Con il ricorso in appello in esame la Provincia di Ancona ha chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R. Marche n. 1242/2009 con la quale era stato accolto il ricorso proposto da Italia Nostra – Associazione Nazionale per la Tutela del Patrimonio Storico Artistico e Naturale della Nazione contro la deliberazione del Consiglio Provinciale di Ancona 13.4.2005 n. 14, di approvazione del PPAE e gli ulteriori atti in epigrafe indicati, nell’assunto che esso Piano non contenesse elementi cartografici sufficienti per completare la mappa delle aree di divieto e per affermare che le aree coltivabili in parziale esenzione ai divieti erano state individuate a seguito di una completa attività istruttoria.
A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:
1.- Sulla irricevibilità ed inammissibilità del ricorso:
1.1.- Tardività, violazione e mancata applicazione della legge regionale Marche n. 71/1997. Immediata efficacia della deliberazione del Consiglio Provinciale n. 14 del 2006. Irrilevanza dell’atto regionale di controllo successivo "cd positivo" ai fini della decorrenza del "dies a quo".
1.2.- Inammissibilità per mancata impugnativa della deliberazione provinciale n. 88 del 2004, della quale la deliberazione n. 14 del 2006 è, per l’aspetto censurato in sentenza, meramente confermativa.
1.3.- Difetto di giurisdizione in favore del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche in ordine alla presunta violazione della normativa di tutela idrogeologica del Monte S. An..
1.4.- Inammissibilità per carenza di lesività immediata del PPAE in ragione della sua configurazione alla luce della strutturazione del procedimento impostato dalla Provincia di Ancona.
1.5.- Inammissibilità per la natura confermativa del PRAE ad opera del PPAE.
2.- Sulla ritenuta illegittimità del PPAE per asserita violazione della legge regionale n. 71/1997 a causa della asserita mancanza di cartografie alla deliberazione "n 13 7 05" e sull’asserita carenza di motivazione ex art. 3, comma 1, della l. n. 241/1990:
La cartografia risultava dal complesso degli atti del procedimento amministrativo.
Con deliberazione n. 550 del 2009 è stato precisato il percorso istruttorio seguito dalla Provincia di Ancona per l’individuazione del bacino di cava di Monte S. An..
Il provvedimento de quo è un atto di pianificazione e programmazione a contenuto generale, sicché poteva non essere motivato.
E" illogico quanto sostenuto in sentenza sulla necessità di una cartografia quale elemento motivazionale indiretto della deliberazione de qua.
Con atto notificato il 3.5.2010 e depositato il 4.5.2010 è intervenuta ad adiuvandum in giudizio la Cava della Rossa s.p.a., che ha concluso per l’accoglimento dell’appello.
Con memoria depositata il 7.5.2010 si è costituita in giudizio la ditta R & V di En. Ma. e C s.a.s., che ha concluso per l’accoglimento del ricorso in appello.
Con atto notificato l’8.5.2010 e depositato il 10.5.2010 si è costituita in giudizio ed ha proposto appello incidentale Italia Nostra – Associazione Nazionale per la Tutela del Patrimonio Storico Artistico e Naturale della Nazione, che ha in primo luogo eccepito la inammissibilità e la improcedibilità dell’appello per carenza di interesse ed intervenuta acquiescenza (essendo stata adottata dalla Provincia di Ancona la deliberazione n. 510/2009 che ha confermato il piano delle attività estrattive approvato con la delibera n. 14/2005, integrando la relazione tecnica con tavole di lavoro); in secondo luogo ha dedotto la infondatezza dell’appello ed ha riproposto, ex art. 346 c.p.c., tutte le censure svolte nel ricorso di primo grado e non esaminate, o respinte, chiedendone l’accoglimento.
Con atto notificato il 10.5.2010 e depositato il 28.5.10 sono intervenuti ad opponendum Ge. Va. Be., in proprio e quale titolare della ditta B&B Rosa nel Pozzo di Ge., Su. Uh., in proprio e quale titolare della Country house Borgo Belfiore, Pi. Ve., in proprio e quale titolare dell’agriturismo "L’Olmo", Ma. Gi. Po., in proprio e quale titolare dell’agriturismo Montefiore, An. Sg., in proprio e quale titolare del Paradiso del Re, Country house, Ba. Vi., in proprio e quale titolare della Locanda Palazzo, Sc. Wo. Le., in proprio e quale legale rappresentante della azienda agrituristica Se., L. Te. E. I. Ci. società agricola cooperativa, e Azienda Agricola San Settimio s.r.l.. Dette parti hanno dedotto la infondatezza dell’appello e ne hanno chiesto la reiezione.
Con atto notificato il 10.5.2010 e depositato in pari data sono intervenuti in giudizio ad adiuvandum il Consorzio Cave Arcevia S.r.l. e l’ATI Ci. S.r.l./Qu. S.r.l., concludendo per l’accoglimento dell’appello.
Con memoria depositata il 28.5.2010 la costituita Italia Nostra si è opposta all’accoglimento della istanza di sospensione della impugnata sentenza ed ha ribadito tesi e richieste.
Con memoria depositata il 28.5.2010 i suddetti Ge. Va. Be. ed altri interventori ad opponendum hanno chiesto la reiezione di detta istanza di sospensione ed hanno sostanzialmente ribadito tesi e richieste.
