p. 1.- La Corte d’appello di Napoli – adita da B.S. al fine di conseguire l’equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un processo pendente dal 18.11.1987 dinanzi al TAR Campania (avente ad oggetto richiesta di diversa decorrenza economica posizione di dipendente Comune Napoli) – con decreto del 21.11.2007 ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare al ricorrente la somma di Euro 16.500,00 a titolo di danno non patrimoniale nonchè al rimborso delle spese processuali, liquidate in Euro 608,63, distratte in favore del difensore anticipatario.
La Corte di merito, in particolare, ha accertato in tre anni il periodo di ragionevole durata del processo presupposto ed ha, per il ritardo di 16 anni e mesi 6, quantificato l’indennizzo in Euro 16.500,00 (Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo).
Per la cassazione di tale decreto B.S. ha proposto ricorso affidato a 16 motivi.
Il Ministero intimato resiste con controricorso contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo (relativo alla condanna alle spese).
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
p. 2. – Con i primi nove motivi di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001 e Convenzione Europea per i diritti dell’uomo, come interpretata dalla Corte Europea) e relativo vizio di motivazione, lamentando, in estrema sintesi, che la Corte di appello:
a) non ha ritenuto direttamente applicabile la C.E.D.U., sia erroneamente applicando la normativa italiana in contrasto con la C.E.D.U., dimenticando che la L. n. 89 del 2001 costituisce diretta applicazione della C.E.D.U. – specie art. 6 -, sia disattendendo la giurisprudenza Europea e l’interpretazione, i parametri dalla stessa enunciati e la relativa elaborazione ermeneutica;
b) non si è attenuta ai parametri minimi sanciti dalla giurisprudenza di Strasburgo in tema di quantificazione dell’equo indennizzo che non può essere inferiore a Euro 1.000,00-1.500,00;
c) non ha tenuto conto che, una volta accertata la irragionevole durata, deve essere riconosciuto l’equo indennizzo per tutta la durata del processo e non il solo periodo eccedente la ragionevole durata (cioè il solo ritardo) – ha liquidato il danno solo per la parte eccedente la durata ragionevole (ritardo) e non già per l’intera durata del processo.
d) non ha tenuto conto del bonus dovuto in ipotesi di cause in materia di lavoro;
e) ha erroneamente ritenuto la controversia presupposta di scarso valore;
Con i restanti motivi il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione e lamenta che il Giudice del merito:
f) non ha tenuto conto in sede di liquidazione delle spese dei parametri Europei ai quali doveva adeguarsi;
g) non ha motivato la liquidazione delle spese;
h) ha erroneamente applicato la tariffa professionale, richiamando le voci relative ai procedimenti speciali anzichè quelle relative al processo contenzioso.
p. 3.- Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Amministrazione controricorrente pone la questione – di cui al corrispondente quesito – se, quanto alle spese del procedimento per irragionevole durata del processo si applichi il principio espresso dalla Suprema Corte, sezioni unite penali, nella sentenza n. 35760/03, ove si afferma, con riguardo alle spese per il procedimento per la riparazione per ingiusta detenzione, che per la regolamentazione delle spese di parte debba trovare necessaria applicazione, come regola fondamentale dell’ordinamento, il principio di causalità, di cui la soccombenza è un elemento rivelatore, con la conseguenza che, nel procedimento di indennizzo per irragionevole durata del processo, quando l’Amministrazione non si costituisca, ovvero, pur costituendosi aderisca alla richiesta del privato o si rimetta al giudice, essa – che non ha dato causa al giudizio necessario – non può essere condannata alla rifusione in favore della controparte, di spese che non ha in alcun modo provocato.
p. 4.- Osserva la Corte che tutti i motivi di ricorso – fatta eccezione per le censure relative alle spese – sono manifestamente infondati.
Infatti, a più riprese questa Corte ha affermato che la L. n. 89 del 2001, art. 2 espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole (v., da ultimo, Sez. 1^, n. 28266 del 2008). Invero, "ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve aversi riguardo al solo periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non all’intero periodo di durata del processo presupposto. Nè rileva il contrario orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, poichè il giudice nazionale è tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto dell’art. 2, comma 3, lett. a), citata legge; non può, infatti, ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dei criteri di determinazione della riparazione della Corte Europea dei diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della norma nazionale, avendo la Corte costituzionale chiarito, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, essendo piuttosto configurabile come trattato internazionale multilaterale, da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne" (Sez. 1, Sentenza n. 14 del 03/01/2008 (Rv.
601232).
Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750, 00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.
Nella concreta fattispecie, poi, la Corte d’appello si è sostanzialmente attenuta ai parametri di liquidazione Cedu, avendo liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo.
Quanto alla richiesta di "bonus", va ricordato che "ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita" (Sez. 1, Sentenza n. 6898 del 14/03/2008).
p. 5 Le censure relative alle spese processuali e l’unico motivo di ricorso incidentale – stante l’intima connessione – possono essere esaminati congiuntamente.
