La Corte d’appello di Roma col decreto in esame depositato il 15 aprile 2005 ha respinto la domanda proposta dalle germane O. R., C. e G., odierne ricorrenti, tesa al riconoscimento del danno non patrimoniale, chiesto nell’importo di Euro 6.375,00, conseguente alla violazione del termine di ragionevole durata del processo, promosso innanzi al Tribunale di Napoli con ricorso del 10.6.98 e definito in sede di gravame con sentenza 29.1.2003, senza neppure operare tale computo, avendo escluso il danno, asseritamente sofferto dall’istante, in ragione della scarsa rilevanza economica della "posta in gioco" e della pochezza della materia del contendere avente ad oggetto domanda di pagamento di interesse e rivalutazione su prestazioni corrisposte in ritardo.
Col presente ricorso per cassazione le predette istanti impugnano tale decisione deducendo cinque mezzi non resistiti dal Ministero della Giustizia intimato. Chiedono liquidarsi a loro favore la somma di Euro 4.625,00.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Le ricorrenti col primo motivo ascrivono alla Corte territoriale di aver condotto la verifica sulla durata del processo presupposto, considerandolo nella sua duplice articolazione nelle fasi di merito ancorchè la loro domanda si riferisse al solo giudizio di gravame, col corollario che il limite di congruità sarebbe stato superato nella misura di 37 mesi.
In difformità dalla richiesta del P.G., che comunque non vincola questo collegio (cfr. Cass. n. 12384/05), il ricorso devesi dichiarare manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha correttamente verificato la congruità della durata della vicenda processuale senza parcellizzarla fra i due gradi di merito in cui essa si è snodata, dunque senza tenerli distinti, ma secondo apprezzamento sintetico e complessivo, dalla sua introduzione sino alla sua conclusione, sommandone globalmente la durata.
Ha pertanto fatto buon governo del principio consolidatosi nell’orientamento attestatosi nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. per tutte Cass. nn. 28864/2005, 18720/07), che s’intende ribadire senza necessità di rivisitazione, secondo cui la possibilità d’individuare degli standards di durata media ragionevole per ogni fase del processo, agli effetti dell’apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, p. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali come interpretato dalla Corte di Strasburgo, non smentisce l’inerenza di ciascuna fase all’unico processo da considerare, nè consente di affermarne la rilevanza autonoma.
La disamina condotta dalla Corte territoriale risulta pertanto immune dall’errore denunciato.
Piuttosto occorre rilevare, anche alla luce del precedente enunciato, che non rientra nella disponibilità della parte riferire la sua domanda ad un solo dei gradi del giudizio, optando evidentemente per quello in cui si sia prodotto sforamento dal limite di ragionevolezza, e segmentando a propria discrezione la vicenda processuale presupposta.
L’ipotizzabilità di tale disponibilità, che rimetterebbe alla mera discrezionalità della parte istante correlare la propria posizione di vittima del ritardo alla fase prescelta, è smentita dal testo della L. n. 89 del 2001, introduttiva del rimedio in esame che all’art. 2, comma 2, riferisce i canoni legali, che segnano le linee guida della valutazione sulla ragionevole durata demandata al Giudice, al "procedimento", dunque all’unitario percorso in cui si sia eventualmente scandito, secondo il dettato dell’art. 6, p. 41 della Convenzione EDU, che salvaguarda il diritto alla ragionevole durata del processo avuto riguardo alla sua complessiva articolazione.
Il diritto all’equa riparazione merita infatti accoglimento se lo spazio temporale del processo, avuto riguardo al suo svolgimento, risulta difforme dal limite di congruità generalmente accettabile in relazione alla natura del caso considerato, mentre deve essere escluso laddove il diverso decorso dei singoli momenti della vicenda esaminata abbia determinato in concreto una sorta di compensazione, al cui solo risultato finale occorre aver riguardo.
Tanto premesso, devesi rilevare che il computo della ragionevolezza eseguito dalla Corte romana, che ha ritenuto la congruità della durata del processo presupposto, perchè esaurito in appello in circa cinque anni dalla sua introduzione, appare a sua volta corretto, in quanto conforme al parametro cronologico medio elaborato dalla stessa giurisprudenza dei Giudici di Strasburgo, ai cui arresti le ricorrenti ancorano la censura in esame.
L’esame dei restanti motivi appare superfluo.
Il ricorso deve perciò essere respinto, omessa ogni pronuncia sulle spese in assenza d’attività difensiva dell’intimato.
 
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2008