Con note depositate il 3.6.2010 la intervenuta Cava della Rossa s.p.a. ha instato per l’accoglimento della istanza di sospensione cui sopra si è fatto cenno.
Con atto notificato e depositato il 3.6.2010 è intervenuta ad opponendum l’A.N.P.I. – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, che ha dedotto la infondatezza dell’istanza cautelare ed ha concluso per la reiezione dell’appello.
Con memoria depositata il 3.6.2010 la ditta R & V di En. Ma. e C s.a.s., ha contestato la fondatezza della eccezione di improcedibilità del ricorso formulata da Italia Nostra ed ha concluso per l’accoglimento dell’appello.
Con memoria depositata il 4.6.2010 la Provincia di Ancona ha contestato la fondatezza della eccezione di inammissibilità dell’appello a seguito della emanazione della deliberazione n. 550/2009 (perché questa non avrebbe portata confermativa, autoritativa e precettiva, ma ricognitoria) e ha contestato la fondatezza della eccezione di tardività del ricorso e di violazione del divieto di formulazione di nuove eccezioni in appello (che sarebbe inapplicabile a quelle rilevabili d’ufficio); inoltre ha contestato la ammissibilità dell’intervento degli imprenditori turistici e dell’ANPI (perché, vantando un interesse identico a quello della parte ricorrente in primo grado avrebbero dovuto proporre autonomo ricorso) ed ha ribadito tesi e richieste.
Con memoria notificata il 25.5.2010 e depositata l’8.6.2010 è intervenuto ad adiuvandum il dott. En. Avenanti, proprietario del terreno oggetto di preliminare di vendita con Gola della Rossa s.p.a., ed ha concluso per l’accoglimento dell’appello.
Con memoria depositata il 21.9.2010 si è costituita in giudizio la Regione Marche, che ha dedotto la fondatezza dell’appello, concludendo per il suo accoglimento.
Con memoria depositata l’1.10.2010 il dott. En. Avenanti ha contestato la richiesta di reiezione della eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata notifica ai controinteressati e per tardività, ha contestato la fondatezza nel merito dello stesso e dell’appello incidentale di Italia Nostra; ha quindi concluso per l’accoglimento dell’appello.
Con memoria depositata l’8.10.2010 il Consorzio Cave Arcevia S.r.l. e l’ATI Ci. S.r.l./Qu. S.r.l., hanno evidenziato la sussistenza del loro interesse ad intervenire in giudizio ad adiuvandum in quanto operatori commerciali bloccati dall’annullamento del PPAE ed hanno contestato la sussistenza di interesse delle parti intervenute ad opponendum in quanto non avrebbero provato la sussistenza di pregiudizi dall’autorizzazione alla attività estrattiva; inoltre hanno evidenziato la fondatezza dell’appello, concludendo per l’accoglimento.
Con memoria depositata l’8.10.2010 i titolari di attività agroturistica intervenuti ad opponendum hanno ribadito tesi e richieste.
Con memoria depositata l’8.10.2010 L’Associazione Italia Nostra ha contestato le avverse difese ed ha ribadito tesi e richieste.
Con memoria depositata l’8.10.2010 la Provincia di Ancona si è costituita in riferimento all’appello incidentale di Italia Nostra e ne ha chiesto la reiezione, inoltre, con memoria depositata in pari data, ha ribadito tesi e richieste.
Con note depositate l’8.10.2010 la Cava Gola della Rossa s.p.a. ha ribadito tesi e richieste.
Con memoria depositata il 4.1.2011 la Associazione Italia Nostra ha eccepito la tardività del deposito della relazione giurata dell’ing. Renzi, effettuata in data 22.10.2010 e, evidenziato che il suddetto era il responsabile del procedimento, si è riportata ad altra perizia giurata dell’ing. Marcellini.
Con memoria depositata il 14.1.2011 la Provincia di Ancona ha eccepito che il ricorso di primo grado sarebbe inammissibile perché l’atto impugnato modificava riduttivamente le previsioni estrattive ed ha invocato l’applicabilità al provvedimento impugnato dell’art. 21 octies della l. n. 241/1990.
Alla pubblica udienza del 25.1.2011 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO
1.- Con il ricorso in appello in esame la Provincia di Ancona ha chiesto la riforma della sentenza del T.A.R. Marche in epigrafe specificata, con la quale è stato accolto il ricorso proposto per l’annullamento della deliberazione del Consiglio Provinciale di Ancona 13.4.2005 n. 14 (di approvazione del P.P.A.E.), della determinazione 20.9.2005 n. 470 del Dirigente del VII settore della citata Provincia (con la quale sono state apportante al PPAE le correzioni richieste dalla Regione ai sensi degli artt. 15 della l.r. Marche n. 46/1992 e 7 della l.r. n. 10/1999), della deliberazione di Giunta Regionale 7.11.2005 n. 1357 (avente ad oggetto verifica di compatibilità delle aree di esenzione individuate nel P.P.A.E. e non cartografate nel P.R.A.E.) e degli atti istruttori connessi come indicati in ricorso.
