Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Ancona ha rigettato il ricorso proposto da P.G. (Ndr: testo originale non comprensibile), per la condanna del Ministero della Giustizia a corrispondergli l’equa riparazione per durata irragionevole di un processo penale per usura iniziato il 5 febbraio 2001 su denuncia della società di autotrasporti di cui è socio e conclusosi il 20 febbraio 2007 con sentenza dichiarativa di estinzione del reato per prescrizione.
Hanno rilevato i giudici del merito che nè F.G. nè la società per cui agisce si erano costituiti parti civili, nel processo penale, nel quale s’era costituita esclusivamente Z. G., altra denunciante, ma solo nel 2006. Sicchè non v’era per la fase successiva durata irragionevole del processo.
Ricorre per cassazione P.G. (Ndr: testo originale non comprensibile) e lamenta l’ingiustificata disparirà di trattamento tra persona offesa e indaga Lo nel riconoscimento dei diritto all’equa riparazione per durata irragionevole del processo, sostenendo che il diritto va riconosciuto a chiunque sia danneggiato.
Indipendentemente dall’assunzione della qualità di parte.
Aggiunge che, quando vi sia stata costituzione di parte civile, rileva anche la durata precedente del processo, posto che la persona offesa è soggetta a patema d’animo anche prima di intervenire nei processo.
Il ricorrente ha depositalo memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Non v’è dubbio che la L. n. 89 del 2001, art. 2, rinvii alla C.E.D.U.) per l’individuazione dei soggetti legittimati alla domanda di equa riparazione. Dispone infatti che la legittimazione spetta a chi abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione "sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1".
E’ all’art. 6, p. 1, della Convenzione che occorre dunque fare riferimento; in particolare alla definizione del diritto alla durata ragionevole come legittima pretesa di qualsiasi persona che attenda da un tribunale la decisione "sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta".
E, in realtà questa definizione del soggetto legittimato a chiedere l’equa riparazione corrisponde alla definizione che dottrina e giurisprudenza danno dei soggetti qualificabili come parti di un procedimento penale.
Viene definito parte, infatti, il soggetto titolare di un diritto di azione da cui derivi per il giudice un dovere di decidere nel merito delle sue domande. E quindi si esclude che rivesta la qualità di parte un soggetto come la persona offesa (Cass., sez. un. pen., 16 dicembre 1998, Messina, m. 212077, Cass., sez. 6^, 13 febbraio 2009, Barogi, m. 243836), che pure può svolgere un’attività particolarmente incisiva nella fase procedimentale, in particolare nel procedimento di archiviazione, facendo sorgere per il giudice o anche per il pubblico ministero il dovere di pronunciarsi su talune sue richieste, anche se non sul merito dell’accusa.
E’ ad esempio la natura procedimentale, e non di merito, della decisione di archiviazione a escludere che con un tale provvedimento si applichino sanzioni ( C. cost., 15 luglio 19 93, n. 319); e a precludere di conseguenza il riconoscimento del "a qualità di parte alla persona offesa, che pure, come s’è detto, può intervenirvi con un ruolo attivo.
E’ condivisibile pertanto la giurisprudenza civ lo di questa corte, che esclude la legittimazione alla domanda di equa riparazione per la persona offesa non costituitasi parte civile nel procedimento penale protrattosi oltre i limiti della durata ragionevole (Cass., sez. 1^, 23 gennaio 200.3, n. 9 96, m. 560444, Cass., sez. 1^, 20 gennaio 2006, n. 1184, m. 588638, Cass., sez. 1^, 27 febbraio 2007, n. 4476, m. 595278). E sarebbe contraddittorie con questa impostazione riconoscere il diritto all’equa riparazione anche per la durata del procedimento precedente alla costituzione di parte civile.
Ne consegue il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente alle spese.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2010