La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., dal consigliere relatore è del seguente tenore: " C.M. chiede, per quattordici motivi, la cassazione del decreto, emesso il 21 settembre 2006, con cui la Corte d’appello di Napoli gli ha riconosciuto la somma Euro 2.400,00, a titolo di equa riparazione dei danni non patrimoniali subiti in conseguenza della durata, ritenuta irragionevole in misura di tre anni, di un giudizio, avente a oggetto riconoscimento di salario individuale di anzianità, iniziato il 15 settembre 2000 davanti al tribunale T.a.r. della Campania e ancora pendente in primo grado. Non si difende la Presidenza del Consiglio.
Osserva:
I quattordici motivi di ricorso denunziano violazione e falsa applicazione di plurime norme di legge, nonchè vizi di motivazione.
Con i primi sette motivi, il C. critica la quantificazione dell’equa riparazione del danno non patrimoniale, deducendo che la corte territoriale ha: immotivatamente disapplicato i parametri indicati dalla corte di Strasburgo (da Euro 1000,00 a Euro 1.500,00 per anno di ritardo); considerato la controversia di scarso valore senza alcun riferimento alla situazione economica soggettiva di esso ricorrente; omesso di statuire sul bonus di Euro 2.000,00 richiesto in ragione della suddetta natura del credito vantato.
I motivi sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Sotto il primo profilo va rilevato che la corte territoriale, richiamando i parametri indennitari elaborati dalla giurisprudenza europea, ne ha motivato il lieve discostamento (Euro 800,00, anzichè Euro 1.000,00, per ogni anno di ritardo); al riguardo, ha sottolineato, da un canto, il particolare per cui il ricorrente non aveva presentato istanza di prelievo, mostrando di non nutrire particolare interesse a una rapida definizione del procedimento, e, dall’altro, il non rilevante valore della controversia, ovverosia l’effettiva posta in gioco.
Tale motivazione, priva di mende logiche e giuridiche e in linea con i principi affermati da questa Corte (Cass. sez. un. 28507/2005), non è stata specificamente censurata dal ricorrente il quale formula doglianze generiche, compendiandosi nella elencazione di principi affermati dalla Corte EDU e da questa Corte sul danno morale da durata irragionevole del processo, e prive di concreto riferimento al decreto impugnato. A riprova di ciò sta la circostanza che il ricorrente imputa alla corte di avere ridotto la liquazione avendo considerato la controversia di scarso valore, laddove dalla semplice lettura del provvedimento si evince che detto giudice non ha affatto definito con l’espressione come sopra virgolettata in ricorso la pretesa azionata nel giudizio presupposto e ha giustificato il discostamento dai parametri indennitari indicati dalla Corte EDU anche in considerazione del comportamento inerte del ricorrente, non attivatosi per sollecitare l’iter del procedimento mediante presentazione di istanza di prelievo.
D’altra parte, il discostamento risulta contenuto entro la soglia della ragionevolezza, per essere pari a meno di un terzo rispetto allo standard minimo indicato dalla Corte EDU. Sotto il secondo profilo si osserva che il c.d. bonus non è previsto dalla L. n. 89 del 2001, cui i giudici sono soggetti, quale forma di ristoro aggiuntivo e forfettario del danno non patrimoniale da irragionevole durata. In effetti, in quanto riferito alla natura della controversia, il bonus sembra appartenere a una tecnica liquidatoria, assolutamente discrezionale, del danno non patrimoniale, per la cui quantificazione in concreto, tuttavia, in base alla norma interna, vengono in rilievo diversi elementi da valutare complessivamente nel rispetto degli standard medi indicati dalla giurisprudenza sovranazionale.
Con gli altri sette motivi si censura la liquidazione delle spese.
I motivi appaiono fondati.
Per liquidare gli onorar i e i diritti la corte ha fatto riferimento, rispettivamente, ai nn. 57 e 70 della tabella professionale. Ma queste parti della tabella si riferiscono ai procedimenti speciali in camera di consiglio davanti a tribunali e corti d’appello, nei quali non si iscrivono quelli incoati L. n. 89 del 2001, ex art. 2, da considerare a tutti gli effetti giudizi ordinari.
Ove si condividano i superiori rilievi, sussistono i presupposti per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 375 c.p.c.".
2. – Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso nei limiti sopra precisati.
Ravvisandosi le condizioni per la decisione della causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la Corte può procedere direttamente alla liquidazione delle spese nella misura indicata in dispositivo secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati da questa Corte per cause similari e poste a carico della parte soccombente. Il limitato accoglimento del ricorso, per converso, giustifica la parziale compensazione delle spese del giudizio di legittimità nella misura di 2/3, da porre carico dell’Amministrazione per la parte rimanente.
Spese distratte.

P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente le spese del giudizio:
che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 311,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario;
che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 595,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010