2.- Innanzi tutto la Sezione deve verificare la ammissibilità dell’intervento in giudizio ad adiuvandum delle aziende agroturistiche in epigrafe indicate e dell’ANPI, contestata dalla difesa della appellante Provincia di Ancona nell’assunto che, vantando un interesse identico a quello della parte ricorrente in primo grado, dette parti avrebbero dovuto proporre autonomo ricorso e, con riguardo alla citata Associazione, perché non ogni luogo interessato ad episodi minori della Resistenza può essere tutelato.
Va osservato in proposito che è, di norma, inammissibile l’intervento da parte del soggetto legittimato alla proposizione dei ricorso autonomo perché in contrasto con la regola secondo cui l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto nel processo amministrativo solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale e non anche da un soggetto che sia portatore di un interesse che lo abilita a proporre ricorso in via principale (Consiglio Stato, sez. V, 08 marzo 2011, n. 1445).
La mancanza nell’interveniente di una posizione sostanziale di interesse legittimo, invece di costituire momento di ostacolo al suo ingresso in giudizio, ne rappresenta al contrario un presupposto di ammissibilità, in adesione ai consolidati orientamenti giurisprudenziali che subordinano l’intervento del terzo alla difesa di un suo interesse derivato o non ancora attuale.
Nel caso di specie, non va riconosciuta in capo agli intervenienti ad adiuvandum sopra indicati alcuna posizione qualificata, essendo essi soltanto titolari di interessi di mero fatto all’accoglimento dell’appello e di posizioni giuridiche collegate o dipendenti da quella della parte appellante.
Ciò consente loro la proposizione di atti di intervento ad adiuvandum, subendo essi solo indirettamente effetti negativi riflessi dall’eventuale accoglimento del ricorso con la sentenza in questa sede impugnata.
Sono quindi legittimati a partecipare al giudizio in appello nella qualità di intervenienti detti soggetti, che, pur non essendo parti necessarie o intervenuti nel giudizio di primo grado, rivestono la qualità di legittimi contraddittori, perché titolari di una situazione soggettiva rilevante, caratterizzata da un interesse sostanziale indiretto di segno opposto a quello fatto valere con il ricorso originario, sulla quale si riflette la pronunzia di primo grado (Consiglio Stato, sez. VI, 26 novembre 2008, n. 5834).
2.1.- Considera inoltre il Collegio che identiche considerazioni possono essere effettuate nei riguardi della Cava Gola della Rossa s.p.a., del Consorzio Cave Arcevia S.r.l. e dell’ATI Ci. S.r.l./Qu. S.r.l., che sono titolari di legittimazione ad intervenire ad adiuvandum in sede di appello, subendo essi solo indirettamente effetti positivi riflessi dall’accoglimento del ricorso disposto con la impugnata sentenza.
3.- In secondo luogo la Sezione deve verificare la fondatezza della eccezione formulata dalla Associazione Italia Nostra di inammissibilità e di improcedibilità dell’appello per carenza di interesse ed intervenuta acquiescenza, essendo stata adottata dalla Provincia di Ancona la deliberazione n. 550/2009 (che ha confermato il piano delle attività estrattive approvato con la delibera n. 14/2005, integrando la relazione tecnica con tavole di lavoro); secondo detta Associazione la deliberazione ha manifestato la volontà della Provincia di volersi adeguare alla sentenza in questa sede impugnata, mediante la integrazione della cartografia a corredo del P.P.A.E., confermando la individuazione del bacino estrattivo di Monte S. An. (nella perimetrazione individuata dalla delibera n. 14/2005 annullata dal T.A.R.) e così manifestando la volontà di confermare la cassazione degli atti emanati e di fare acquiescenza alla sentenza in questa sede appellata.
Al riguardo devono condividersi le considerazioni al riguardo svolte dalla Provincia di Ancona e dalla ditta R. &V. di En. Ma. e C. s.a.s., secondo cui detta deliberazione n. 550/2009, essendo stata adottata dalla Giunta provinciale e non dal Consiglio, non ha portata confermativa, autoritativa e precettiva, ma ricognitoria e finalizzata a dimostrare che la cartografia ritenuta mancante dal T.A.R. era in realtà esistente presso l’Amministrazione provinciale e che da questa era stata valutata.
Invero sia la circostanza che il Consiglio e non la Giunta provinciale (che ha adottato la deliberazione n. 550/2009) era competente all’approvazione del PPAE (quindi anche alla sua conferma) e sia l’esame dell’atto, da cui si evince che con esso è stato solo ribadita la coerenza di della deliberazione n. 14/2005 (affermando che non sussisteva alcun obbligo della Provincia ad allegare la cartografia ritenuta carente dal T.A.R.), dimostrano, ad avviso del Collegio, che la deliberazione stessa non è stata posta in essere dopo un nuovo iter istruttorio (previa disamina di nuove prospettazioni della parte interessata), culminato nell’emanazione di un nuovo provvedimento, caratterizzato da una diversa ed articolata motivazione, come tale non meramente confermativo del precedente, ma innovativo e dotato di autonoma efficacia lesiva della sfera giuridica del suo destinatario, in modo da rendere priva di ogni utilità la pronuncia sul ricorso proposto avverso il precedente provvedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1983).
