Con sentenza 12 febbraio 2009 n. 263 il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione seconda, in accoglimento di un ricorso proposto dalla Self Espresso s.r.l. annullava l’impugnato provvedimento del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e condannava il medesimo Ministero al pagamento della somma di Euro 1.950 "a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre oneri di legge".
A fronte del rifiuto dell’Amministrazione di corrispondere separatamente il contributo unificato, in quanto sarebbe compreso nella liquidazione operata dal giudice in sentenza, la Self Espresso s.r.l. proponeva ricorso per l’ottemperanza alla predetta pronuncia.
Con sentenza 16 ottobre 2009 n. 1749 anche quest’ultimo ricorso veniva accolto, con conseguente affermazione dell’obbligo dell’Amministrazione di rimborsare – in aggiunta a quanto già liquidato dal T.A.R. – il contributo unificato pari alla somma di Euro 2.000,00, oltre interessi dal 13 febbraio 2009 al soddisfo.
Di qui l’appello in epigrafe, col quale il Ministero ha dedotto:
1.- Violazione dell’art. 9 del d.P.R. n. 115 del 2002 e dell’art. 13 dello stesso d.P.R..
Il TAR ha ritenuto il contributo non facente parte delle spese di giudizio in base all’art. 13 del cit. d.P.R., mentre la questione va risolta in base al precedente art. 9, ai sensi del quale vi rientra. Peraltro, l’art. 13 lo pone a carico del soccombente anche in caso di compensazione (caso, peraltro, qui non ricorrente), ma nulla dice sulla quantificazione della somma come spesa di giudizio, ossia risolve una differente questione. Irrilevante è pertanto che, diversamente, dovrebbe ritenersi che il giudice abbia liquidato una somma in complesso inferiore a quanto dovuto per il solo contributo, trattandosi semmai di errore che non può ricadere sulla parte incolpevole.
2.- Violazione degli artt. 1242 e 1246 c.c..
Vertendosi in tema di condanna al pagamento di somme di denaro, è stata eccepita la compensazione in relazione al debito della ricorrente di Euro 5.598,74 oltre interessi, riguardante il contratto di concessione del servizio di ristoro intercorso tra le parti. Il TAR ha ritenuto preclusa detta eccezione perché in contrasto col precedente comportamento extraprocessuale dell’Amministrazione e, pertanto, costituente domanda riconvenzionale, non proponibile con semplice memoria non notificata. Tale argomentare non è condivisibile: l’art. 1242 si limita a prevedere che ricorre la compensazione in tutti i casi in cui due soggetti sono obbligati l’uno verso l’altro, mentre l’art. 1246, n. 4, esclude la compensazione solo in presenza di rinuncia "preventivamente" fatta dal debitore. Correlate le due norme, deve ritenersi che la compensazione legale operi automaticamente dal giorno in cui i due crediti vengono ad esistenza. Nella specie, l’Amministrazione non ha espresso la chiara ed univoca volontà di rinunciare, anzi ha manifestato la volontà contraria all’atto di messa in mora della società ricorrente, perciò ben può eccepire l’estinzione del credito rivendicato in forza di avvenuta compensazione.
L’appellata si è costituita in giudizio ed ha svolto controdeduzioni, nonché insistito per la condanna alle spese di lite, oltre il resto, per entrambi i gradi.
All’odierna udienza pubblica l’appello è stato introitato in decisione.
Il primo motivo d’appello è infondato.
L’art. 13, co. 6 bis, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 dispone che "L’onere relativo al pagamento dei suddetti contributi (contributo unificato) è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio".
In altre parole, la parte soccombente è tenuta in ogni caso a rimborsare a quella vittoriosa il contributo unificato da essa versato; ed è chiaro dal contesto della norma che si tratta di una obbligazione ex lege sottratta alla potestà del giudice di disporne la compensazione ovvero di liquidarne autonomamente l’ammontare (poiché quest’ultimo non può che corrispondere all’importo versato).
Nondimeno, si può ammettere che, qualora il giudice condanni alle spese la parte soccombente liquidando a tal fine un importo genericamente onnicomprensivo senza nulla precisare riguardo alla sua composizione ed ai criteri di liquidazione, sia dubbio se quell’importo includa o meno il rimborso del contributo unificato, comunque dovuto.
