1. – E.S., con ricorso alla corte d’appello di Roma, depositato nel 2005, ha proposto una domanda di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo.
L’attrice ha dedotto che un giudizio da lei iniziato davanti al giudice del lavoro di Napoli con ricorso depositato il 18.7.2000, per ottenere gli interessi e la rivalutazione monetaria sul trattamento di disoccupazione e di mobilità, giudizio definito in primo grado con sentenza 6.7.2001, alla data del 13.3.2006 era ancora pendente in secondo grado, a seguito dell’appello proposto per le spese con ricorso da lei depositato il 19.6.2002.
La corte d’appello, con decreto 9.2.2006, ha rigettato la domanda.
Ha ritenuto che durata ragionevole del processo avrebbe dovuto essere quella di due anni per il primo grado e di uno anno e sei mesi per il secondo; che, sebbene la durata del giudizio in appello fosse stata superata, per essere ancora pendente dopo due anni e dieci mesi, tuttavia non lo era stata quella complessiva di tre anni e sei mesi, essendo trascorso invece il minor lasso di tempo di tre anni e cinque mesi; che si doveva ritenere che nessun danno non patrimoniale fosse stato sopportato dalla parte, che aveva ricorso in appello per le sole spese e lo aveva fatto dopo un anno.
2. – E.S. ha chiesto la cassazione del decreto.
Il Ministero della giustizia non ha resistito al ricorso.
Il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni scritte.
Ha chiesto che il ricorso sia rigettato.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso contiene cinque motivi.
La cassazione del decreto vi è chiesta, sotto vari aspetti, per il vizio di violazione di norme di diritto e di difetto di motivazione (art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 6.1.
CEDU e L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2).
2. – Nel primo motivo, si sostiene che i termini di durata del processo di due anni per il primo grado e di un anno e sei mesi per il secondo sono ragionevoli per i giudizi di cognizione che si svolgono con il rito ordinario, ma non per il processo del lavoro, per il quale dovrebbe invece ritenersi adeguato il termine di sei mesi, tanto più per un giudizio di appello vertente sul solo capo delle spese.
Un argomento analogo è già stato esaminato e dichiarato non fondato dalla Corte, con la sentenza 18 dicembre 2008 n. 29550.
La disciplina del processo del lavoro nei gradi di merito non contempla forme di organizzazione del procedimento volte a differenziarne il corso in rapporto all’oggetto della controversia e dunque il superamento della durata ragionevole va accertato in relazione ad uno standard comune al tipo di processo, che nella specie è stato quello tenuto in considerazione dalla corte d’appello.
Il motivo è dunque infondato.
Gli altri restano assorbiti, perchè vertono sulle conseguenze della non ragionevole durata del processo, che nel caso è rimasta esclusa.
3. – Il ricorso è rigettato.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2009