La eccezione in esame non può quindi essere oggetto di favorevole apprezzamento, essendo la deliberazione n. 550/2009 sostanzialmente ricongnitiva o meramente confermativa, quindi non doverosamente impugnabile,e non utile a dimostrare una acquiescenza della Amministrazione alla sentenza in epigrafe..
4.- Con il primo motivo di appello sono state censurate le motivazioni in base alle quali il Giudice di prime cure ha respinto la eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività, formulata dalle parti resistenti in primo grado, per omessa tempestiva impugnazione della deliberazione del Consiglio Provinciale n. 14/2005, di approvazione del PPAE di cui trattasi, senza necessità di attendere la successiva deliberazione di controllo della Regione.
Contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R. dovrebbe ritenersi che detta deliberazione n. 14/2005 concludeva con piena efficacia il procedimento di approvazione del PPAE, essendo quella della Regione una mera deliberazione di controllo successivo, peraltro positivo, e non di amministrazione attiva; né l’art. 15 della l. r. Marche n. 46/1992 e l’art. 10 della l.r. Marche n. 10/1999 avallerebbe la tesi fatta propria dal Giudice di prime cure, dal momento che in nessuna di dette norme è previsto che il procedimento de quo sia strutturato quale atto complesso, né essendo prevista da alcuna norma, in particolare dall’art. 8 della l.r. Marche n. 71/1977, la sospensione dell’efficacia dell’atto provinciale in funzione del successivo controllo, essendo l’atto di formazione del P.P.A.E. formato dalla sola volontà della Amministrazione provinciale.
Peraltro non è stato impugnato il silenzio assenso formatosi sulla deliberazione n. 14/2005 e comunque gli atti di controllo positivi non sarebbero autonomamente impugnabili.
4.1.- Va al riguardo osservato che con la sentenza impugnata è stato dedotto che sotto il profilo formale il P.P.A.S., approvato con la predetta deliberazione n. 14/05, era stato trasmesso alla Regione non solo in attuazione del paragrafo 4.2 della relazione tecnico illustrativa del P.R.A.E. (verifica di compatibilità delle aree di esenzione del P.P.A.S. non cartografate dal P.R.A.E. per le quali avrebbe dovuto essere acquisito il parere vincolante della Giunta Regionale), ma anche, più in generale, per la verifica di cui agli artt. 15 della l.r. n. 46/92 e 7 della l.r. n. 10/99.
La sola deliberazione provinciale n. 14/05, pur potendo contenere aspetti certamente pregiudizievoli, non concludeva il procedimento, riguardo sia al perfezionamento delle scelte programmatiche che all’efficacia delle stesse.
Infatti, in relazione alla verifica generale di cui ai ridetti articoli 15 e 7, è intervenuta una fitta corrispondenza tra gli uffici regionali e provinciali che si è conclusa con la determinazione del Dirigente del VII settore della Provincia di Ancona 20.9.2005 n. 470 con la quale sono state apportate al P.P.A.E. le correzioni richieste dalla Regione, che ha poi concluso la fase procedimentale di propria competenza comunicando alla Provincia, con nota 18.10.2005 prot. 32575 Dip. 4, l’intervenuta conformità tra P.P.A.E. e P.R.A.E..
Posto che anche la specifica verifica di cui al ridetto paragrafo 4.2 era necessaria per la formale conclusione del procedimento, assumendo il parere della Giunta Regionale carattere vincolante, l’impugnazione in esame è stata ritenuta dal T.A.R. tempestiva, poiché intervenuta entro il termine decadenziale decorrente dalla data di avvenuta conoscenza che il complesso iter procedimentale di formazione del PPAS si era definitivamente concluso.
4.2.- La Sezione è dell’avviso che dall’esame della citata normativa si evince che in materia è vigente un modello di programmazione integrata in cui sia la Provincia che la Regione si prendono cura degli interessi a ciascuna di esse affidati; in base al citato art. 15 della l.r. Marche n. 47/1992 la Regione non ha in materia mera funzione di controllo, ma attiva e di garante dell’unità di indirizzo in materia, come confermato dall’art. 15 della l. n. 46/1997, che prevede la composizione di contrasti (anche mediante esercizio del potere sostitutivo) tra la programmazione provinciale e regionale che non abbiano già trovato componimento nella Conferenza delle autonomie.
Anche il parere vincolante di competenza della Regione, che è previsto in materia di verifica di compatibilità delle aree di esenzione del P.P.A.E. non cartografate, appare, in quanto vincolante, avere natura non consultiva ma decisoria.
In conclusione nel caso che occupa ritiene la Sezione che, come risulta dalla deliberazione n. 1357/2005, la Regione ha esercitato funzioni di indirizzo, mediante numerosi rilievi di carattere sostanziale, tanto che la Provincia, a seguito di essi ha apportato modifiche al P.P.A.E., sicché essa deliberazione può considerarsi come conclusiva del procedimento di verificazione di compatibilità con gli indirizzi programmatori contenuti nel P.R.A.E..
Può quindi concordarsi con il T.A.R. circa la tempestività del ricorso di primo grado, notificato nei termini di decadenza dalla pubblicazione sul B.U.R., in data 22.11.2005, di essa delibera n. 1357/2005.
La censura in esame non è quindi suscettibile di favorevole considerazione.
