Visto il ricorso, notificato il 14/03/2006, proposto, da E. A., avverso il decreto del 21/02-15/04/2005 della Corte di Appello di Roma che ha rigettato il ricorso da essa presentato, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, conseguente al mancato rispetto del termine ragionevole di durata di un procedimento introdotto (come si legge nel decreto), da esso E., con atto depositato nel 1998, innanzi al Tribunale del Lavoro di Nola, ed avente ad oggetto la richiesta di adeguamento automatico dell’indennità di mobilità, procedimento definito in 1^ grado con sentenza del 29 maggio 2003 gravata di appello tuttora pendente; rilevato, più in particolare, come la Corte territoriale, partendo dal presupposto di un giammai sussistito disagio psicologico di esso ricorrente in ragione dell’oggetto concreto della controversia e dell’entità ridotta delle somme reclamate, non sia passata alla quantificazione specifica del "ritardo" conosciuto dalla procedura (e si sia limitata invece ad affermare genericamente, come superato, il termine di ragionevole durata della stessa) ed abbia rigettato il ricorso;
rilevato come, con i cinque motivi di gravame, il ricorrente, oltre a sollevare doglianze del tutto inconferenti quale quella relativa ad una supposta, fantomatica violazione della L. n. 1023 del 1971, lamenti come: a) la Corte territoriale non abbia riconosciuto, al diritto alla ragionevole durata del processo, quel rango di "diritto fondamentale", la cui violazione genera – ex se – il diritto al ristoro; b) altrettanto illegittimamente la Corte Territoriale abbia fondato la negazione del risarcimento del "danno non patrimoniale", sulla base del supposto "modesto valore" della controversia, realtà in grado di reagire – al più – sull’entità del risarcimento; c) la Corte territoriale abbia infine omesso di valutare sia i principi più volte affermati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo imponenti, ai giudici nazionali di applicare le norme della CEDU secondo i principi ermeneutici espressi nella giurisprudenza di essa Corte, e secondo i quali, quanto da essa elaborato in tema di quantificazione del danno non patrimoniale, rappresenti soltanto uno standard minimo da garantirsi da parte di ogni paese contraente), sia il contenuto inequivoco della giurisprudenza delle S.U. di questa Corte le quali nel 2004 hanno statuito la immediata vincolatività della Giurisprudenza della Corte di Strasburgo;
rilevato come il Ministero di Giustizia abbia depositato controricorso;
vista la richiesta del P.G. in data 21/12/06, di accoglimento del ricorso per quanto di ragione, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., attesa la sua manifesta fondatezza;
ritenuta l’accoglibilità della richiesta formulata, ex art. 375 c.p.c., dal P.G.;
ritenuto, in particolare come, al di là delle considerazioni che si impongono in merito alla la natura fortemente stereotipata di larghe sezioni del ricorso (il quale, in molte sue parti, sembra corrispondere piuttosto ad un modello del tutto astratto di gravame, adattato alla singola fattispecie, ed appare caratterizzato – oltretutto – da non infrequenti affastellamenti di schemi e di doglianze), ed al di là del conseguente difetto di pertinenza di consistenti sezioni dei motivi (vedi il complesso delle doglianze presupponenti – in realtà – un tipo di pronuncia (l’avvenuta liquidazione del danno) che non trova in realtà corrispondenza nella decisione concretamente assunta dalla Corte di Appello di Roma la quale ha in realtà rigettato il ricorso), manifestamente fondate si rivelino invece le altre doglianze, dovendo ritenersi consolidata (per tutte: Cass. 8714/06) la giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo la quale: a) "In tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente; b) d’altronde, la indennizzabilità del danno di cui si tratta non può essere esclusa sulla base del rilievo dell’esiguità della posta in gioco nel processo presupposto, in quanto l’ansia ed il patema d’animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano anche nei giudizi in cui la posta in gioco è esigua, onde tale aspetto può avere solo un effetto riduttivo dell’entità del risarcimento, ma mai escluderlo totalmente";
ritenuto pertanto che – in tali limiti e sotto tali profili – il ricorso vada accolto e che, conseguentemente, in tal senso l’impugnato decreto vada cassato, e la causa vada rinviata innanzi alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, la quale provvederà a riesaminare la fattispecie alla luce dei principii sopra richiamati e provvederà anche in ordine alle spese di questa fase;
visto l’art. 375 c.p.c..
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa l’impugnato decreto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura Centralizzata Preliminare dei ricorsi civili della Sezione Prima Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 25 settembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2008