che il signor D.A., quale familiare assistente della signora D.F., invalida bisognosa di assistenza e avente diritto a quella domiciliare, ha proposto ricorso davanti alla Corte d’appello di Roma, per la irragionevole durata del procedimento, presupposto rispetto a quello in esame, introdotto davanti al TAR Campania, con ricorso depositato nel luglio 1996, al fine di ottenere l’annullamento del silenzio rifiuto serbato dall’USL competente in ordine alla richiesta di erogazione delle somme necessarie a tale assistenza domiciliare; che tale procedimento è stato definito, in prime cure, positivamente per l’istante, con sentenza pubblicata il 9 luglio 1997;
che la decisione è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato, dove sarebbe stata ancora pendente alla data di instaurazione del giudizio di equa riparazione;
che il ricorrente ha chiesto la liquidazione dell’equa riparazione per il solo giudizio di secondo grado, non ancora fissato per la trattazione al momento dell’introduzione della richiesta di riparazione;
che la Corte d’appello di Roma, rilevato che il giudizio al quale si riferiva l’istanza aveva avuto una durata di circa tre anni eccedente la durata normale della controversia in esame, da valutarsi in tre anni, ha liquidato, per il danno morale conseguito a tale periodo di durata eccessiva del procedimento, la somma di Euro 2.250,00, oltre spese, in considerazione della natura degli interessi in gioco, non attinenti a beni fondamentali della persona e della vita, alla modestia della pretesa e al modesto patema d’animo cagionato dalla vicenda processuale;
che, avverso tale decisione, il signor D.A. ha proposto impugnazione davanti a questa Corte, con ricorso affidato a una pluralità articolata di doglianze;
che, con le dette censure, il ricorrente, nell’ordine, lamenta: a) l’erronea e immotivata fissazione del termine di ragionevole durata del processo di appello in tre anni, anzichè in quello di un anno e mezzo, come avrebbe dovuto affermarsi in considerazione della natura del giudizio, peraltro relativo a materia assistenziale; b) l’erronea liquidazione della riparazione, in violazione dei criteri legali e giurisprudenziali (Legge Pinto n. 89 del 2001, art. 2 e artt. 1 e 6 CEDU), senza tener conto di quelli elaborati dalla Corte EDU, a cominciare dalla regola della posta in gioco, e della misura di circa Euro 1.000,00/1.500,00 per anno di ritardo, aumentabili a Euro 2.000,00, in caso di diritti assistenziali relativi ad un ammalato necessitante di cure continue;
che la Presidenza del consiglio dei Ministri non ha svolto difese in questa fase di legittimità;
che il P.G., con la requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
che il ricorso è manifestamente fondato, contrariamente a quanto opinato dal P.G. con la sua requisitoria scritta;
che, infatti, hanno pregio le doglianze nella parte in cui sottopongono a critica il decreto della Corte territoriale che ha stimato, in tre anni, la durata ragionevole del procedimento di appello, senza fornire al riguardo alcuna specifica motivazione;
che tale valutazione del giudice del merito è in sicuro contrasto con la giurisprudenza della Corte EDU e con la stessa giurisprudenza di questa Corte, secondo le quali il giudizio di impugnazione deve avere una durata ridotta e comunque minore rispetto a quello di primo grado, stabilito, di norma, in tre anni;
che il decreto qui impugnato non motiva in ordine alla parificazione dello standard massimo stabilito per il giudizio di primo grado e quello di appello, facendo apparire quel termine come una postulazione dogmatica;
che tale vizio di motivazione, peraltro, è rilevabile anche in riferimento alla mancata stima del danno non patrimoniale subito dal ricorrente in base al criterio della c.d. posta in gioco, indicato come rilevante dalla stessa giurisprudenza della Corte di Strasburgo e fatto proprio anche da quella della Corte di Cassazione, secondo cui il quantum dovuto per ogni anno di ritardo, astrattamente riconducibile ad una forbice variabile da Euro 1.000,00 ad Euro 1.500,00, deve essere modulato dal giudice nazionale in relazione alla specifica e peculiare connotazione ed intensità che il danno assuma nel caso concreto (Cassazione nn. 26200 del 2006 e 23048 del 2007);
che, pertanto, il ricorso, all’evidenza manifestamente fondato ex art. 375 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis), deve essere accolto, in parte qua, restando assorbita ogni altra censura consequenziale, con il rinvio della controversia alla stessa Corte territoriale, in altra composizione, la quale, in uno con il rinnovato giudizio sulla durata non ragionevole e sulla conseguente liquidazione del danno lamentato, alla luce dei principi enunciati, provvedere a liquidare anche le spese di questa fase.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla stessa Corte d’appello, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, dai magistrati sopraindicati, il 30 settembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2008