5.- Con il secondo motivo di appello è stata dedotta la inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata impugnazione della deliberazione provinciale n. 88 del 2004, di adozione del Piano provinciale ed immediatamente impugnabile indipendentemente dalla emanazione degli atti applicativi, della quale la deliberazione n. 14 del 2006, di approvazione del Piano, sarebbe, per l’aspetto censurato in sentenza, meramente confermativa.
5.1.- Osserva in proposito la Sezione in primo luogo che la eccezione è rilevabile d’ufficio e ne può essere verificata la fondatezza anche se proposta per la prima volta in appello.
In secondo luogo va rilevato al riguardo che la difesa di Italia Nostra ha evidenziato che l’approvazione definitiva è intervenuta dopo la presentazione di numerose osservazioni accolte dalla Provincia, sia in ordine alla perimetrazione e riduzione di bacini che ai quantitativi estraibili, il che esclude che l’atto di approvazione possa essere considerato meramente confermativo del precedente e che sarebbe stata sufficiente l’impugnazione del primo per comportare la autonoma caducazione del secondo, che doveva quindi essere comunque autonomamente impugnato.
Aggiungasi che comunque l’impugnazione della delibera di adozione del Piano, qualora sia immediatamente lesiva, costituisce solo una facoltà e i vizi ad essa riferibili possono essere dedotti in sede di impugnazione della deliberazione di approvazione, atteso che il Piano costituisce un atto complesso, parte di una fattispecie a formazione progressiva.
Esso Piano, una volta definitivamente approvato, è impugnabile dall’ interessato in relazione ad ogni vizio ipotizzabile, anche se determinatosi nella fase dell’adozione, e quindi anche da chi aveva già acquisito piena conoscenza della deliberazione di adozione, atteso che l’approvazione dà vita ad un atto formalmente e sostanzialmente nuovo rispetto al Piano solo adottato.
6.- Con il terzo motivo di appello è stata affermata la sussistenza del difetto di giurisdizione in favore del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche in ordine alla presunta violazione della normativa di tutela idrogeologica del Monte S. An..
La tesi del T.A.R. che, ex art 143, comma 1, lett. a), del r.d. n. 1775/1933, non sono devolute alla giurisdizione del Tribunale suddetto le controversie aventi ad oggetto atti che incidono in maniera indiretta e strumentale sul regime delle acque pubbliche, non sarebbe condivisibile perché la parte ricorrente ha lamentato la possibile interferenza dei provvedimenti impugnati con quanto stabilito dall’art. 21 del d.lgs. n. 152/1999 a tutela e salvaguardia dell’ acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, sicché essi sono stati considerati dalla parte potenzialmente impeditivi o limitativi della realizzazione degli interessi pubblici inerenti al suddetto regime o ad essi interessi strettamente connessi e sarebbero da ricondurre sotto la tutela giurisdizionale di detto Tribunale atteso che, anche se non strettamente attinenti alla materia delle acque, riguardano comunque l’utilizzazione del demanio delle acque.
6.1.- Il T.A.R. ha in proposito affermato che sono devoluti alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, ai sensi dell’ art. 143, comma 1, lett. a) del R.d. n. 1775/33, i ricorsi avverso provvedimenti amministrativi che, sebbene non costituiscano esercizio di un potere propriamente attinente alla materia delle acque pubbliche, riguardino comunque l’utilizzazione del demanio idrico, incidendo in maniera diretta e immediata sul regime delle acque inteso come regolamentazione del loro decorso e della loro utilizzazione.
Di conseguenza restano fuori da tale competenza giurisdizionale tutte le controversie aventi ad oggetto atti soltanto strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque pubbliche ovvero provvedimenti aventi un’incidenza indiretta su detto regime.
A giudizio del T.A.R. nel caso in esame sussisteva quest’ultima ipotesi, poiché si controverte sulla pretesa omissione delle opportune verifiche, a livello pianificatorio dell’attività estrattiva (e non autorizzativo di tale attività), riguardo alle possibili interferenze con gli elementi di tutela di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 152/99 (recante disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano), con giurisdizione in materia del G.A..
6.2.- La Sezione non può che concordare con le argomentazioni al riguardo svolte dal Giudice di prime cure, perché rientrano nella giurisdizione del T.S.A.P. i ricorsi contro i provvedimenti che incidono in via diretta ed immediata sul regime delle acque pubbliche – inteso come regolamentazione del loro decorso e della loro utilizzazione sotto l’aspetto sia quantitativo e distributivo che qualitativo – e che concorrono, in concreto, a disciplinare le modalità di utilizzazione di quelle acque.
La dedotta possibile interferenza dei provvedimenti impugnati con quanto stabilito dall’art. 21 del d. lgs. n. 152/1999 a tutela e salvaguardia dell’ acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano non può comunque comportare che provvedimenti meramente pianificatori dell’attività estrattiva possano incidere in via immediata e diretta sul regime delle acque pubbliche.
7.- Con il quarto motivo di appello è stata dedotta la inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio per carenza di lesività immediata del P.P.A.E. in ragione della sua configurazione alla luce della strutturazione del procedimento impostato dalla Provincia di Ancona.