Quanto alla censura formulata dall’Amministrazione controricorrente, osserva la Corte che essa, alla luce della giurisprudenza di questa Sezione, è infondata (cfr. sent. resa il 30.9.2009 sul ricorso n. 5280/2007) perchè "nulla, invero, consente di affermare che i giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, proposti ai sensi della L. n. 89 del 2001, si sottraggono all’applicazione delle regole poste, in tema di spese processuali, dagli artt. 91 e segg. c.p.c., trattandosi pur sempre di giudizi destinati a svolgersi dinanzi al giudice italiano e perciò disciplinati dalle disposizioni processuali dettate dal nostro codice di rito, ivi compresi gli articoli del codice dianzi citati.
L’applicazione di dette disposizioni comporta, perciò, che il giudice abbia anche la facoltà di disporre la compensazione totale o parziale delle spese di causa tra le parti, ove ravvisi le condizioni indicate dall’art. 92, comma 2, purchè motivi adeguatamente la sua decisione in tal senso".
Inoltre, nulla "impedisce alla pubblica amministrazione di predisporre i mezzi necessari per offrire direttamente soddisfazione a chi abbia sofferto un danno a cagione dell’eccessiva durata di un giudizio in cui sia stato coinvolto. Ma, anche indipendentemente da ciò, appare chiaro che la mancata costituzione in giudizio della parte convenuta non implica, di per sè, acquiescenza alla pretese dell’attore e, se può in concreto rendere meno dispendioso l’esercizio processuale del diritto di costui, non per questo giustifica che i costi di tale esercizio debbano restare a suo carico. Nè varrebbe, in un simile caso, invocare l’applicazione, in luogo del mero principio di soccombenza, del criterio d’imputazione delle spese processuali a chi al processo ha dato causa. E’ pur sempre da una colpa organizzativa dell’amministrazione della giustizia che dipende la necessità per il privato di ricorrere al giudice, al fine di conseguire l’indennizzo spettategli per l’eccessiva durata del processo, indipendentemente dal fatto che l’amministrazione convenuta scelga poi di costituirsi o meno nel giudizio di equa riparazione che ne consegue" (sent. 30.9.2009 cit.).
Le medesime considerazioni sono applicabili all’ipotesi di mancata contestazione della pretesa da parte dell’Amministrazione costituita che non offra, tuttavia, "direttamente soddisfazione a chi abbia sofferto un danno a cagione dell’eccessiva durata di un giudizio in cui sia stato coinvolto" (sent. 30.9.2009 cit.).
Quanto alla censura sub f), formulata dal ricorrente, va ricordato che "nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, e non deve tener conto degli onorari liquidati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, i quali attendono al regime del procedimento davanti alla Corte di Strasburgo, posto che la liquidazione dell’attività professionale svoltasi davanti ai giudici dello Stato deve avvenire esclusivamente in base alle tariffe professionali che disciplinano la professione legale davanti ai tribunali ed alle corti di quello Stato" (Sez. 1, Sentenza n. 23397 del 11/09/2008).
Peraltro, effettivamente "il processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, nè rientra tra quelli speciali di cui alle tabelle A) e B) allegate al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50, paragrafo 7 e voce 75, paragrafo 3), per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa allegata al D.M. n. 127 cit., i procedimenti in camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi" (Sez. 1, Sentenza n. 25352 del 17/10/2008). Per contro, la Corte di appello ha espressamente richiamato proprio tali ultime voci della tariffa.
In proposito, poi, va ricordato che "la parte che intende impugnare per cassazione la sentenza di merito nella parte relativa alla liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato ha l’onere dell’analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che si assumono violate e degli importi considerati, al fine di consentirne il controllo in sede di legittimità, senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti, giacchè l’eventuale violazione della suddetta tariffa integra un’ipotesi di error in iudicando e non in procedendo" (Sez. 2, Sentenza n. 3651 del 16/02/2007) e, nella concreta fattispecie, il ricorrente ha allegato al ricorso copia della parcella depositata dinanzi alla Corte territoriale.
In applicazione di tali principi, la considerazione che il decreto ha liquidato i diritti in Euro 101,00 esplicitamente richiamando la Tab.
A-7^, 50-B e la Tab. B-3^-75 rende palese la fondatezza della censura, dovendo invece applicarsi la Tab. B-1^ (per i diritti) e la Tab. A-4^ per gli onorari, ovviamente relativamente alle sole voci per le quali è stata documentata l’attività svolta.
Entro questi limiti il ricorso può essere accolto, mentre deve essere rigettato il ricorso incidentale. Il decreto va quindi cassato limitatamente al capo concernente le spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate.
Le spese di legittimità vanno compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso.

P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso principale nei termini di cui in motivazione e rigetta il ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente le spese del giudizio:
che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario;
che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2009