1. – G.G. e Gi., insieme a S.T., con ricorso alla corte d’appello di Venezia, hanno proposto una domanda di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo.
La corte d’appello ha in parte accolto la domanda.
Ha considerato che avere i ricorrenti lasciato che il giudizio introdotto davanti al T.A.R. fosse dichiarato perento, in applicazione della L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9, non escludeva che in precedenza per la protrazione ultradecennale del processo avessero sopportato un danno non patrimoniale.
Ha liquidato il risarcimento in favore di ciascuno degli attori in 8.000,00 Euro con gli interessi dalla data della domanda.
2. – Il decreto della corte d’appello, pronunciato il 19.6.2007 e notificato il 7.9.2007, è stato impugnato dalla Presidenza del Consiglio con ricorso notificato il 14.11.2007.
Le parti private vi hanno resistito con controricorso, illustrato da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso contiene un motivo.
La cassazione del decreto vi è chiesta per il vizio di violazione di norme di diritto (art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in relazione alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2).
Il motivo è concluso dal seguente quesito: – "..se la Corte d’appello di Venezia, nel ritenere sussistenti le condizioni di legge per l’indennizzo ex L. n. 89 del 2001, in un procedimento concluso con la declaratoria di perenzione prescindendo totalmente dalla prova dell’esistenza del danno morale, abbia fatto erronea applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, secondo cui il danno va dimostrato ove ricorrano nel caso concreto circostanze particolari che inducano ad escludere che il ricorrente abbia subito un turbamento psichico a causa dell’eccessiva durata del giudizio".
Oppongono i resistenti che il quesito non è formulato in modo idoneo ed il motivo è inammissibile.
2. – Il ricorso non è fondato.
La questione che si pone in questo caso nasce dall’avere il legislatore, con la L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9, introdotto l’istituto della perenzione ultradecennale dei ricorsi al tribunale regionale amministrativo; questa perenzione si articola nella successione delle seguenti fasi: decorso del termine di dieci anni dal deposito del ricorso, senza che sia stata fissata l’udienza di discussione; invito alle parti a presentare una nuova istanza di fissazione di udienza nel termine di sei mesi; mancata risposta all’invito il termine di dieci anni è stato poi ridotto a cinque anni dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 58, conv. in L. 6 agosto 2008, n. 133.
Il quesito, in quanto conclude un motivo di violazione di norma di diritto, si presta ad essere esaminato nella misura in cui l’interrogativo posto alla Corte è se, sulla base di questo quadro normativo, nel diverso ambito della disciplina sull’equa riparazione, l’atteggiamento di disinteresse per la decisione di merito, manifestato una volta decorso il decennio, determini l’insorgere d’una presunzione di analogo disinteresse, anche per il passato, con conseguente onere delle parti di fornire elementi idonei a vincerla:
sicchè, il giudice della domanda di equa riparazione, se tali elementi non siano allegati o non risultino dal processo, incorre in vizio di violazione di norma di diritto, quando riconosce l’equa riparazione, facendo leva, per ritenere sussistente il danno non patrimoniale sul solo inutile decorso del tempo.
Così posta, la questione non è fondata.
A proposito della domanda che ha dato inizio al giudizio presupposto si può formulare un giudizio, per cui, già nel momento in cui venne proposta, non avrebbe potuto non essere rigettata, avuto riguardo alla chiarezza delle norme e ad un’interpretazione in tal senso già affermata: in questo caso, la domanda di equa riparazione deve essere rigettata.
Ma se un giudizio di questo tipo non può essere formulato, allora il ricorso al processo si rivela non strumentale ed abusivo e dunque la sua protrazione oltre il ragionevole giustifica la presunzione che dal ritardo nella decisione sia derivato alle parti quel senso di frustrazione, che fonda il risarcimento del danno non patrimoniale.
D’altro canto, la norma sulla perenzione non ha essa stessa introdotto una presunzione di disinteresse per la decisione di merito al decorrere di un tempo definito dopo che la domanda è stata proposta, ma ha richiesto che le parti fossero messe in grado di soffermarsi sull’attualità dell’interesse alla decisione e di manifestarlo.
Non è poi il caso di soffermarsi sulla disposizione introdotta dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, conv. con modif. nella L. 6 agosto 2008, n. 133, che ha configurato una condizione di proponibilità della domanda, in ciò che nel giudizio davanti al giudice amministrativo non sia stata presentata un istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51: la disposizione è sopravvenuta dopo che il giudizio presupposto s’era concluso, attribuendo alla mancata presentazione dell’istanza una valenza, nel giudizio di equa riparazione, che per l’avanti le era negata in modo costante (Cass. 2 aprile 2008 n. 8491 tra le tante).
Nella situazione anteriore, mentre sarebbe quindi infondata la postulazione della presenza di un danno dopo che le parti abbiano lasciato maturare le condizioni per la perenzione, sarebbe invece giustificata una valorizzazione dell’atteggiamento, che hanno tenuto in passato, come sintomo di un interesse per la decisione mano a mano decrescente e base per una conseguente decrescente valutazione del danno e del relativo risarcimento.
Ma è questo un aspetto rimasto estraneo al presente giudizio.
3. – Il ricorso è rigettato.
La ricorrente è condannata al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri a pagare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 1.360,00, di cui Euro 1.260,00, per onorari di avvocato, con l’aggiunta del rimborso forfetario delle spese generali e degli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di cassazione, il 11 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2010