individuato il parametro annuo richiamato e se l’inosservanza configura violazione di legge.
II motivo espone critica ed enuncia correlato quesito di diritto generici e privi di collegamento con la fattispecie in esame.
La Corte territoriale ha liquidato l’indennizzo richiesto dalle istanti sulla base di parametro annuo conforme al criterio ritenuto congruo in sede europea, lo stesso invocato dalle istanti, seppur nella sua soglia minima di Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo.
In parte qua il motivo è perciò infondato.
Nel resto è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi.
La Corte territoriale ha ripartito pro-quota la somma ritenuta congrua sulla base del suddetto standard fra le tre ricorrenti, ma di tale frazionamento le ricorrenti non si dolgono. Il denunciato errore di diritto non è infatti riferito a suddetta ripartizione.
Ne discende l’inammissibilità del motivo.
Il secondo ed il terzo motivo con cui si denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e vizio di motivazione, non espongono nè il quesito di diritto nè la sintesi conclusiva che consenta di cogliere il fatto controverso e sono perciò inammissibili.
Il quarto motivo, con cui si denuncia violazione del medesimo disposto normativo, si conclude con quesito di diritto generico.
Il quinto motivo, che denuncia violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU, lamentando omesso accertamento della denunciata violazione di tale disposto normativo, e si conclude con correlato quesito di diritto, è anch’esso generico, risultando affidato ad astratto enunciato la cui asserita omessa applicazione si chiarisce in quali termini abbia inficiato la decisione censurata.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Analoga sorte merita il ricorso incidentale.
Il primo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione al computo della durata del processo presupposto ed enuncia quesito di diritto con cui si chiede d’affermare il principio se nel calcolo anzidetto debba farsi riferimento non già ai singoli rinvii e/o alle medie temporali aritmeticamente ad esse riferite, ma alla media del giudizio nel suo complesso. L’amministrazione ripercorre la vicenda processuale nella sua scansione, rilevando la non addebitabilità alla sua condotta processuale dei differimenti riferiti.
Il motivo è infondato. E’ pacifico che se i rinvii, quale che ne sia stata la ragione, siano stati superiori al termine posto dall’art. 81 disp. att. c.p.c., ed hanno comportato, valutati nel loro complesso, il superamento del termine ragionevole del processo, i relativi periodi devono essere computati al fine di stabilire quale sia l’eccesso di durata rispetto alla soglia di accettabilità della tempistica processuale in relazione alla vicenda considerata – Cass. n. 2251/2007, n. 9 del 2008.
La Corte territoriale ha condotto la sua indagine su tale solco ed quindi pervenuta a conclusione immune da errore.
Il secondo motivo denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3, e deduce che il processo presupposto, in quanto definito in primo grado con una prima sentenza parziale e quindi con pronuncia definitiva, doveva equipararsi, in relazione a tale fase, a giudizio articolatosi in due gradi. Si conclude con formulazione di quesito di diritto pertinente alla censura.
Anche questo motivo è infondato.
Secondo quanto si riferisce nel motivo in esame, il collegio giudicante nel primo grado di giudizio del processo considerato, emise sentenza non definitiva ai sensi dell’art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4, con cui rigettò l’eccezione di prescrizione dell’azione esperita dalle istanti e dispose la prosecuzione del giudizio per la definizione del merito. Ne discende, agli effetti dell’apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6 par. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che il processo doveva essere preso in considerazione in relazione all’intero svolgimento del grado considerato, dalla sua introduzione fino al momento della decisione che ha definito il merito, così da sommarne globalmente la durata, poichè la pronuncia parziale, determinata dalla rimessione anticipata al collegio di questione preliminare di merito, non avendo contenuto negativo, non chiuse il giudizio di primo grado, che si concluse invece con la sentenza definitiva che esaurì l’oggetto della controversia definendolo nel merito.
Per tale ragione la decisione della questione preliminare con sentenza non definitiva non presentava autonomia rispetto alle statuizioni riservate al prosieguo del processo, le quali rappresentano l’unico ed esclusivo parametro d’individuazione del dies ad quem rilevante per il computo della durata di quell’unico grado di giudizio.
Al quesito di diritto deve perciò rispondersi affermando che nel caso in cui nel processo di primo grado il collegio abbia pronunciato sentenza non definitiva ai sensi dell’art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4, con cui abbia respinto una questione preliminare o pregiudiziale disponendo il prosieguo del giudizio per la trattazione del merito, il computo della ragionevole durata del processo va determinato dalla data d’introduzione del giudizio sino alla data della decisione definitiva, assunta in quel grado, che esaurisce l’oggetto della controversia.
La Corte siciliana si è attenuta a tale principio e pertanto la sua decisione è immune da critica.
Tanto premesso, anche questo ricorso deve essere respinto con compensazione delle spese del presente giudizio, in ragione della reciproca soccombenza delle parti.

P.Q.M.
LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 2 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2010