La Corte d’appello di Roma, con decreto in data 3 ottobre 2005, decidendo sulla domanda del signor B.A., di equa riparazione per un processo in materia previdenziale iniziato il 22 dicembre 1994 e conclusosi in appello con la sentenza del Tribunale di Napoli 25 ottobre 2002, la respinse, basandosi sulla circostanza che la richiesta dell’assistito aveva ad oggetto importi di denaro, per interessi e rivalutazione sulle somme corrisposte in ritardo dall’ente previdenziale, di modesta entità. Conseguentemente, la scarsa rilevanza della posta in gioco escludeva il danno non patrimoniale.
Per la cassazione del decreto ricorre il signor B.A., con atto notificato il 3 luglio 2006.
Il Procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione ha concluso per la declaratoria in camera di consiglio di manifesta fondatezza del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente svolge una serie di argomenti giuridici, in massima parte privi di qualsiasi connessione con il presente giudizio e d’indicazione dei punti del decreto che intende censurare, argomenti che per tali ragioni si traducono in censure generiche ed inammissibili.
In tale contesto, peraltro, il ricorrente lamenta in modo specifico la violazione del principio desumibile dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – applicabile quale regola iuris in materia, secondo la giurisprudenza di questa corte suprema che ne ha dato la formulazione corrispondente nell’ordinamento interno – per il quale la parte richiedente non è tenuta a dare la prova del danno non patrimoniale, che può essere escluso solo laddove ricorrano circostanza particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente. Connessa con tale censura è l’altra, della violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 per aver il giudice di merito escluso l’esistenza del danno patrimoniale in considerazione dell’esiguità della posta in gioco.
Questa seconda censura è puntuale, in relazione alla motivazione dell’impugnato decreto, e rende il ricorso manifestamente fondato per questa parte. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa corte di legittimità, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 la durata irragionevole del processo arreca normalmente alle parti sofferenze di carattere psicologico sufficienti a giustificare la liquidazione di un danno non patrimoniale e, pertanto, accertata la stessa, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari, le quali facciano positivamente escludere che un pregiudizio siffatto sia stato subito dal ricorrente. Il riconoscimento del danno non patrimoniale non può essere altresì impedito dall’entità della posta in gioco nel processo nel quale si è verificato il mancato rispetto del termine ragionevole, dato che l’ansia e il patema d’animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano normalmente anche nei giudizi in cui sia esigua la posta in gioco: onde tale aspetto, se può avere un effetto riduttivo dell’entità del risarcimento, non è tuttavia idoneo ad escludere l’esistenza del danno in esame (29 settembre 2005 n. 19029; 5 aprile 2005 n. 7088).
Il decreto impugnato deve conseguentemente essere cassato, restando in tal modo assorbite le ulteriori doglianze della ricorrente. Non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere inoltre definita nel merito in questa sede, con l’attribuzione alla parte ricorrente dell’equa riparazione per il periodo di eccessiva durata della causa presupposta. Quest’ultima era cominciata il 22 dicembre 1994, ed si era conclusa con la sentenza del Tribunale di Napoli in data 25 ottobre 2002, sicchè si era ingiustificatamente protratta per circa cinque anni. L’amministrazione deve essere conseguentemente condannata al pagamento, per il titolo indicato, di Euro 5.000,00, con gli interessi dalla domanda giudiziale.
Essa è inoltre tenuta al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio, che sono liquidate come in dispositivo. Su richiesta del difensore, che ha dichiarato ricorrere le condizioni di cui all’art. 93 c.p.c., dette spese sono distratte a suo favore.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, al pagamento di Euro 5.000,00, oltre agli interessi legali dalla domanda, e delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate per il merito in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 700,00 per onorari e Euro 200,00 per diritti, e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 700,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge spese che distrae a favore del difensore antistatario avv. Luigi Alfonso Marra.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2008