p.1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: " D.O. adiva la Corte d’appello di Venezia, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, in riferimento al giudizio promosso innanzi alla Corte dei conti, con ricorso del 9.1.00, avente ad oggetto la riliquidazione della pensione, non ancora definito.
La Corte d’appello, con decreto del 26.11.2007, fissato il termine di ragionevole durata del giudizio in anni tre, liquidava, a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale, per il periodo eccedente detto termine (anni 3, mesi 9), Euro 500,00 per anno di ritardo, quindi complessivi Euro 1.875,00, tenuto conto del carattere collettivo del ricorso, con il favore delle spese del giudizio.
Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso D. O., affidato a tre motivi; non hanno svolto attività difensiva la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero dell’economia e delle finanze.
Osserva:
1.- Il primo motivo denuncia violazione della L. n. 89 del 2001; art. 2, art. 6, par. 1 e art. 41 CEDU (art. 360 c.p.c., n. 3), nella parte in cui il decreto ha stabilito il risarcimento per il danno non patrimoniale discostandosi dal parametro della Corte EDU (Euro 1.000,00 ad anno), in considerazione dell’entità della posta in gioco e del carattere collettivo del ricorso, senza considerare che il danno è da ritenersi presunto.
Il mezzo si chiude con quesito di diritto concernente i presupposti del discostamento dal parametro della Corte EDU e la possibilità di attribuire rilievo al carattere collettivo del ricorso.
Il secondo motivo denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2; art. 6, par. 1 e art. 41 CEDU, art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nella parte in cui il decreto ha stabilito il risarcimento per il danno non patrimoniale discostandosi dal parametro della Corte EDU (Euro 1.000,00 ad anno), in difetto di circostanze provate dalla controparte e tenendo conto della posta in gioco.
Il mezzo si chiude con quesito di diritto concernente i presupposti del discostamento dal parametro della Corte EDU e l’onere della prova sul punto, nonchè la possibilità di valorizzare la posta in gioco.
Il terzo motivo denuncia difetto di motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui il decreto ha motivato la quantificazione del risarcimento facendo riferimento alla posta in gioco, senza considerare che la controversia avente ad oggetto l’aumento del trattamento di quiescenza non può considerarsi di modesta entità.
2.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte, concernente anche il caso del ricorso in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, il ricorso per cassazione indirizzato e notificato a un’Amministrazione dello Stato non legittimata processualmente e che mai è stata parte del giudizio di merito, svoltosi legittimamente in contraddittorio con quella legittimata ai sensi della L. n. 89 del 2001, deve ritenersi inammissibile, senza che possa ravvisarsi un mero errore d’identificazione della persona alla quale il ricorso doveva essere notificato, della L. 25 marzo 1958, n. 260, ex art. 4 (Cass. n. 4864 del 2006; n. 6181 del 2003).
Posta questa premessa, va osservato che la L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3, disponeva che il ricorso diretto ad ottenere l’equa riparazione deve essere proposto nei confronti del Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, al Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare, del Ministro delle finanze quando si tratta di procedimenti del giudice tributario. Negli altri casi è proposto nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il citato art. 3, comma 3, è stato modificato dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1224, che ora stabilisce: il ricorso è proposto nei confronti del Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, al Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare. Negli altri casi è proposto nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze.
Il comma 1225 di quest’ultima legge reca tuttavia una norma transitoria che così prevede: Le disposizioni di cui al comma 1224 si applicano ai procedimenti iniziati dopo la data di entrata in vigore della presente legge (i successivi periodi riguardano la modalità dei pagamenti e non rilevano in questa sede).
La modifica della legittimazione introdotta alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, riguarda esclusivamente i giudizi iniziati nella fase di merito successivamente all’entrata in vigore della modifica introdotta dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, non quelli iniziati prima e ritualmente svoltisi e definiti nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri.
In applicazione dei suesposti principi, poichè il giudizio di merito è stato correttamente proposto con ricorso del 2006 nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, il ricorso per cassazione doveva essere notificato a detta Amministrazione, con la conseguenza che è manifestamente inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze.
3.- I motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto giuridicamente e logicamente connessi, sembrano soltanto in parte manifestamente fondati, entro i limiti e nei termini di seguito precisati.
