CHE la Corte di Appello di Lecce, esaminando domanda di equa riparazione proposta con ricorso 21.3.2006 da A.P. con riguardo a procedimento civile iniziato il 14.2.1990 e definito con sentenza del 12.12.2002 divenuta irrevocabile il 27.2.2004 con decreto depositato l’1.12.2006 ritenne improponibile la domanda per tardività della L. n. 89 del 2001, ex art. 4, sul rilievo per il quale non aveva consistenza, nè rilevanza nel processo, la questione di costituzionalità della indicata norma nella parte in cui non avrebbe consentito di considerare proposta la domanda di equa riparazione sin dalla data di richiesta di ammissione al patrocinio dello Stato per proporla; CHE il predetto A. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi in data 6.4.2007 al quale ha resistito il Ministero con controricorso del 4.6.2007; CHE ad un ricorso per cassazione avverso provvedimento pubblicato, come nella specie, il 14 1.12.2006, devono essere applicate le disposizioni di cui al capo 1^ del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3, 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; CHE i motivi nei quali si articola il ricorso, adempiono al citato obbligo ma appaiono manifestamente infondati all’esame delle proposte censure; CHE, quanto al primo, è concluso da quesito sintetizzante la sottoposizione della questione di illegittimità costituzionale sotto tre profili della L. n. 89 del 2001, art. 4, questione mirante ad una sentenza additiva nella parte in cui al D.Lgs. n. 155 del 2002, art. 4 cit. e/o art. 122, non consentirebbero di ritenere equipollente quoad tempus alla introduzione della domanda di equo indennizzo l’istanza di ammissione al patrocinio ad essa strumentale: si tratta all’evidenza di questione priva di alcun margine di plausibilità e che la Corte di Lecce neanche ha affrontato, avendo ritenuto rettamente la carenza di rilevanza di diversa prospettazione innanzi ad essa offerta, in ragione della consumazione del termine di cui all’art. 4 ad opera dell’inerte parte interessata (che pur potendo proporre l’istanza innanzi all’Ordine competente e da questo al Giudice, sarebbe rimasta inattiva); CHE, quanto al secondo, per il quale la definitività si sostanzierebbe nella realizzazione in executivis del bene assegnato dalla sentenza di cognizione, esso, pur seguito da quesito pertinente, è privo di ogni fondamento alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 25529.06 – 19629.05);CHE, ove si condivida il testè formulato rilievo, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio e rigettato perchè manifestamente infondato ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5".
Alle osservazioni sopra sintetizzate il difensore del ricorrente ha replicato con memoria contenente rilievi critici e diffusi argomenti a sostegno delle proprie censure.
A criterio del Collegio i rilievi non meritano condivisione.
Quanto al secondo motivo, devesi invero interamente condividere la valutazione espressa nella relazione per la quale la fase della esecuzione non è mai valutabile per l’individuazione della "definitività" richiamata dalla legge al fine del computo della decadenza della L. n. 89 del 2001, ex art. 4, (cfr. Cass. 25529.06 – 7874.06 – 19629.05).
Quanto al primo motivo, ritiene il Collegio che, pur essendo persuasive le considerazioni dispiegate dalla relazione con riguardo alla assenza di rilevanza della questione di legittimità costituzionale, devesi in realtà negare radicalmente alcun fumus di fondatezza della illegittimità dell’art. 4 della legge in disamina nella parte in cui non consentirebbe di ritenere avverata la proposizione tempestiva non già con la sola proposizione del ricorso alla Corte di Appello bensì, ed anche, con la proposizione della istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato del D.P.R. 115 del 2002, ex artt. 79, 122, 124. La insuperabile formula di cui della L. n. 89 del 2001, artt. 3 e 4, per la quale la decadenza viene esclusa con il deposito del ricorso innanzi alla competente Corte di Appello (od anche a Corte incompetente, ove segua regolare e tempestiva traslatio judicii: cfr. Cass. 22498/06), obbedisce ad una indiscutibile esigenza di certezza e speditezza della introduzione della lite nei confronti dello Stato apparato entro il termine ragionevole di sei mesi dalla acquisizione di definitività del processo irragionevolmente durato, una esigenza che viene soddisfatta solo con la formale e chiara editio actionis che consente -nel previsto termine – di far emergere, prima nei riguardi del Giudice e quindi nei confronti della Amministrazione che per legge è indicata come legittimo contraddittore della pretesa, la richiesta indennitaria e le sue ragioni. In questo quadro – ove il termine semestrale ben consente alla parte di istare per l’ammissione a patrocinio a spese dello Stato ed ottenere la sollecita pronunzia dell’organo competente senza alcun consistente sacrificio di tempi per la proposizione della futura domanda – non si scorge alcuna irragionevolezza della menzionata previsione di esclusività della azione de qua, che non ammette equipollenti di sorta (men che meno la proposizione della istanza del D.P.R. cit., ex art. 79, funzionale a futura ma incerta proposizione della controversia e che della editio actionis non ha alcun elemento ). Per entrambi i versi, pertanto, si rigetta il ricorso (regolando le spese come per legge).
 
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente A.P. a versare al controricorrente Ministero Euro 1.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2008