L’artr. 10 della N.T.A., infatti, configurerebbe il Piano come un bando di concorso, aperto alle eventuali istanze e possibile competizione degli interessati, sicché il P.P.A.E. era impugnabile solo unitamente all’atto applicativo costituito dalla autorizzazione alla coltivazione della cava (del quale detto Piano costituisce solo il presupposto, ma non sufficiente, con inidoneità a costituire posizioni soggettive di vantaggio, avendo la natura di programmazione generale ed astratta).
7.1.- Va osservato che al riguardo il Giudice di primo grado ha negato la condivisibilità della eccezione perché, in caso contrario, si dovrebbe affermare implicitamente l’inoppugnabilità di qualsiasi atto avente natura programmatica. Nel caso in esame il Programma Provinciale costituiva non solo il presupposto, ma anche la base di riferimento per il rilascio delle singole autorizzazioni all’attività estrattiva, per cui è stato ritenuto innegabile che da esso potessero sorgere aspetti pregiudizievoli che rendessero attuale l’interesse ad agire per eliminare le pretese illegittimità programmatiche e indirizzare nel senso voluto dalla ricorrente la successiva attività autorizzatoria.
7.2.- La Sezione non può che condividere quanto in proposito affermato dal T.A.R., atteso che per le prescrizioni del Piano che in via immediata stabiliscono le potenzialità estrattive della porzione di territorio interessata e per il loro contenuto hanno già in sé immediata portata prescrittiva o limitativa, deve ritenersi consentita (in relazione all’immediato effetto conformativo in capo all’Associazione Italia Nostra, tenuto conto degli interessi di cui è portatrice) la immediata impugnativa, ove ne intenda contestare il contenuto, a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio, altrimenti la individuazione dei bacini dotati di vocazione estrattiva sarebbe suscettibile di finire in condizione di inoppugnabilità.
Agli effetti della configurabilità di un atto come provvedimento impugnabile, infatti, ciò che rileva è il carattere costitutivo degli effetti, che allo stesso si ricollegano, e la lesione degli interessi legittimi incisi si produce non nel momento in cui viene adottato l’atto applicativo, ma in quello in cui viene emanata la prescrizione (di carattere stabile per il Piano quello approvato), che identifica, per ciascun terreno, le opere permesse e quelle vietate, con conseguente impugnabilità immediata del predetto Piano (Consiglio Stato, sez. IV, 09 aprile 1999, n. 614).
Il P.P.A.E. di cui trattasi, una volta adottato, nella misura in cui era suscettibile di applicazione, era quindi atto immediatamente lesivo e direttamente impugnabile, senza necessità di attendere la emanazione dei concreti provvedimenti autorizzativi all’estrazione (la impugnabilità dell’atto programmatorio insieme ad essi sarebbe invero in contrasto con il principio di economicità dei giudizi e comporterebbe l’aggravamento della possibilità di tutela degli interessi della parte ricorrente).
8.- Con il quinto motivo di gravame è stata affermata la inammissibilità del ricorso per la natura confermativa del P.R.A.E. ad opera del P.P.A.E., che si sarebbe limitato, nel concreto, a recepire pedissequamente le previsioni del P.R.A.S., nella parte riguardante la maiolica, a nulla valendo, quindi, che nel paragrafo 4.1 punto 1 della relazione tecnico illustrativa del P.R.A.E., tale individuazione assumesse carattere meramente orientativo per le successive verifiche di competenza provinciale nella formazione del P.P.A.E..
8.1.- Al riguardo il T.A.R. ha respinto la eccezione affermando che, se da un lato può essere vera la circostanza che nel P.R.A.E. venivano individuate e cartografate le aree esenti riguardanti il bacino estrattivo della maiolica, tale circostanza non poteva considerarsi sufficiente per ritenere fondata l’eccezione in esame.
Dal paragrafo 4.1 punto 1 della relazione tecnico illustrativa del P.R.A.E., attuativo della disposizione contenuta nell’art. 6 comma 2 lett. m) della l.r. n. 71/99, risulta che tale individuazione assumeva carattere meramente orientativo per le successive verifiche di competenza provinciale nella formazione del P.P.A.E. Infatti era compito della Provincia "confermare o meno le aree di possibile esenzione… dove sarà possibile l’estrazione di detti materiali di difficile reperibilità o non sostituibili con le esenzioni di cui all’art. 60 punto 11 delle NTA del PRAE"; conferma (totale o parziale) ovvero mancata conferma da effettuare nel rispetto dei criteri dettati dalla stessa prescrizione in esame, cioè sulla base di una autonoma istruttoria svolta a livello provinciale.
Secondo il Giudice di prime cure non si è quindi trattato di un semplice e pedissequo recepimento, da parte della Provincia di Ancona, di prescrizioni sovraordinate vincolanti e immodificabili, ma della conferma delle stesse (del tutto eventuale) in esito all’istruttoria tecnica di propria competenza e l’impugnazione non si era rivolta (tardivamente) contro le previsioni del P.R.A.E. che hanno individuato e cartografato il bacino estrattivo della maiolica sul Monte Sant’Angelo, ma sulle previsioni del P.P.A.E. che le hanno confermate in maniera considerata illegittima dalla parte ricorrente.