Alle questioni poste con i motivi va data soluzione ribadendo i seguenti principi, consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, in virtù dei quali:
i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 4572 e n. 3515 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, a quelle da ultimo richiamate, aggiungi Cass. n. 6039 del 2009; n. 6898 del 2008);
la posta in gioco è una componente valutabile al fine della quantificazione del risarcimento, costituendo regola di comune esperienza che la sofferenza per il mancato conseguimento del bene della vita cui la parte aspira varia in relazione al valore ed all’importanza del medesimo. La misura dell’interesse patrimoniale in gioco condiziona, all’evidenza, l’entità del risarcimento, poichè l’aspettativa della parte, e la tensione per la mancata risoluzione della vicenda processuale, è ovviamente condizionata, ed è direttamente proporzionale, in primo luogo, agli effetti patrimoniali che ella mira a conseguire; in secondo luogo, alla ragionevolezza della aspettativa della medesima. Dunque, sebbene l’infondatezza della domanda non possa, da sola, fare escludere il danno, anche siffatto elemento rileva ai fini dell’apprezzamento della tensione e dello stress della parte, evidentemente graduabile anche in correlazione al convincimento, suffragato da oggettivi elementi, in ordine alla probabilità di accoglimento della domanda;
la circostanza che il danno non patrimoniale, di regola, deve ritenersi presunto, non esclude che la parte sia tenuta ad un onere di allegazione di tutti gli elementi imprescindibili per adeguare il risarcimento al danno effettivamente subito, che peraltro sono nella sua disponibilità (riferibili anche alla propria situazione economico-patrimoniale, che costituisce dato per apprezzare l’importanza della posta in gioco per la parte), anche allo scopo di evitare che la domanda di indennizzo sottenda, e realizzi, un inammissibile intento lucrativo, in luogo di quello satisfattivo e di dare concretezza ad una liquidazione che, pur se ispirata a criteri equitativi, va ancorata ad elementi concreti, in grado di evidenziare il danno effettivo, per evitare che la discrezionalità del giudice divenga arbitrio e che la domanda sconfini dai limiti del legittimo risarcimento;
la proposizione di un ricorso in forma collettiva e indifferenziata non equivale a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo consorte in lite (Cass. n. 27610 del 2008) e non consente, in carenza di ulteriori argomenti, un irragionevole discostamento dal parametro della Corte EDU;
la precettività, per il giudice nazionale, della giurisprudenza del giudice europeo non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo per l’equa riparazione, essendo rilevante soltanto il periodo eccedente la durata ragionevole (per tutte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 11566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007). Relativamente alla misura dell’indennizzo, una serie di sentenze della Grande Camera della Corte EDU del 29 marzo 2006 (rese sui ricorsi n. 64699/01, n. 64705/01, n. 64886/01, n. 64890/01, n. 64897/01, n. 65075/01) hanno, tra l’altro, sottolineato:
in primo luogo, che, quando uno Stato ha compiuto un passo significativo introducendo un rimedio risarcitorio, la Corte deve lasciare allo Stato un margine di valutazione più ampio per consentirgli di organizzare il rimedio in un modo coerente con il proprio ordinamento giuridico e con le proprie tradizioni, e conforme al tenore di vita nel paese interessato, così che sarà più facile per i giudici nazionali far riferimento agli importi concessi a livello interno per altri tipi di danno – ad esempio, lesione personale, danno derivante dal decesso di un familiare o danno per diffamazione – e basarsi sul proprio intimo convincimento, anche se ciò si traduce in concessioni di importi inferiori rispetto a quelli fissati dalla Corte in casi simili (in particolare, par. 78, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso 64890/01);
in secondo luogo, che gli importi concessi dal giudice nazionale possono essere inferiori a quelli da essa liquidati, purchè non irragionevoli, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato (così par. 95, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso 64890/01, ma analogamente le altre pronunce), evidenziando, peraltro, l’impossibilità e l’impraticabilità del tentativo di fornire un elenco di spiegazioni dettagliate che comprenda ogni eventualità, al fine di enunciare criteri certi ed applicabili automaticamente per la liquidazione dell’indennizzo (par. 136, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso n. 64705/01);
in terzo luogo, come vi sia una forte ma confutabile presunzione che un procedimento eccessivamente lungo causi un danno non patrimoniale, ammettendo nondimeno che, in alcuni casi, la durata del procedimento possa causare solo un minimo danno non patrimoniale o anche nessun danno non patrimoniale (par. 93, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso 64890/01 e le altre sentenze sopra richiamate), mentre è certo che l’esigua entità della posta in gioco può avere un effetto riduttivo dell’entità dell’indennizzo, sebbene non totalmente esclusivo dello stesso (par. 6, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso n. 64705/01);