Nel caso in esame, tuttavia, non è possibile alcun dubbio al riguardo. E ciò per due distinte ragioni. La prima è che nel dispositivo viene liquidata una certa somma, ma con l’aggiunta dell’espressione "oltre gli oneri di legge"; il che significa ovviamente che nell’intenzione di quel giudicante gli oneri di legge "non" sono inclusi nell’importo liquidato; e fra gli oneri di legge rientra anche il rimborso del contributo unificato, trattandosi come già detto di una obbligazione ex lege sottratta ad ogni disponibilità da parte del giudice.
La seconda ragione, ancor più dirimente dalla prima (tanto da far apparire futile ed oziosa ogni disquisizione in contrario), è che nella fattispecie l’importo liquidato dal giudice è di euro 1.950,00, vale a dire inferiore a quello (euro 2.000,00) del contributo unificato versato dalla parte originariamente ricorrente. Ora, se è vero che per un elementare principio logico il meno non comprende il più, risulta insostenibile la tesi che il giudice abbia voluto considerare il contributo unificato di euro duemila quale un addendo che, sommato agli altri addendi (competenze, onorari, altre spese) conduce al risultato di millenovecentocinquanta. Si giungerebbe del resto alle stesse conclusioni anche se l’importo liquidato dal giudice fosse stato pari o di poco superiore a quello del (solo) contributo unificato, in quanto ritenere il contrario si risolverebbe nell’attribuire al giudice l’intenzione di liquidare tutti gli altri addendi in un importo nullo ovvero irrisorio; intenzione che sarebbe in illogico contrasto con la dichiarata volontà di riconoscere alla parte vittoriosa il ristoro delle spese sostenute per il giudizio.
A parte le considerazioni sin qui esposte, che sembrano risolutive, si può aggiungere che comunque gli argomenti spesi dall’appellante sono infondati.
L’inderogabilità e specialità dell’art. 13, comma 6bis, tolgono rilievo alla collocazione della disciplina del contributo unificato, contenente la norma in parola, nel titolo primo della parte II del testo unico rubricata "voci di spesa", nel senso che ai fini dell’imposizione dell’onere del rimborso a carico della parte soccombente separano nettamente il regime delle spese relative al pagamento del contributo stesso da quello riguardante tutte le altre "spese di giustizia", quali ad esempio quelle di notificazione, ricomprese nel concetto delle generiche spese legali sostenute dalla parte; non senza che tra le "voci di spesa" compaiono, altresì, anche quelle concernenti strettamente l’espletamento dell’attività giudiziale, quali l’indennità dovuta ai testimoni o le trasferte del magistrato, che nulla hanno a che vedere con le spese occorse alla parte.
Infine, l’affermazione del primo giudice secondo cui, diversamente opinando, in sede di cognizione sarebbero state liquidate spese in misura inferiore al contributo corrisposto, mentre tale possibilità non è presa in considerazione dal legislatore, non significa che in tal modo sia stato ipotizzato un errore, essendo invece evidente come il TAR abbia voluto rimarcare come fosse inconcepibile che con la sentenza n. 203 del 2009 si sia voluto operare una riduzione dell’onere posto dalla legge direttamente a carico del soccombente e che pertanto, anche per questa via restasse confermato come nel liquidare l’importo di Euro 1.950 per "spese, competenze ed onorari di difesa", non sia stato tenuto conto del contributo unificato invece ricondotto agli "oneri di legge" ulteriormente dovuti dall’Amministrazione.
Neanche il secondo motivo di appello può essere condiviso.
Ciò in primo luogo poiché, come bene osservato dal primo giudice, la pretesa compensazione è stata opposta per la prima volta nel corso del giudizio di ottemperanza, quale eccezione e mediante semplice memoria non notificata, sicché l’eccezione stessa si risolve, in realtà, nell’introduzione di una domanda riconvenzionale introdotta irritualmente, pertanto non esaminabile. Non è difatti possibile nel giudizio amministrativo ampliare con semplici scritti difensivi l’oggetto del giudizio così come cristallizzato nell’atto introduttivo, se non con atto al pari del primo ritualmente notificato, non diversamente dal ricorso incidentale, e come questo volto a paralizzare in tutto od in parte la pretesa del ricorrente principale.
In conclusione, l’appello non può che essere respinto.
Come di regola, le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
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P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’appellato, delle spese del grado che liquida in complessivi Euro 1.000,00 (mille/00) oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere, Estensore
Hadrian Simonetti, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 02 AGO. 2011