Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di L.I. avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Salerno, in data 6.5.2009, con la quale è stata respinta la richiesta di medesimo L. di liquidazione di una somma a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta per 240 giorni per il delitto di omicidio aggravato, per il quale era stato emesso decreto di archiviazione, a norma dell’art. 405 c.p.p., comma 1 bis, dopo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione del P.M. contro l’ordinanza del tribunale del riesame di annullamento dell’ordinanza cautelare per carenza dei gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p..
Secondo la Corte territoriale, la pronuncia di incostituzionalità dell’art. 405 c.p.p., comma 1 bis, emessa dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 121 del 2009 aveva fatto venir meno il provvedimento di archiviazione adottato in base a quella norma e, quindi, il presupposto stesso dell’istanza di equa riparazione, non essendovi più un provvedimento di "chiusura" del procedimento in senso favorevole all’istante. Con i tre motivi di ricorso si lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, ripetendo, sotto diverse prospettive, la tesi che il decreto di archiviazione in parola va ritenuto uno di quelle situazione giuridiche "esaurite" sulle quali la pronuncia d’incostituzionalità della norma non esplica alcun effetto.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento dell’impugnata ordinanza con rinvio.
E’ stata depositata, ad opera dell’Avvocatura Generale dello Stato, una memoria nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze con cui si rileva l’infondatezza manifesta del ricorso. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Infatti, come condivisibilmente osservato dal P.G., dal testo dell’impugnata ordinanza non risulta con esattezza quale sia la situazione processuale verificatasi nel caso in esame dopo la dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 405 c.p.p., comma 1 bis, non potendosi trarre elementi decisivi dall’espressione "dopo la suddetta sentenza della Corte Costituzionale non può ritenersi sussistente una situazione esaurita, piuttosto una situazione giuridica sensibile alla dichiarazione di incostituzionalità"; in altri termini, non può ritenersi che il decreto di archiviazione, emesso su richiesta del P.M., al quale nessuno ha fatto opposizione, possa essere superato altrimenti che a norma dell’art. 414 c.p.p., cioè con una riapertura delle indagini, motivata dalle esigenze di nuove investigazioni, ipotesi applicabile sempre, e quindi anche nel caso in esame. Se non ricorre tale eventualità, il decreto di archiviazione chiude una fase processuale, e quindi rientra nei casi di preclusione processuale, esclusi per definizione dall’ambito di operatività della pronuncia di incostituzionalità, come riconosce la stessa ordinanza impugnata:
va richiamata a proposito di casi analoghi, la giurisprudenza sulla inoperatività della pronuncia di incostituzionalità di una norma sulla ricusazione del giudice, pronuncia emessa quando il processo era ancora pendente, ma in fase ulteriore rispetto a quella di primo grado (Cass. pen. Sez. 6, del 24.5.2000 n. 10790 Rv. 218336) secondo la quale, "La declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma processuale ha effetto anche nei giudizi in corso con il limite delle situazioni esaurite. In tema di incompatibilità del giudice ex art. 34 c.p.p., deve ritenersi "esaurita" la situazione processuale quando la causa di incompatibilità sia insorta, sulla base della pronuncia della Corte costituzionale, in epoca successiva alla chiusura del grado di procedimento cui l’incompatibilità si riferisce. (Fattispecie in tema di declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p. di cui alla sentenza della Corte del 17 giugno 1999, n. 241)".
La stessa sentenza delle Sezioni Unite, citata nell’impugnata ordinanza, va letta nel senso che un rapporto processuale privo di possibili sviluppi deve intendersi esaurito e quindi non più soggetto agli effetti della pronuncia di incostituzionalità (Cass. pen. Sez. Un., 29.3.2007 n. 27614 Rv. 236535): "La sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge ha efficacia "erga omnes" – con l’effetto che il giudice ha l’obbligo di non applicare la norma illegittima dal giorno successivo a quello in cui la decisione è pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica – e forza invalidante, con conseguenze simili a quelle dell’annullamento, nel senso che essa incide anche sulle situazioni pregresse verificatesi nel corso del giudizio in cui è consentito sollevare, in via incidentale, la questione di costituzionalità, spiegando, così, effetti non soltanto per il futuro, ma anche retroattivamente in relazione a fatti o a rapporti instauratisi nel periodo in cui la norma incostituzionale era vigente, sempre, però, che non si tratti di situazioni giuridiche "esaurite", e cioè non più suscettibili di essere rimosse o modificate, come quelle determinate dalla formazione del giudicato, dall’operatività della decadenza, dalla preclusione processuale. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che ricorresse una situazione "esaurita" nel caso di appello del P.M. avverso sentenza assolutoria, dichiarato inammissibile per effetto della L. n. 46 del 2006, art. 1 e art. 10, comma 2, che ne precludevano la esperibilità, pur dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle relative disposizioni – C. cost.
n. 26 del 2007 -, stante l’inerzia della parte pubblica, la quale, non avendo assunto alcuna iniziativa processuale intesa a prevenire il consolidarsi della inammissibilità, mediante la preliminare deduzione di incostituzionalità delle suddette disposizioni o l’esercizio della facoltà, prevista dalla L. n. 46 del 2006, art. 10, comma 3, di proporre ricorso per cassazione entro 45 giorni dalla notifica della ordinanza di inammissibilità dell’appello, aveva di fatto prestato ad essa acquiescenza). V. Corte cost., 6 febbraio 2007, n. 26.". Nè va sottaciuta la corretta osservazione contenuta in ricorso, secondo la quale il presupposto della richiesta di riparazione è non già la richiesta di archiviazione del P.M., bensì il decreto di archiviazione disposto dal GIP, decreto che non è neanche indirettamente correlato all’obbligo di cui all’art. 405 c.p.p., comma 1 bis quanto piuttosto frutto, formalmente e sostanzialmente, del libero ed autonomo convincimento del GIP nell’instaurato contraddittorio delle parti, mediante il vaglio del fascicolo delle indagini.
Sulla base delle esposte considerazioni, occorre concludere che ci si trova di fronte sia ad una palese violazione di legge,sia ad un innegabile vizio della motivazione inquadrabile, indifferentemente, nella categoria tradizionale della manifesta illogicità o della contraddittorietà, ovvero in quella introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b).
Consegue l’annullamento dell’impugnata ordinanza con rinvio alla Corte di Appello di Salerno per nuovo esame.

P.Q.M.
Annulla l’impugnata ordinanza e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Salerno.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010