8.2.- Osserva al riguardo la Sezione che non possono che condividersi le statuizioni al riguardo assunte dal Giudice di prime cure, apparendo errata la tesi che la Provincia abbia pedissequamente recepito le indicazioni del P.R.A.E., atteso che non è stato dimostrato che ciò non sia stato effettuato dopo una autonoma istruttoria da parte della Provincia (all’esito della quale sono state recepite le indicazioni regionali, ma in base ad un rinnovato esame della fattispecie) sfociata in una nuova determinazione, sia pure confermativa, ma comunque autonomamente impugnabile.
Un atto amministrativo non può infatti considerarsi meramente confermativo rispetto ad un precedente, quando, come nel caso che occupa, la sua formulazione è preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure attraverso la rivalutazione degli interessi in gioco ed un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, dà luogo ad un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dar vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione.
9.- Con il sesto motivo di appello sono state formulate censure di merito alla ritenuta illegittimità del P.P.A.E. per asserita violazione della legge regionale n. 71/1997, a causa della asserita mancanza di cartografie alla deliberazione "n 13 7 05" e sull’asserita carenza di motivazione ex art. 3, comma 1, della l. n. 241/1990.
9.1.- Secondo la parte appellante la cartografia risultava dal complesso degli atti del procedimento amministrativo, essendo le cartografie allegate alla deliberazione della Provincia n. 88 del 2004, di adozione del P.P.A.E. (rispetto alla quale la deliberazione n. 14 del 2005 costituiva solo l’atto terminale del procedimento).
La procedura seguita dopo la adozione di detta deliberazione n. 88/2004 (pubblicazione, deposito e trasmissione agli Enti interessati e concessione dei termini per le osservazioni, in concreto al riguardo presentate) dimostrerebbe che le cartografie sono state sempre presenti presso l’Amministrazione Provinciale e che quelle finali sono il risultato della procedura iniziata con la predisposizione delle cartografie allegate a detta deliberazione n. 88/2004, anche perché nessuna norma stabiliva che esse andassero allegate anche alla deliberazione n. 14/2006.
9.1.1.- Al riguardo il T.A.R. ha affermato che la circostanza che il P.R.A.E. contenesse una cartografia incompiuta non significa che il Legislatore regionale abbia voluto mantenerla tale anche negli atti successivi di attuazione dello stesso.
La disposizione di cui alla lett. l) fa riferimento ad aree "ancora" non cartografate (riferendosi ad una fase temporale coincidente con il momento formativo del P.R.A.E.) e non ad aree che mai saranno cartografate anche in futuro. Sarebbe invero incontestabile che una corretta attività pianificatoria debba essere il più possibile completa affinché non residuino margini di incertezza difficilmente controllabili, dal competente pianificatore, nelle fasi successive di attuazione del piano.
Per quanto riguarda i contenuti del P.P.A.E. l’art. 8 della l.r. n. 71/99 non individuava, nel contenuto dello stesso, elementi cartografici che riguardano il regime dei divieti, anche perché, essendo definito "programma", era evidente che il relativo contenuto dovesse essere essenzialmente descrittivo, ma non per questo del tutto sprovvisto di documenti cartografici (come prescritto, ad esempio, dall’art. 9 comma 1 della stessa l.r. n. 71/99 che fa riferimento aree definite dal P.P.A.E.).
Secondo il T.A.R. la prescrizione contenuta nell’art. 4 della normativa per le aree di divieto non cartografate, adottata in attuazione art. 6 comma 2 lett. l) della L.r. n. 71/97, si ispira infatti al principio che l’applicazione dei divieti avviene su base cartografica, stabilendo che: "Per l’individuazione dei limiti delle aree di divieto all’esercizio dell’attività estrattiva, di cui agli articoli 2 e 3, prevalgono le carte di maggior dettaglio allegate a piani, leggi ed atti amministrativi"; era quindi in condivisibile la tesi che sarebbe avvenuta la valutazione dei vincoli, ma solo attraverso tavole di lavoro non incluse negli elaborati ufficiali. Se la predetta verifica fosse stata effettivamente svolta nulla vietava alla Provincia di riversarla in un’apposita cartografia ufficiale e in scala adeguata per l’esatta delimitazione territoriale delle aree interessate dal P.P.A.E..
Ha concluso quindi il Giudice di primo grado che, essendo stata demandata alla stessa Provincia sia la valutazione dei divieti non cartografati dallo stesso P.R.A.E. che la verifica delle aree di possibile esenzione ai sensi dell’art. 60 delle N.T.A. del P.P.A.R., tali attività avrebbero dovuto concludersi con il completamento del quadro pianificatorio e della relativa cartografia, sulla base della quale si completa il processo di pianificazione delle attività estrattive attraverso i controlli regionali di cui si è detto.
9.1.2.- Osserva in proposito la Sezione che a seguito della deliberazione n. 88/2004 e della attività procedimentale ad essa seguita sono pervenute osservazioni e rilievi della Regione che hanno comportato l’applicazione al P.P.A.E. varie modifiche, sia con riferimento alla estensione dei bacini, che alle quantità di materiali estraibili, come del resto riconosciuto nell’atto di appello, che fa riferimento a "… modifiche apportate dall’ulteriore sviluppo procedimentale avvenuto presso l’amministrazione provinciale…".
