Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Messina rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da M.C..
Questi era stato sottoposto alla misura coercitiva della custodia in carcere dal 19 settembre 1992 al 2 febbraio 1997 per associazione a delinquere di stampo mafioso pluriaggravata (ed altro). Da tale delitto era stato assolto in sede di rinvio, avendo la Corte di Cassazione ritenuto inutilizzabili le dichiarazione di tale C.L. sulla cui base era stata fondata dai giudici di merito la affermazione di responsabilità.
Riteneva il giudice della riparazione che il M. avesse dato causa con il proprio comportamento all’adozione del provvedimento restrittivo e che tanto potesse desumersi dalle dichiarazioni del predetto C.. Si trattava di dichiarazioni ritenute inutilizzabili dal giudice penale (per essere stato il C. sentito come teste e non come imputato di reato connesso e per essersi, successivamente, avvalso della facoltà di non rispondere) utilizzabili atteso che la nullità o/e inutilizzabilità che attiene alla prova nel processo penale non si può trasferire "sic et simpliciter" nel giudizio di riparazione per ingiusta detenzione; e di dichiarazioni riscontrate in alcuni elementi estrinseci di cui si parla ampiamente nella sentenza di primo grado (pag. 290 e ss.) che ne confermano l’attendibilità.
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di M.C., deducendo l’erronea applicazione dell’art. 314 c.p.p. e la manifesta illogicità della motivazione.
Sostiene il difensore che la Corte di appello non ha fornito adeguata, congrua e logica spiegazione dell’apporto sinergico del comportamento del M. all’instaurarsi e al mantenimento della detenzione, ed anzi addirittura non viene indicato alcun comportamento. Inoltre la colpa grave è basata unicamente sulle dichiarazioni del C.L., facendo rivivere dichiarazioni già dichiarate inutilizzabili laddove da una prova illegittimamente acquisita non può assolutamente trarsi il convincimento sulla colpa grave.
Il Procuratore Generale presso questa corte ha chiesto il rigetto del ricorso dal momento che nel procedimento per la riparazione, di natura civile, non trovano applicazione le regole probatorie stabilite per il processo penale. Con memoria di replica il M. insiste nei motivi proposti.
Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
Deve preliminarmente precisarsi che appare corretto, ad avviso del Collegio, quanto ritenuto dalla Corte di Messina in ordine alla utilizzabilità delle dichiarazione del C., pur ritenute inutilizzabili nel procedimento penale, e ciò per la essenziale diversità del presente procedimento rispetto a quello volto all’accertamento della responsabilità penale e per la peculiarità del giudizio che è rimessa al giudice della riparazione.
Ed invero dovendo tale giudice valutare il comportamento tenuto dall’imputato in relazione alla adozione e al mantenimento della misura cautelare per accertare se costui abbia o meno dato causa – per dolo o colpa grave – al provvedimento restrittivo della libertà, non può che rapportarsi, principalmente, alla stessa situazione esistente nel momento in cui tale provvedimento è stato adottato o mantenuto ed effettuare il giudizio che gli compete sulla base dello stesso materiale avuto a disposizione dal giudice che ha provveduto sulla cautela. Deve pertanto ritenersi che possa fare riferimento anche ai risultati di una prova che nel processo penale è risultata inutilizzabile. Sembra infatti al Collegio che l’inutilizzabilità, quale conosciuta e regolata dal codice di rito e cioè sanzione processuale che impedisce al giudice di servirsi ai fini del proprio convincimento della prova di un determinato fatto perchè tale prova è stata assunta in violazione di un divieto, non possa essere estesa al di fuori dei limiti del processo in cui si è accertata la responsabilità penale, nel quale e per il quale valgono le specifiche regole dettate dal legislatore in tema di inutilizzabilità; e soprattutto non possa valere nel giudizio della riparazione attese le caratteristiche dello stesso, sopra evidenziate, che impongono di valutare la colpa grave rapportandosi alla situazione di fatto allora concretamente esistente. Peraltro, come già ad altri fini è stato osservato la inutilizzabilità non colpisce il fatto come rappresentazione della realtà, ma il mezzo attraverso il quale il fatto viene documentato (sez. 1^ 19.9.1997 n. 949 rv. 209670) e anche le informazioni assunte attraverso mezzi di prova illegittimi, inutilizzabili per il giudice, possono essere utilizzate legittimamente dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria per il prosieguo delle indagini () sez. 3^ 10.2.2004 n. 16499 rv. 228545).
A prescindere però dall’elemento di prova rappresentato dalle intercettazioni, l’ordinanza impugnata merita censura per la indeterminatezza che la caratterizza; essa infatti non specifica in alcun modo i presupposti della vicenda, che non è concretamente inquadrata, essendosi la corte di appello limitata a fare riferimento al solo titolo di reato (peraltro dapprima indicato ex art. 416 bis c.p. ed altro mentre nel prosieguo dell’ordinanza si fa riferimento soltanto alla assoluzione dal reato associativo); tanto meno è indicato in cosa consista il comportamento, gravemente colposo o doloso, attribuito al M. e sono precisate le ragioni che potrebbero giustificare il relativo giudizio e il diniego della riparazione.
Anche gli elementi di prova in base ai quali ricavare la eventuale colpa grave sono genericamente menzionati e ciò tanto con riferimento alle dichiarazioni del collaborante quanto agli ulteriori elementi di riscontro, che sembrano poterle corroborare, con la conseguenza che anche da tale punto di vista non è dato comprendere gli esatti profili della vicenda.
La decisione impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Messina, cui è demandata anche la regolamentazioni delle spese tra le parti di questo giudizio.

P.Q.M.
annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Messina per nuovo esame.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2008