Con decreto 1 giugno 2007, la Corte d’appello di Roma, decidendo sulla domanda proposta dal signor T.G., condannò il Ministero della giustizia a pagare, a titolo di equa riparazione per l’eccessiva durata di un processo, protrattosi per dodici anni oltre il termine ragionevole, la somma di Euro 3.500,00 per un ritardo di sette anni, dichiarando prescritto il diritto alla riparazione del danno anteriore al quinquennio.
Per la cassazione del decreto, che dichiara non essere stato notificato, ricorre il signor T.G. con atto notificato in data 17 luglio 2008, con due mezzi d’impugnazione.
L’amministrazione resiste con ricorso notificato il 10 ottobre 2008.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si censura il criterio di determinazione dell’equa riparazione commisurato al periodo di ritardo, invece che all’intera durata del giudizio.
Il mezzo è infondato, essendo giurisprudenza consolidata di questa corte che la precettività, per il giudice nazionale, dell’indirizzo della Corte Europea dei diritti dell’uomo in tema di liquidazione dell’indennità per l’irragionevole durata del processo non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore della base annuale di calcolo, perchè, mentre per la CEDU l’importo in questione quantificato va moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, lett. a), comma 3, ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Detta diversità di calcolo, peraltro, non tocca la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione Europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) (Cass. 13 aprile 2006 n. 8714; 23 aprile 2005 n. 8568).
Il secondo motivo censura per falsa applicazione di norme di diritto sulla prescrizione in materia di equo indennizzo ex L. n. 89 del 2001, l’applicazione, nell’impugnato decreto, del termine quinquennale di prescrizione ai danni verificatisi prima del triennio dalla domanda.
Le questione della prescrizione del diritto all’equa riparazione del danno derivato dall’irragionevole durata del processo deve essere qui esaminata nei limiti posti dal ricorso, nel quale la censura mossa all’impugnata sentenza verte esclusivamente sulla durata del termine. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa corte, il diritto ad un’equa riparazione in caso di mancato rispetto del termine ragionevole del processo ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, ha carattere indennitario e non risarcitorio, non richiedendo l’accertamento di un illecito secondo la nozione contemplata dall’art. 2043 c.c., e non presupponendo la verifica dell’elemento soggettivo della colpa a carico di un agente. Esso è invece ancorato all’accertamento della violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cioè di un evento "ex se" lesivo del diritto della persona alla definizione del suo procedimento in una durata ragionevole, configurandosi l’obbligazione, avente ad oggetto l’equa riparazione, non già come obbligazione "ex delieto", ma come obbligazione "ex lege", riconducibile, in base all’art. 1173 c.c., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico (Cass. 13 aprile 2006 n. 8712). Ne consegue, in tale prospettiva, che il diritto medesimo è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, e non a quella breve dettata dall’art. 2947 c.c., per il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito.
Il motivo di ricorso in esame deve pertanto essere accolto, e il decreto impugnato deve essere cassato in base al principio di diritto seguente:
il diritto di chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della. Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, p.1, della Convenzione, ad una equa riparazione, secondo quanto previsto dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, ha natura indennitaria e non risarcitoria, e ad esso non è applicabile il termine di prescrizione breve previsto dall’art. 2947 c.c..
La causa, inoltre, può essere decisa anche nel merito, non richiedendosi a tal fine ulteriori indagini in fatto. Non essendo emerso alcun motivo per derogare, in ragione della particolarità della fattispecie, agli ordinari criteri di liquidazione del danno, correnti nella giurisprudenza della CEDU, l’amministrazione deve essere condannata al pagamento dell’equa riparazione liquidata, per dieci anni di eccessiva durata del processo presupposto oltre il termine ragionevole, come richiesto, in Euro 10.000,00, con gli interessi dalla domanda.
Le spese del giudizio sono a carico dell’amministrazione soccombente, e sono liquidate, per il grado svoltosi davanti alla corte territoriale, in Euro 50,00 per esborsi, Euro 1.000,00 per onorari ed Euro 440,00 per diritti, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge, da distrarsi a favore dei procuratori antistatari, avvocati Sebastiano De Nigris e Carmen Cavuoto, come già disposto nel decreto impugnato.
Sono inoltre a carico dell’amministrazione soccombente le spese del grado di legittimità, liquidate come in dispositivo e distratte a favore dell’avvocato Carmen Cavuoto, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.
La corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente, a titolo di equa riparazione, la somma di Euro 10.000,00, con gli interessi dalla domanda al saldo, e le spese del giudizio, che determina:
per il giudizio davanti alla corte d’appello, in Euro 50,00 per esborsi, Euro 440,00 per diritti, Euro 1.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge, disponendo che siano distratte a favore dei procuratori antistatari, avvocati Sebastiano De Nigris e Carmen Cavuoto;
per il giudizio di legittimità, in Euro 1.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge, disponendo che siano distratte a favore dell’avvocato Carmen Cavuoto.
Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010