A pag. 31 dell’atto di appello è anche affermato che il percorso cartografico in questione sarebbe il risultato della defalcazione nella cartografia allegata a detta deliberazione n. 88/2004 di tutte le aree di divieto di cui all’art. 6 della l. r. n. 71/1997, nonché delle aree di divieto dall’attività di cava stabiliti da P.P.A.R. e dai P.R.G. adeguati al P.P.A.R.: tanto dimostra ulteriormente che le cartografie allegate a detta delibera n. 88/2004 sono state successivamente modificate.
A nulla vale che nessuna norma prevedesse l’allegazione di dette cartografie alla deliberazione impugnata, atteso che più generalmente la normativa regionale prevede che i vincoli debbano essere adeguatamente individuati e ciò non può avvenire se non mediante allegazione di adeguate rappresentazioni cartografiche delle aree interessate ai vincoli stessi.
E" inoltre ininfluente che con successiva deliberazione n. 550 del 2009 è stato precisato il percorso istruttorio seguito dalla Provincia di Ancona per l’individuazione del bacino di cava di Monte S. An. perché la legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere apprezzata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio "tempus regit actum", con conseguente irrilevanza di provvedimenti successivi che non possono in alcun caso legittimare ex post precedenti atti amministrativi.
9.2.- Aggiunge l’atto di appello che il provvedimento de quo è un atto si pianificazione e programmazione a contenuto generale, sicché poteva non essere motivato.
Comunque era motivato in relazione alle proprie scelte pianificatorie, anche perché ciò che rileva per la legittimità dell’atto amministrativo è l’esistenza di motivi obiettivi idonei a sostenere la decisione, rilevabili anche all’interno del procedimento e non solo nel testo del documento conclusivo, come nel caso che occupa in cui la motivazione risulta dagli atti istruttori, rispetto ai quali la determinazione finale è logicamente coerente.
9.2.1.- Il T.A.R. ha al riguardo asserito che la completezza cartografica non rileva solo in senso formale, perché garantisce la trasparenza dell’azione amministrativa attraverso quella motivazione implicita degli atti pianificatori che fuoriesce dai principi generali in materia di motivazione articolata di cui all’art. 3 comma 1 della l. n. 241/90; la Regione può così svolgere compiutamente i poteri ad essa demandati dal Legislatore regionale mediante un processo di pianificazione trasparente e svolto per approfondimenti successivi attraverso il coinvolgimento delle Province; processo che si conclude con la definizione di un quadro il più possibile chiaro e preciso per il successivo rilascio delle autorizzazioni alla coltivazione dei giacimenti.
Il P.P.A.E. oggetto di gravame è stato quindi ritenuto quindi illegittimo poiché non assistito da sufficienti elementi cartografici sia per completare la mappa delle aree di divieto, sia per affermare che le aree coltivabili in parziale esenzione ai divieti sono state individuate a seguito di una completa attività istruttoria; non è infatti possibile consentire attività e concedere esenzioni se non è chiaro e completo il quadro dei relativi divieti (derogabili o inderogabili che siano).
9.2.2.- Osserva al riguardo la Sezione che il T.A.R. non ha affermato che l’atto a contenuto generale dovesse essere motivato specificamente per le singole aree che vengono coinvolte dalla pianificazione, ma, sostanzialmente, solo che la carenza riscontrata evidenziava mancanza di trasparenza di cui la mancanza delle cartografie, finalizzate al completamento delle mappe di divieto ed alla individuazione delle aree coltivabili in esenzione ai divieti di cui trattasi, costituiva manifestazione.
Comunque se gli atti di natura programmatoria non necessitano di specifica motivazione con riguardo alle scelte discrezionali dell’Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree, ciò non toglie che queste debbano essere agevolmente individuabili in base agli allegati al Piano stesso.
9.3.- Conclude l’appello deducendo la illogicità di quanto sostenuto in sentenza sulla necessità di una cartografia quale elemento di sostegno della motivazione o quale elemento motivazionale indiretto della deliberazione de qua.
La cartografia non coinciderebbe con la motivazione e non la aiuterebbe, fotografando solo ciò che è stato il percorso decisionale e motivazionale che trova ausilio negli elementi istruttori; non costituirebbe quindi la motivazione, ma la rappresentazione finale della decisione amministrativa.
9.3.1.- Osserva in proposito la Sezione che, pur a fronte dell’astratta correttezza del procedimento istruttorio di esame e di classificazione delle osservazioni, l’Amministrazione che redige un Piano deve dimostrare in concreto di aver apprezzato con la necessaria ponderazione i rilievi specifici evidenziati dagli enti locali, se non con motivazioni differenziate, quantomeno con la redazione e la pubblicazione di studi cartografici (materialmente esplicativi della scelta operata e riproducenti graficamente le determinazioni discrezionali assunte in sede di pianificazione territoriale) che pertanto costituivano indispensabili atti di certificazione, volti ad introdurre nell’ordinamento giuridico delle realtà giuridicamente definite.
10.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.
11.- Tanto comporta la declaratoria di improcedibilità per carenza di interesse dell’appello incidentale condizionato, proposto dall’Associazione Italia Nostra al fine di far valere, ex art. 346 c.p.c., tutte le censure svolte nel ricorso di primo grado e non esaminate o respinte (Consiglio Stato, sez. VI, 23 dicembre 2010, n. 9329).
12.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Roberto Chieppa, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 02 AGO. 2011