in quarto luogo, che è anche irrilevante la circostanza che il metodo di computo previsto dal diritto interno non corrisponda esattamente ai criteri stabiliti da essa stabiliti, qualora consenta di concedere importi che non siano irragionevoli (par. 104, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso n. 64705/01); infine, in una serie di casi nei quali il risarcimento riconosciuto dal giudice italiano era inferiore alla somma che essa avrebbe riconosciuto, la Corte EDU ha concesso una ulteriore somma, ma sino ad una soglia pari a circa il 45% del risarcimento che essa avrebbe attribuito (sentenze 29 marzo 2006, sul ricorso 64890/01, nonchè sul ricorso n. 62361/00, n. 64705 del 2001).
Pertanto, la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo rende possibile affermare che, ferma la presunzione di sussistenza del danno non patrimoniale -salvo che non ricorrano circostanze che permettano di escluderlo-, qualora la parte non abbia allegato, comunque non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza di detto danno (costituiti, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, imponga una quantificazione che, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo. La fissazione di detta soglia si impone, alla luce delle sentenze sopra richiamate del giudice europeo, in quanto occorre tenere conto del criterio di computo adottato da detta Corte (riferito all’intera durata del giudizio) e di quello stabilito dalla L. n. 89 del 2001 (che ha riguardo soltanto agli anni eccedenti il termine di ragionevole durata), nonchè dell’esigenza di offrire di quest’ultima un’interpretazione idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine di detta L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con la norma della CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo.
In applicazione di tali principi, che vanno formulati in relazione ai quesiti di diritto proposti, le censure meritano accoglimento, in quanto il giudice del merito ha liquidato per il danno non patrimoniale circa Euro 500,00 per anno di ritardo, discostandosi in modo irragionevole dal parametro del giudice europeo, facendo solo riferimento al carattere collettivo del ricorso.
In relazione alle censure accolte, il decreto deve essere cassato e la causa potrà essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.
La circostanza che il ricorso è affidato ad argomenti stereotipati, non avendo neppure in questa sede l’istante indicato quali sarebbero gli effetti concreti della domanda, in caso di accoglimento e quale la sua situazione economico-patrimoniale, rende peraltro palese che, in applicazione dello standard minimo CEDU per il risarcimento del danno non patrimoniale – che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius -, da quantificare per le ragioni sopra svolte in Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo, stante l’assoluta carenza di elementi addotti dalla parte per apprezzare la sussistenza di un più elevato danno, potrebbe essere riconosciuta all’istante la somma di Euro 2.808,00, in relazione agli anni eccedenti il triennio, come incensurabilmente accertato dal giudice del merito (anni 3 e mesi 9), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.
Le spese, liquidate come in dispositivo, potrebbero seguire la soccombenza, per la fase di merito e per questa fase, relativamente alla metà, compensata la residua parte, stante il parziale accoglimento del ricorso.
Pertanto, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge".
La difesa del ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., con la quale manifesta adesione alle conclusioni della relazione.
p.2.- Il Collegio condivide e fa proprie le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso, con le seguenti precisazioni.
Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.
In relazione alle censure accolte, cassato il decreto, ben può procedersi alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Pertanto, per le ragioni indicate nella relazione il Ministero resistente deve essere condannato al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 2.999,00 oltre interessi legali dalla domanda nonchè al rimborso delle spese processuali del grado di merito, liquidate in dispositivo, nonchè, nella misura di 1/2 di quelle di legittimità, compensate per il resto alla luce del limitato accoglimento del ricorso.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 2.999,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:
che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 280,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario; che compensa in misura di 1/2 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/2 e che determina per l’intero in Euro 595,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2010